Con la mano li puoi salutare

Gianluigi Filippelli
GruppoLocale
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9 min readOct 24, 2015

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Come leggerete, questa è un’ottima occasione per riproporre un lungo post del settembre 2012 sul progetto SETI:

A metà settembre è stato caricato su arXiv un articolo sull’esame di alcuni dati anomali presenti nei dati raccolti da Kepler:

Over the duration of the Kepler mission, KIC 8462852 was observed to undergo irregularly shaped, aperiodic dips in flux down to below the 20% level. The dipping activity can last for between 5 and 80 days. We characterize the object with high-resolution spectroscopy, spectral energy distribution fitting, and Fourier analyses of the Kepler light curve. We determine that KIC 8462852 is a main-sequence F3 V/IV star, with a rotation period ~0.88 d, that exhibits no significant IR excess. In this paper, we describe various scenarios to explain the mysterious events in the Kepler light curve, most of which have problems explaining the data in hand. By considering the observational constraints on dust clumps orbiting a normal main-sequence star, we conclude that the scenario most consistent with the data is the passage of a family of exocomet fragments, all of which are associated with a single previous breakup event. We discuss the necessity of future observations to help interpret the system.

Il grassetto nell’abstract qui sopra è mio. Ciò che però è interessante è quanto dichiarato dalla Boyajian, prima firmataria dell’articolo, a The Atlantic:

(…) she explained that her recent paper only reviews “natural” scenarios. “But,” she said, there were “other scenarios” she was considering.

In parole più esplicite, sono gli stessi scienziati che considerano plausibile l’ipotesi extraterrestre per spiegare questa anomalia, come ben dichiarato da Jason Wright, astronomo della Penn State University, sempre a The Atlantic:

When [Boyajian] showed me the data, I was fascinated by how crazy it looked. Aliens should always be the very last hypothesis you consider, but this looked like something you would expect an alien civilization to build.

Quando si parla di possibile vita extraterrestre, allora inevitabilmente non si può non pensare al SETI [5], Search for extraterrestrial intelligence, progetto che di fatto cerca risposta a una delle domande che più spesso ci siamo posti da quando abbiamo iniziato a esplorare il cosmo: c’è altra vita intelligente nell’universo?

SETI

Questa domanda ha generato alcuni interessanti romanzi fantascientifici: ad esempio Crociera nell’infinito di Alfred Elton van Vogt, romanzo ispirato al viaggio di Charles Darwin sulla Bagle (il titolo originale dell’opera è, infatti, The Voyage of the Space Beagle), è una ricerca nello spazio profondo condotta dall’astronave Argus alla ricerca di vita aliena. La nave spaziale incontrerà nel suo cammino vestigia di civiltà estinte, ma interagirà anche con dei veri e propri alieni.
Questa ricerca di altre intelligenze cosmiche oltre i limiti del nostro Sistema Solare ha affascinato, per molti motivi, anche gli stessi scienziati. Famosa ad esempio la cena (o forse era un pranzo) dove Enrico Fermi espose il suo altrettanto famoso paradosso da cui Frank Drake trasse ispirazione per la sua famosa equazione. E Drake divenne uno dei fondatori del progetto SETI [5] che ha coinvolto non pochi ricercatori, come Boyajian e Wright, in giro per il mondo.
Questo genere di ricerca, che potrebbe sembrare assurda quanto mettersi a fare il ghostbuster, si basa, innanzitutto, sull’assunto che

(…) an alien civilization wishing to make contact with other races would broadcast a signal that is easily detectable and easily distinguishable from natural sources of radio emission. One way to achieve these goals is to send a narrowband signal. By concentrating the signal power in a very narrow frequency band, the signal will stand out among the natural broadband sources of noise. [1]

All’inizio, dunque, SETI si concentrava sull’ascolto di segnali radio provenienti dallo spazio. Il tipo di segnale che va rilevato, però, presenta alcuni problemi: innanzitutto la stabilità in frequenza, causata dalle accelerazioni del trasmettitore e del ricevitore [1], che per esempio sono influenzate dalle velocità di rotazione (intorno all’asse, intorno alla stella). Risolvere questo problema non è di principio impossibile: sicuramente conosciamo molto bene il nostro pianeta per fare questo genere di correzioni, ma per un pianeta alieno? La storia è sicuramente molto diversa, soprattutto se è un pianeta completamente sconosciuto (non dimentichiamo che quando si posero le basi del SETI di Kepler non c’era ancora nemmeno l’ombra).

