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Il capitalismo ha i giorni contati

michele pagani
Gummy Industries
Published in
5 min readNov 29, 2016

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Il capitalismo ha i giorni contati.

L’aveva scritto sulla porta del cesso un compagno di liceo — che parlava di “nemico americano” ed “economia di partito” — nel 2003.
Ora, finalmente, lo capisco.
Andiamo con ordine.

Tutto inizia con una piramide.

Abraham Maslow nel 1956 diceva, più o meno, che l’uomo descrive i suoi bisogni secondo una piramide, partendo da quelli più primitivi, che stanno in basso, fino ad arrivare a quelli più sofisticati, che stanno in alto. L’uomo per sua natura punta a soddisfare anzitutto i suoi bisogni fisiologici (vedi: non morire di fame o di freddo). Una volta assicuratosi di poter sopravvivere, la sua bramosia lo spinge più in là: avere una casa, essere stimato, auto-realizzarsi diventando un campione al torneo di calcetto della Parrocchia. Il progresso. Mentre i bisogni fondamentali, una volta soddisfatti non tendono a ripresentarsi, i bisogni di tipo sociale e relazionale tendono a rinascere, con nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere. I migranti che sbarcano con lo smartphone sono il concretizzarsi moderno della piramide dei bisogni di Maslow. Ricordiamoci bene questo concetto, che ci servirà più avanti: i bisogni che evolvono determinano il progresso.

C’è poi il concetto di bene, ovvero di “oggetto disponibile in quantità limitata, atto a soddisfare un bisogno”. Lo è l’acqua, lo sono le nuove Air Max.

E se si mischiano i bisogni di cui sopra con beni e servizi, nasce il mercato, che traduce la disponibilità più o meno ampia di beni in un valore, chiamato prezzo, proporzionale alla domanda dello stesso. In linea teorica, più il rapporto tra domanda e disponibilità diventa di tipo “uno a uno”, meno il bene costerà.

E cosa manca per completare la ricetta del capitalismo perfetto? Anzitutto il concetto di tempo come moneta utile ad acquistare beni. Più il proprio tempo produce valore, meglio sarà remunerato. Ecco qui il mercato del lavoro, in cui Ronaldo produce molto più valore di un cardiochirurgo, che a sua volta produce molto più valore di uno spazzino.

Infine, un ultimo ingrediente: il capitale, cioè l’insieme delle risorse atte a produrre ricchezza.
Il mix di lavoro e capitale, calato in un mondo fatto di bisogni, beni, servizi e prezzi, descrive più o meno tutto ciò che ci circonda: Amazon Prime, Uber, i mercati Bio, le gelaterie Vegan, il corso di Tantra. Di qui nasce la logica del profitto: chi dispone del capitale arriva a desiderare più capitale, quindi più ricchezza, in un giochino che da una parte determina il progresso e dall’altra incontra la politica.

Un tornado nel salotto del capitalismo.

Ma complichiamo ulteriormente le cose. Se fino a qualche anno fa le aziende basavano la propria spinta sull’energia, ora si basano principalmente su informazione e conoscenza. Quindi, il vero valore delle imprese di oggi non è tanto il capitale tecnologico o umano, quanto la conoscenza su cui basano la propria esistenza. I computer ci hanno aiutato in questo, diventando una sorta di contenitore di conoscenza collettiva a supporto dell’intelligenza umana, detta Intelligenza Artificiale (o AI). Se dunque il capitalismo si basa su risorse scarse e l’informazione è una risorsa abbondante, dobbiamo ragionare con un nuovo punto di vista: le risorse di base si possono creare e riprodurre senza limite.

Abbiamo imparato ad accumulare l’informazione sotto forma di dati. Li abbiamo letti, interpretati e utilizzati a nostro vantaggio, per produrre macchine sempre più abili ed ogni giorno più nuove. È come se si fosse passati da un modello di evoluzione simile all’evoluzione biologica, e quindi molto lenta, a un modello completamente diverso, che descrive una curva molto più ripida, ripidissima. Eccoci alla definizione del capitalismo moderno, che fa intravedere una possibilità che questa spinta all’innovazione, nata con la Rivoluzione Industriale o forse addirittura con l’Homo Sapiens, diventerà una specie di enorme tornado nel grande salotto del capitalismo.

