Una vecchia storia

Con dei draghi, anche.

Andrea G. Capanna
Guerrieri Agitati
4 min readJan 9, 2020

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Non solo questa storia è vecchia, ma probabilmente l’ho già raccontata. Comunque vale la pena spenderci di nuovo due parole, aggiornarla. Per digerire del tutto il mio periodo più buio ci vorrà una vita intera e mille revisioni. Questo è il breve racconto di quando ho sofferto di Ludopatia, oltre che di Epilessia.

Che io avessi un rapporto un po’ borderline con i videogiochi era risaputo da me in primis. Come tanti miei coetanei ne ero assorbito, appassionato. Leggevo riviste specializzate e inseguivo le prime console casalinghe. Prima di quelle il vecchio C64 regalatomi da babbo quando avevo otto anni. E proprio gli atteggiamenti che manifestavo giocando a Bubble Bobble forse dovevano far pensare che fossi propenso a un certo tipo di dipendenza. Perché arrivavo al centesimo livello con le tre vite iniziali.

Mi bastava perdere anche solo una di quelle vite lungo l’interminabile partita per manifestare una rabbia incontrollata. Lanciavo il joystick, colpivo il televisore con i pugnetti secchi. E urlavo. Per poi raccattare tutto da terra e ricominciare la maratona.

Per fortuna avevo la scuola prima e i lavoretti poi (anche estivi), non avevo l’intera giornata per giocare e sapevo ancora distinguere gli impegni dalle attività che da un occhio esterno potevano sembrare più stressanti che divertenti.

La malattia mi ha inevitabilmente portato più tempo libero, per quanto avessi lo scudo iniziale dell’Università a salvarmi. Io, la valigia in una mano, e sotto l’altro braccio la Playstation. Così ho vissuto i miei anni da fuorisede, tentando di barcamenarmi fra la la fatica immane di stare dietro ai libri nonostante le crisi, i viaggi in treno, e l’amore per il gioco che non mi abbandonava mai.

Non poteva durare. Ero troppo stanco, emotivamente instabile, così ho lasciato gli studi, pur non tornando a vivere con i miei, e ancora non lo so se è stato un errore. Prima di cedere, però, mi sono tirato fortissimo da due lati, come a voler strappare un tessuto. Non ci sono riuscito, ma solo perché mancavo di forza.

La mia stanza, in condivisione con un altro studente/gamer, era sempre buia, e ad ogni ora si giocava. La ventola interna del mio povero laptop andava al massimo per ore e ore, e io ammazzavo migliaia di creature in un gioco abbastanza popolare all’epoca. E come ai tempi di Bubble Bobble, con il cimento arrivava la bravura. Mai stato così abile in un gioco. Ma la luce dello schermo illuminava quella che al paese si chiamerebbe “braca de os”. Mucchio d’ossa.

Dopo quasi dieci anni di tentativi avevo trovato il farmaco e il dosaggio corretti, peccato che questo mi permettesse di fregarmene dei primi avvisi sull’Epilessia che comparivano prima delle schermate iniziali. E avevo tutto il giorno, e la notte, liberi, da poter spendere a giocare, a fare qualcosa che mi aveva sempre chiamato in modo pericoloso, a trovare almeno una soddisfazione in quella vita di merda che pensavo avrei avuto per sempre.

Così avevo smesso di mangiare. Mi nutrivo di the freddo e ogni tanto una pasta al tonno, il resto del tempo lo passavo con la spada in mano. Avevo raggiunto il ben poco invidiabile peso di 49 kg, di cui almeno un paio erano per barba e capelli cresciuti un po’ troppo. Passavo dalla camera da letto al bagno, perché ovviamente il mio intestino non era felice della mia inesistente dieta.

Eppure anche io ogni tanto uscivo di casa, per vedermi con alcuni amici storici e coltivare un’amicizia tossica che poco tempo dopo sarebbe detonata in modo imbarazzante per tutti. Vedevo anche la vicina del piano di sotto, giustamente infastidita dai suoni provenienti da casa nostra a notte fonda.

Fino a quando il mio laptop non si è arreso e quasi contemporaneamente mio padre è mancato. Una sveglia, uno schiaffo che non auguro a nessuno. Così sono tornato al paese per qualche tempo, costretto a sistemarmi i capelli e a mangiare. Ma non stavo risalendo affatto la china, bensì mi era stato imposto uno switch off improvviso mentre dentro tremavo.

Tornato in città per sbrigare alcune faccende pratiche (io non giocavo più, ma i miei coinquilini sì e non pagavano le bollette e l’affitto) me la sono presa con il mio compagno di stanza, con una sfuriata immeritata, esagerata e spaventosa. Ho urlato fino a perdere la voce, ero fuori di me, stavo espellendo in un colpo solo un demone gigantesco. Chiaramente la mia ferocia spinse quella persona ad andarsene di casa.

Quindici anni dopo sono qui a battere su questi tasti mentre in background sto reinstallando il vecchio client di quel gioco, è incredibile che sia ancora in giro. Chissà se quel mondo è rimasto lo stesso, se il venditore di pozioni è sempre là, con le sue boccette che non mi hanno mai curato davvero. Ho un po’ paura, in quei boschi ci stavo morendo, e anche se sono passati tanti anni non sono mai riuscito a lasciarmi alle spalle del tutto la paura di ricaderci. E questo sono sicuro sia un bene.

Prendetevi cura di voi stessi, cercate di non perdere le redini, e se succede siate lucidi, chiedete aiuto. Non è facile a farsi, e nemmeno a dirsi. Ma il gioco è questo.

Vi auguro uno splendido anno

Scrivimi: guerrieriagitati@gmail.com

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Andrea G. Capanna
Guerrieri Agitati

Scrivo e mi arrabbio, ma so fare bene solo una delle due cose. Non binario, Epilettico, Gay.