An alien civilization narrowly beaming signals at the earth could correct the outgoing signal for the transmitter’s motions, but a civilization transmitting an omnidirectional beacon could not make such an adjustment. [1]

Un modo per porre rimedio è utilizzando l’effetto Doppler [1], ma questo vuol dire realizzare un bel po’ di calcoli, cui bisogna aggiungere un altro bel po’ di domande sulle caratteristiche del segnale stesso:

at what frequency will it be transmitted? What is its bandwidth? Will it be pulsed? If so at what period? Fully investigating a wide range of these parameters requires proportionally larger computing power. [1]

Ovviamente è necessario studiare il segnale rilevato anche per essere certi se esso non sia, in realtà, di origine cosmica (prodotto cioè da una stella o da una galassia o da qualche altro oggetto non artificiale che viaggia nello spazio).
Tutti questi calcoli sono estremamente complessi e lunghi e necessitano di una potenza ben maggiore rispetto a quella disponibile nei supercomputer. E’ per questo che nel 1995 David Gedye, un project manager della Starwave Corp., propose di utilizzare il calcolo distribuito per realizzare un supercomputer virtuale: nasce SET@home [2].
Il primo passo nella costruzione del progetto è trovare un buon telescopio radio. Il candidato ideale era il telescopio di Arecibo, a Porto Rico, gestito dalla Cornell University e dalla National Science Foundation [2]. Questa scelta, però, presentava un piccolo problema: il tempo di utilizzo. SETI non poteva utilizzare in esclusiva il radiotelescopio, poiché quest’ultimo veniva già sfruttato per diverse ricerche astronomiche e meteorologiche. Il problema venne risolto nel 1997 dal progetto SERENDIP di Berkeley, che sviluppò una tecnica per utilizzare una seconda antenna [2].

Telescopio di Arecibo

A questo punto il progetto è pronto per distribuire il client di SETI@home e iniziare così il vero e proprio progetto di calcolo distribuito:

The SETI@home client program, written in C++, consists of a platform-independent framework for distributed computing (6,423 lines of code), components with platform-specific implementations (such as the graphics library, with 2,058 lines in the Unix version), SETI-specific data analysis code (6,572 lines), and SETI-specific graphics code (2,247 lines). The client has been ported to 175 different platforms. The GNU tools, including gcc and autoconf, greatly facilitate this task. The Macintosh, SPARC/Solaris, and Windows versions are all maintained directly by SETI researchers; all other porting is done by volunteers. The client can run as a background process as either a GUI application or as a screensaver. To support these different modes on multiple platforms, the system employs an architecture in which one thread handles communication and data processing, a second thread handles GUI interactions, and a third thread (perhaps in a separate address space) renders graphics based on a shared-memory data structure. [2]

L’arrivo di Kepler, però, potrebbe rivoluzionare un po’ l’approccio, sia utilizzando nuovi strumenti di osservazione, sia semplificando notevolmente i calcoli: una volta determinati i pianeti nella fascia abitabile, è relativamente semplice ricavare i dati planetari utili per correggere i segnali, e quindi l’unica cosa da fare è proprio puntare i rilevatori nella porzione di cielo identificata dal satellite della Nasa. Un esempio di un approccio di questo genere è stato proposto da Rampadarath, Morgan, Tingay e Trott che presentano il primo esperimento SETI con il Very Long Baseline Interferometry (VLBI), puntando gli occhi su Gliese 581 [3]. Il VLB consente

(…) by the combination (via a correlator) of signals from multiple radio telescopes, the emulation of a telescope the size of the maximum telescope separation, which is generally hundreds to thousands of kilometres. [3]

Nonostante non sia stato trovato alcuni segnale di vita intelligente (almeno a livello di trasmissioni radio), come ci si attendeva, per altro, l’articolo [3] ha come obiettivo quello di mostrare che il VLB può essere utilizzato per il progetto SETI.
Tutto questo, però, incluso il possibile utilizzo dello Square Kilometre Array per gli obiettivi del progetto, fa parte del così detto SETI passivo, ovvero dell’ascolto dei segnali provenienti dallo spazio e della ricerca di possibili segnali prodotti da intelligenze extraterrestri. Negli ultimi anni si è discusso fortemente anche del così detto SETI attivo (e in parte l’invio di musica, ad esempio, o immagini all’interno dei satelliti e delle sonde fa parte di questo secondo tipo), ovvero dell’inviare dei segnali radio nello spazio, anche solo per rispondere a un eventuale messaggio alieno.

