Doppiofondo

Andrea G. Capanna
Guerrieri Agitati
Published in
4 min readApr 11, 2020

Un uomo buono.

Prima che il mondo cambiasse ero solito tornare al paese, per fare la mia parte da figlio che si degna di fare il figlio, e per fare la scorta di medicine. Perché sì, ho voluto conservare a tutti i costi il mio medico di famiglia, per motivi esclusivamente affettivi.

Per raggiungerlo mi concedevo una passeggiata lungo il fossato che circonda il centro, prendevo la strada meno comoda e breve, come facevo da ragazzino per evitare i bulli. Arrivato sotto il palazzo, era necessario superare il primo scoglio, un foglietto con l’orario provvisorio, attaccato sopra alla targhetta con il nome del Dottore e l’orario ufficiale.

Non c’era da fidarsi di quel foglietto scritto male con la penna blu, perché il Dottore non lo controllava così spesso, forse per pigrizia, e preferiva aggiornare un secondo foglio appeso fuori dalla porta dello studio. Imboccato l’ingresso che guardava sull’imponente Filandone diroccato, era necessario salire due rampe di scale molto strette. Raggiunti gli ultimi scalini era possibile vedere l’ingresso dell’ambulatorio, e dalla presenza di una qualche anziana in attesa fuori si poteva tranquillamente intuire che anche il secondo foglio non era da prendere sul serio. La stessa anziana ti avrebbe informato sull’orario corrente, che lei conosceva per ignoti motivi. Potevi rimanere a passeggiare sul pianerottolo in attesa, o tornare un altro giorno.

La sala d’attesa era una piccola stanza quadrata, con le sedie pieghevoli su tre lati. Faceva sempre fresco lì, e si stava bene, ma c’era sempre, sempre, qualcuno che con fare irrequieto apriva la porta finestra che dava sul balconcino, e si faceva aria con le mani. Le pareti bianche, con i poster sulla prevenzione dei reumatismi e sui danni del fumo. Ancora ci si guarda negli occhi nella sala d’attesa del Dottore, la sua utenza sembra poco propensa all’uso degli smartphone, per limiti d’età o per possibilità, o semplicemente perché si giocava, ognuno in silenzio, a indovinare il perché gli altri fossero lì, e di chi fossero figli, fratelli, vedove.

Come in un duello, spesso un triello, si aspettava che qualcuno dicesse:

Ma a lei serve solo la ricetta?

Proiettile e formula magica che ti permetteva di passare avanti, a patto di non dilungarsi. Toccava quindi a me, ma questa volta non mi spettava il turno fortunato. L’anziana dunque mi spiega che il Dottore ha cambiato sistema, ora per le prescrizioni si avvale di un intricato sistema di cassettini, posti in un mobiletto nel corridoio appena fuori dalla porta della sala visite.

Dalla borsa recupero un foglietto e ci annoto le mie esigenze. Sotto lo sguardo incalzante della vecchia metto il foglietto in uno specifico cassetto. Saluto, arrivederci, grazie, sì signora sono il figlio di G., sì sì mia nonna era Lucia, eh sì ogni tanto torno, grazie ancora, salve, salve.

Ripenso ora a tutti quei particolari, sdraiato sul letto con il cellulare in mano. Non posso tornare questa volta, sono in isolamento come tutti quanti. Non posso vedere il Filandone ristrutturato, e nemmeno prendere il caffè in quel bar lì davanti, accanto al supermercato. Il Dottore la ricetta elettronica non la fa. Gliel’ho chiesto l’ultima volta, dopo aver scavalcato i cassettini inventando qualcosa riguardo un brufolo sospetto che doveva assolutamente essere visitato. Dopo avermi abbracciato, seduto dietro il suo computer antidiluviano, ha emesso un lungo sospiro, come a dirmi che la ricetta elettronica era una cosa così lontana dalla sua realtà, e che forse la mia era proprio una domanda del cazzo.

Lì ho capito che il Dottore si era infilato in un doppiofondo di quei cassetti, nascosto, presente. Ci si era infilato dopo che Marco era caduto dal treno.

Marco, suo figlio, poco più che adolescente, muore in un incidente ferroviario ancora avvolto nel mistero. E’ caduto dal treno Marco. In corsa. Di ritorno da una vacanza al mare con gli amici, alzatosi dal suo sedile non è più tornato. Svanito dal convoglio, lo hanno ritrovato accanto ai binari, giorni dopo.

Non conoscevo Marco, ma ho pianto tanto immaginando il dolore di quell’uomo mite e un po’ pigro, così dolce nel consolarmi quando una perdita era toccata a me. E piango ancora se lo penso nascosto fra quei fogliettini con le grafie tremolanti, strappati da qualche vecchia agenda omaggio della banca. Quel mobile me lo immagino sul fondo del mare. E lui dentro, a tirar sospironi.

Si sta facendo tardi, sto indugiando troppo. Gli scrivo un lungo messaggio su Whatsapp, chiedendogli se sta bene, e se ora l’elettronica la fa.

La fa. E me la vorrebbe erogare immediatamente, a sera tarda così. Non ho fretta, gli dico, mi risponde grato per il messaggio affettuoso. Poso il cellulare sul cuscino.

Ognuno costruisce il necessario labirinto per allontanarsi dagli altri e gestire il dolore. Stai a vedere che questo eroico e gentile medico di base, con quella sala d’attesa ormai vuota, ha trovato il tempo di uscire dal proprio doppiofondo.

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Andrea G. Capanna
Guerrieri Agitati

Scrivo e mi arrabbio, ma so fare bene solo una delle due cose. Non binario, Epilettico, Gay.