Ci sarà un momento, chiamato “punto di singolarità”, in cui tutto ciò si concretizzerà. Sarà il momento in cui i robot (ovvero i super computer intelligenti capaci di accumulare e gestire moli enormi di dati) arriveranno ad evolvere la propria conoscenza proprio come fanno gli uomini, gestendo informazioni anche non codificate, apprendendo e generando nuova conoscenza. I computer arriveranno ad avere un’intelligenza pari all’intelligenza umana, comprensiva di ragionamento e sensazioni. Mai più mettere le mani nel water per sturarlo, perché forse il cesso stesso si auto-sturerà. Mai più guidare un’automobile, perché si guiderà da sola. Mai più cucinare, ma nemmeno fare la spesa, perché il computer saprà interpretare i tuoi bisogni e cucinarti la carbonara quando avrai voglia di carbonara. E chissenefrega se ti piace guidare, cucinare, fare la spesa o persino sturare il cesso: ci piaceva pure fare le cene di classe ma le abbiamo sostituite con una chat WhatsApp, giusto?

I robot ci ruberanno il lavoro?

Ci sarà una graduale e drammatica rivoluzione nel mercato del lavoro: inizialmente sempre meno persone faranno lavori noiosi o pericolosi, riciclandosi in ruoli più “di alto livello”. Ci sarà un aumento della disoccupazione. Ci saranno medici infallibili e poliziotti predittivi, capaci di anticipare i comportamenti criminali. Fantascienza? L’intelligenza artificiale è già realtà e sta succedendo ora. Siamo riusciti a passare da una logica causale (se succede questo, faccio questo) a una logica correlativa (analizzo n fattori all’apparenza totalmente slegati tra loro e ne prevedo potenziali effetti, esaminando la loro probabilità secondo logica statistica), sfruttando dei cervelli infallibili. Qualche esempio? Google, che è riuscito a prevedere il pattern di propagazione del virus H1N1 tramite l’analisi delle chiavi di ricerca più popolari. Oppure Sunspiring, il primo cortometraggio scritto da un robot. E che dire di Los Angeles, dove la polizia anticipa le mosse dei criminali seguendo i calcoli di PredPol, un software che, analizzando miliardi di fattori tra loro apparentemente non correlati, suggerisce dove ci sarà il prossimo furto o omicidio, azzeccandoci.

Ed ora, la relazione potenza-atto Aristotelica dove ce la mettiamo? E il libero arbitrio? Tutto questo è giusto? Cosa resta all’uomo? Forse l’empatia? La creatività? L’amore? E se fossero perfettamente replicabili pure quelli, in chiave sintetica? In questo scenario apocalittico in cui i robot lavorano per noi, cosa faremo durante le nostre giornate? Come misureremo il valore delle cose? La moneta sarà ancora il tempo speso a creare ricchezza? Lavoreranno solo i costruttori di robot? Ci annoieremo a morte? Sarà una figata? Il dibattito è aperto e ci sono pareri discordanti, da Elon Musk che, preoccupato, propone di mettere l’AI nelle mani di aziende non profit, a Dyer Gwyner, che annuncia l’imminente fine dell’umanità, da Ray Kurzweil di Google, che suggerisce di limitare l’algoritmo evolutivo dell’AI per evitare che diventi “troppo intelligente”, a Stephen Hawking, che concorda con Gwyner nella sua visione catastrofista. Ci sono anche gli ottimisti, che fanno PHD in università americane prima di venire rapiti da Google and Co. E poi c’è la politica, a cui — teoricamente — passerà la palla, o la patata bollente.

Come verrà redistribuita la ricchezza? Con un reddito di cittadinanza? Con un nuovo feudalesimo? Con qualcosa che non si riesce a immaginare e che sarà la stessa intelligenza artificiale a concepire?

Sarà un processo graduale, e potrebbe durare decenni, e c’è la possibilità di arrivare preparati. Però sì, IL CAPITALISMO HA I GIORNI CONTATI.

[pubblicato su CTRLmagazine / Bocconi Amari / novembre 2016]

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