The main objection against the idea of transmitting messages from Earth always was, and still is, that, while passive SETI is surely not dangerous for us, active SETI may be, since ETs could be malevolent. The first to raise the problem was Martin Ryle in 1967, when the first pulsar was discovered and its regular pulsating signal was believed for a while an alien message. More recently, in 2010, also Stephen Hawking issued a similar warning, then followed by John Billingham and James Benford. But people sharing this concern are surely many more than two couple of distinguished scientists. [4]

Si può replicare in molti modi a queste preoccupazioni. La più forte è certamente ricordare che già stiamo mandando dei messaggi, per quanto non intenzionali, nello spazio, grazie alle trasmissioni satellitari. Questa constatazione ha in effetti spostato l’attenzione verso un messaggio intenzionale, che potesse contenere dunque delle informazioni sugli esseri umani. Un’altra replica abbastanza famosa porta la firma di Iosif Samuilovich Shklovsky

Che accadrebbe se tutte le civiltà della galassia si curassero solo di ricevere, e non di inviare, segnali radio interstellari? [7]

Ovviamente, vista la situazione di dubbio sopra esposta riguardo un SETI attivo, bisogna capire se i possibili pericoli di questa pratica superano o meno i loro vantaggi.

Paolo Musso [4], che sicuramente non esclude la possibilità di incontrare una forma di vita aliena ostile, determina 4 tipi di reazioni ostili a un nostro messaggio: scoperta pericolosa; segnale pericoloso; contenuto pericoloso; reazione pericolosa.
Una scoperta pericolosa implica uno shock culturale, ovvero l’arrivo di una serie di informazioni destabilizzanti per la nostra cultura, che però non è così univoca all’infuori dell’ambito scientifico, dove invece si riesce a trarre periodicamente una sintesi più o meno in ogni ambito.
Il segnale pericoloso è sicuramente una situazione curiosa, visto che suggerisce la possibilità che il segnale alieno che segue come risposta contenga un codice virale, ma questo implica una conoscenza approfondita del sistema operativo ricevente.
Il contenuto pericoloso è non molto diverso della scoperta pericolosa, ma si concentra non tanto su quella che potremmo definire come uno scontro di civiltà, ma si preoccupa del significato letterale della comunicazione, che potrebbe destabilizzare in qualche modo la nostra società. Secondo Musso, però, il SETI attivo potrebbe ridurre se non annullare questo rischio.
La reazione pericolosa è invece la cara, vecchia invasione aliena. Questa è probabilmente la paura più fantasiosa, perché sono molte le variabili da considerare in questa situazione: ad esempio il paradosso di Fermi, o, ancora più importante, la possibilità del viaggio interstellare, non solo per la nostra società, ma anche per quella extraterrestre.
Probabilmente questo è un buon momento per riprendere in seria considerazione l’idea di un SETI attivo, dopo una serie di esperimenti già fatti in passato, come il messaggio di Arecibo, ma certo, guardando quel che è stato fatto, il progetto SETI è sicuramente, incluso SETI@home, una delle idee migliori che abbiamo mai avuto.

Anche il solo contatto radio con una civiltà superiore cambierebbe profondamente e radicalmente la nostra vita. [7]

Commissione della NASA sullo studio delle lunghe distanze, 1960

[1] Eric Korpela, Dan Werthimer, David Anderson, Jeff Cobb, Matt Lebofsky (2001). SETI@home-massively distributed computing for SETI Computing in Science & Engineering, 3 (1), 78–83 DOI: 10.1109/5992.895191
[2] David P. Anderson, Jeff Cobb, Eric Korpela, Matt Lebofsky, Dan Werthimer (2002). SETI@home: an experiment in public-resource computing Communications of the ACM, 45 (11), 56–61 DOI: 10.1145/581571.581573
[3] H. Rampadarath, J. S. Morgan, S. J. Tingay, C. M. Trott (2012). The first very long baseline interferometric SETI experiment The Astronomical Journal, 144 (2) DOI: 10.1088/0004–6256/144/2/38
[4] Paolo Musso (2012). The problem of active SETI: An overview Acta Astronautica, 78, 43–54 DOI: 10.1016/j.actaastro.2011.12.019
[5] In effetti l’articolo che più di tutti ha spinto verso SETI è quello di Giuseppe Cocconi, Philip Morrison (1959). Searching for Interstellar Communications Nature, 184 (4690), 844–846 DOI: 10.1038/184844a0 che si conclude con le ispirate parole

the probability of success is difficult to estimate; but if we never search the chance of success is zero

Dell’articolo potete trovare una versione scannerizzata su coseti.org (immagini) e su iaragroup.org (pdf) oppure una in html, incompleta, su bigear.org
[7] Citazioni tratte da Gli ascoltatori di James Gunn, trad. Laura Serra

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