L’inarrestabile bisogno di cultura

Anna Prandoni
Hic + Nunc
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3 min readOct 24, 2020

Non avevo mai fatto colazione o pranzato, in settimana, nella mia città.

Non avevo mai esplorato i ristoranti della mia zona, se non per stretta necessità. Ci voleva il coronavirus.

Non ero mai stata a un concerto a Busto Arsizio, se non in poche e particolarissime occasioni.

Per il secondo venerdì di fila, ieri sera, a distanza di sicurezza e con la mascherina, facendomi provare la temperatura e sanificando le mani, sono entrata nella sala Probusto, quella dove da bambina studiavo danza con la mia meravigliosa maestra Nora.

Uno splendido déjà-vu, ma in versione ridotta: entrare dopo 30 anni in quella sala e scoprirla di dimensioni normali, dopo averla vissuta da bambina come enorme ha fatto il suo effetto.

Rivedermi sul soppalco, mentre ammiravo senza farmi vedere le ballerine più grandi, ripensarmi su quel parquet, risentire le note del pianoforte e rivivere quella prima lezione, che non dimenticherò mai. E pensare a tutti quei pomeriggi densi, quei momenti di gioia infinita, di tutt’uno con la musica, tutte le delusioni per quelle pirouette che non venivano. Quell’ostinazione matta e disperatissima per cerca di allungare gambe che non cedevano, di alzare arabesque che non salivano, di torcere caviglie che non giravano. Quella soddisfazione inaudita delle prove ben riuscite, della gamba che finalmente trovava l’en dehors. Quel piccolo miracolo che ogni plié, ancora oggi, mi regala nel cuore.

Poi si ritorna nel presente, le luci si abbassano, arriva l’orchestra, arrivano questi coraggiosi uomini e donne del mondo della musica e prendono uno sparuto gruppo di appassionati che non demordono, di uomini e donne che continuano a crederci, e li trasportano verso un’ora di bellezza pura.

Manca il lampadario della Scala, mancano i costumi e le scenografie. Manca il pubblico, siamo pochi ma compatti. Attenti, spasmodici nell’ascolto.

Non ci permettiamo una deviazione, stiamo sospesi e ascoltiamo.

È l’unico momento della mia giornata convulsa in cui riesco a staccare la mano dal telefono, riesco a spegnere le urgenze, ad allontanare i pensieri, a concentrarmi sul benessere che solo la cultura può donare a un animo in affanno.

Divento parte dello spettacolo, che riempie ogni angolo della stanza in cui siamo.

Un gruppo di uomini e donne che pur senza conoscersi si fondono in una armonia perfetta.

Risuona l’ultima nota, in un’ora non è volata una mosca: scoppia un applauso liberatorio, infinito, interminabile. Stiamo dicendo bravi, stiamo facendoci coraggio, stiamo chiedendo a gran voce a quelle persone sul palco di non abbandonarci, di rimanere con noi, di non rimandarci fuori, in quel mondo ostile che ci aspetta.

Qui siamo nel luogo perfetto, protetti, insieme, a condividere qualcosa di bello senza alcun pensiero tragico che è rimasto là fuori.

Il virus ce lo ricordano solo le mascherine, le nostre ma ancora di più quelle dei cantanti, che le hanno tenute per tutto il tempo del concerto. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato di dover ascoltare Beethoven con la mascherina, e tantomeno che la mascherina la indossasse un soprano mentre canta. Ma se per vivere questa meraviglia e per continuare a cantare dobbiamo tenerla la terremo. Mi sono commossa, quando ho capito che avrebbero cantato con quel drappo nero sul viso. Ma non faremo la fine del Titanic, e partecipare a questi concerti non è un atto di follia. La cultura è nutrimento dello spirito, e se dovremo rinunciarci dal vivo troveremo altre strade per frequentarla. Non possiamo perdere questo balsamo per il cuore, e dobbiamo tenere alta la guardia del nostro essere umani. Che prevede anche un attaccamento ossessivo al bello che prescinde dal senso, dall’economia, dal possesso. Non abbandoniamo la cultura, non lasciamoci travolgere dal momento contingente. Saprà ripagarci con la serenità.

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Anna Prandoni
Hic + Nunc

Cucina-danza-parole. Ballerina mancata di poco, scrivo su Linkiesta, hic+nunc, Scarpetta e milanosecrets. Un'unica ossessione: Più cibo, meno cibo.