L’informazione si paga

Fabrizio Martire
Gummy Industries
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4 min readOct 10, 2016

“L’informazione si paga” è il grande insegnamento che mi porto via dalla settima edizione di Pane web e Salame, la conferenza che organizzo — con Alessandro, Lorenzo e Davide — e che mi permette di dialogare con i più autorevoli esperti del digitale.

PWES affronta un tema diverso ogni anno: quest’ultima edizione l’abbiamo dedicata all’informazione online. Ci siamo chiesti quanto di ciò che leggiamo quotidianamente in rete è vero? Quanto è bufala? Quanto è satira? Ci siamo chiesti come i lettori si pongono verso l’informazione e come le loro idee sono influenzate da quanto passa sulla loro timeline di Facebook.

#PWES7 — io, Alessandro, Lorenzo e Davide

Un’era incredibile

Secondo Ralph Keyes siamo nell’era della Post-Verità: un’era in cui non si crede più ai fatti, non si cercano le fonti e si tende a credere alle cose di pancia. In sostanza, un’era in cui chi “grida” più forte si assicura il consenso di una larga fetta di popolazione.

Alcuni politici, consci del loro potere comunicativo, costruiscono sull’ignoranza delle persone intere campagne politiche. L’Economist spiega tutto questo in dettaglio in articoli come Art of Lie e Yes, I’d lie to you: la campagna delle presidenziali di Trump fa ampiamente uso di bugie e false promesse, così come i sostenitori dell’exit nel referendum UK hanno completamente travisato numeri e cifre in favore del loro idee.

L’informazioni per smentire queste false promesse sono qui, online, solo che non vengono considerate; il sito trumplies.com, per esempio, cataloga e cerca fonti e basi sulle dichiarazioni di Trump ma scommetto che non è un sito che trovi spesso condiviso sulla tua pagina di Facebook o Twitter.

È logico chiedersi “Perché in molti non cercano altra informazione? perché non ricerchiamo le fonti?” a queste domande risponde Walter Quattrociocchi — capo del CSSLab dell’IMT di Lucca in questo articolo apparso sul Ilpost. In sintesi, siamo portati a ricercare informazione che rafforzi ogni nostra convinzione, che ci dia sicurezza, nella quale ci riconosciamo. Tutto questo, però, ci porta a perdere cognizione della realtà in cui viviamo.

Mettiamoci pure che i social network sono costruiti per riconoscere i nostri interessi, per profilarci e per offrirci prodotti e “idee” che ci piacciono, creando attorno a noi una sorta di bolla informativa dalla quale è difficile uscire. Su questo bolla Eli Pariser ha scritto un libro “The Filter bubble” e preparato un TED talk, ancora, sul Guardian è reperibile l’articolo “How technology disrupted the truth”, testi che aiutano a capire i meccanismi attraverso i quali i nostri stessi interessi condizionano ciò che andremo a leggere domani.

La sala di PWES7 i super cattivi di internet

Ecco durante PWES, “I super cattivi di internet” abbiamo discusso di tutto questo; grazie a tutti i relatori invitati (trovate tutti i nomi e i titoli degli interventi qua e qua) abbiamo provato a dare risposta ad alcune domande di questo post. Ci siamo chiesti chi oggi crea falsa informazione e con quale fine, c’è una grande differenza fra chi crea bufale per stimolare il senso critico, chi fa satira e chi usa tutta questa situazione per diffondere ideologie nella confusione online.

La formula magica

Considerando che una delle immagine più condivise in Facebook, almeno secondo Vice, è quella che vedete qua accanto, mi sono chiesto come semplificare tutto questo quadro astratto, fatto: di dati, meccanismi digitali e istinti atavici? Come posso riconoscere facilmente l’informazione dalla disinformazione? Esiste una formula magica?

La risposta che mi sono dato è il titolo di questo post: l’informazione si paga.

Prendendo spunto da un articolo di Guido Guerzoni, apparso sul sole24ore di qualche anno fa “Le idee si pagano” e da quello che mi dice sempre Alessandro:

“Nessuna cena è gratis, tutte le cene si pagano e se non la stai pagando: vuol dire che la cena sei tu.”

credo che un buon modo per distinguere tra informazione e disinformazione sia chiedersi: Chi sta pagando ciò che sto leggendo?

L’informazione ha un costo e qualcuno lo deve pagare

Dietro all’informazione che leggiamo c’è sempre un professionista, qualcuno sottoposto a un codice di condotta disciplinare, qualcuno che ha passato diversi anni su testi, fonti e studi. Un giornalista, un ricercatore, un professionista del settore. Persone che vanno pagate proprio per il lavoro e il rischio che si prendono nello scrivere e pubblicare fonti.

Se compro il giornale in edicola pago io, scelgo l’editore e il giornale, so come quel giornale è schierato, lo stesso quando leggo il sito di un grosso quotidiano online, paga uno degli sponsor pubblicitari e conosco la testata. Se mi godo i contenuti di quel famoso Youtuber paga Goolge, se scarico un report da un’azienda pago con i miei dati e la mia mail, sta a me riconoscere se quell’azienda è credibile, magari controllo le sue referenze. Se condivido un’immagine, un articolo, un post e non c’è nessuno che paga, potrebbe voler dire che “la cena sono io” e che sto comunque pagando con le mie idee. Probabilmente condizionate da qualcun altro. Condividi?

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Fabrizio Martire
Gummy Industries

CEO & Co-founder @gummyindustries, Co-founder @talentgardenit Brescia