3 cose che (forse) servono davvero alle piccole imprese lombarde

Alessandro Mininno
Gummy Industries
Published in
4 min readFeb 24, 2018

Ho cercato di raccogliere le idee su quello che, come imprenditore, come professionista e come cittadino vorrei dalla politica, soprattutto locale e regionale. Mi sono limitato a un paio di idee concrete e le ho appuntate in questo post. Poi le ho proposte a Giorgio Gori, agli Stati Generali delle Industrie Creative e Culturali a Milano.

Dire che il 90% del tessuto economico italiano è composto da piccole, medie e micro imprese è ormai un luogo comune: più o meno lo sappiamo tutti.

Su queste aziende posso dire di avere un punto di vista privilegiato: come partner di Talent Garden Brescia ho conosciuto numerose aziende tecnologiche, come imprenditore ho dato vita a un’agenzia in cui lavorano una ventina di persone e moltissimi dei miei clienti sono proprio PMI.

Penso di poter dire che la sensazione comune, tra gli imprenditori, sia quella di essere soffocati e zavorrati. Dare la colpa alle tasse è facile: facciamolo e leviamoci il pensiero, fanculo questa allucinante pressione fiscale. Ma non è tanto, o non è solo, il sistema di anticipi, tasse, gabelle, bolli, imposte e accise, la vera zavorra.

Siamo costretti a lavorare con un’infrastruttura che ci ostacola. Con internet lenta. Con una burocrazia aberrante. Spesso anche facendo fatica a trovare le persone e le competenze che ci servono. La sensazione è che l’Italia non veda di buon occhio le imprese. Potrei citare Caprotti, il compianto patron di Esselunga, quando diceva che “Questo paese cattolico non tollera il successo”.

Una citazione di Caprotti associata senza motivo a una foto di Fedez

Meno regole e burocrazie

Siamo sommersi da vincoli burocratici di varia natura. Un esempio: qualcuno di voi è riuscito a compilare la richiesta per il Voucher per la Digitalizzazione? È il simbolo di tutto quanto c’è di sbagliato nel sostegno pubblico all’innovazione. È intricato, è impossibile da compilare, ha un milione di requisiti e… richiede di presentare un preventivo, per finanziare delle spese tecnologiche. Come se Dropbox, Google, Salesforce, Slack o Atlassian (che sono tutti SAAS) ti facessero un preventivo.

Applicare per il Voucher per la Digitalizzazione è un po’ così

Io non credo che lo stato debba finanziare direttamente le piccole aziende innovative (credo che questo ruolo e questo rischio spettino ai privati). Ma non credo nemmeno che debba bloccare l’innovazione. Per esempio, oggi in Italia nessuna banca permette di aprire un conto in Bitcoin e le aziende difficilmente possono finanziarsi con una ICO (da più parti questi strumenti vengono demonizzati). Senza parlare di Salvini, che vorrebbe tassare l’automazione.

Perché l’Italia cerca di limitare degli strumenti che, di per sè, non sono negativi e funzionano? A Milano è stato costituito un distretto Fintech, ma il contesto normativo rende molto difficile la nascita di soluzioni veramente innovative (di base, una startup deve sottostare alle stesse regole di una banca o di una SGR).

A Londra, per lo stesso scopo, è stata creata una Regulatory Sandbox, in cui alcune norme e alcune regole vengono temporaneamente sospese, per permettere sperimentazioni reali. Perchè la Lombardia non può avere una sandbox di questo tipo?

A Lisbona, le startup hanno una tassazione agevolata al 7,5% e gli investimenti fino a cinque milioni di euro godono di una deduzione fiscale del 20%. Il gettito IRAP delle aziende piccole e nuove è basso, quasi insignificante. Perché non agevolarle, per attirare in Lombardia persone e capitali? Sarebbe un piccolo sacrificio con un grande impatto.

Riportare a casa le skill

Da più parti si lamenta la carenza di skill avanzate. Ormai i programmatori di buon livello costano quanto delle rock star, ma anche figure come big data analyst, business intelligence analyst, social media manager ed ecommerce manager sono relativamente difficili da trovare.

La soluzione proposta più spesso è la formazione: facciamo in modo che i giovani imparino i nuovi lavori. Da sola, non è una soluzione sufficiente, perché dà dei risultati nel giro di alcuni anni, e sarà troppo tardi.

Eppure, esistono migliaia di italiani che si sono spostati all’estero, negli ultimi dieci anni (sono circa 100.000 all’anno, negli ultimi anni). Spesso hanno sviluppato competenze elevatissime e, guarda caso, proprio nei settori che servirebbero qui. Si sono spostati perchè il trattamento economico è migliore e la tassazione più favorevole.

Perchè non agevoliamo il rientro di queste competenze, magari con un’agevolazione fiscale o con un progetto ad hoc? Un’operazione di questo tipo avrebbe un impatto immediato sul livello di competenze di tutte le aziende lombarde.

Una GIF non collegata al testo

Pensare alla periferia

Noi (Gummy) abbiamo deciso di aprire e rimanere a Brescia e di lavorare in tutta Italia: nel 2017, meno del 20% del nostro fatturato proveniva da aziende bresciane. Non siamo soli: Brescia è una specie di silicon valley italiana: ci sono decine di aziende che lavorano col digitale. Il punto è che internet ha reso possibile lavorare da ovunque, e non ha più senso pensare che Milano sia l’unico centro dell’innovazione. Sempre di più, le persone vorranno lavorare dal Lago di Garda, da Como, da Sondrio, stando lontane dalla città e in mezzo alla natura, con uno stile di vita che le soddisfi. Magari offrendo servizi alle multinazionali che hanno sede a Milano. Magari, invece, impattando in modo più diretto sull’economia locale, di stampo manifatturiero e industriale, che è sempre più affamata di innovazione.

Dobbiamo pensare a questo cambiamento. Connettere la periferia. Investire sulle infrastrutture, dalla banda larga alle linee ferroviarie.

Perchè la regione non fa di più? Perchè non si incentiva veramente il trasporto locale? Perchè non si investe sulla periferia? Le ricadute a livello di impatto economico sarebbero enormi.

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