Milano è femminile

Denise Frigerio
Hic + Nunc
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8 min readOct 10, 2019

Sono tranviere, cuoche, ballerine o conduttrici di taxi, e raccontano storie di ordinaria eccezionalità. Quattro donne con Milano a fare da sfondo (e talvolta da coprotagonista)

Ph. Giandomenico Frassi

Ci sono le milanesi doc, come Nadja, quelle che a Milano ci sono arrivate quasi per caso, come Mimosa, o chi ha fortemente voluto essere qui, come Carmela o Daniela. Hanno professioni inusuali, spesso maschili (già, perché anche a volerla raccontare, la parità non è comunque così realmente certificata, nemmeno nella città più internazionale d’Italia) con un minimo comun denominatore, Milano. Ci hanno raccontato le loro storie e i loro luoghi, in un ensemble di scorci segreti, indirizzi del cuore e quotidianità. Perché le loro storie “normali” sono tutte speciali.

Nadja L. è milanessima (e lo dice con orgoglio), una vita passata a fare cose diverse — tutte belle — e a rimettersi in gioco. Oggi, a 56 anni, conduce taxi. «Che è ben diverso dal dire che faccio la taxista. Faccio questo lavoro perché cercavo un’alternativa alla mia vita. Nel 1985 avevo preso la patente B/pubblica -quella che ti permette di trasportare le persone- seguendo il consiglio di un amico. Ricordo ancora quando mi disse “Nina, fa la patente, che può tornarti utile”. Ed eccomi qui, guidare i taxi mi permette di gestire la mia vita, di portare a casa uno stipendio e di essere felice». Lontana da ogni genere di stereotipo, Nadja è una osservatrice di vita, crede nella fatalità nel destino — avete presente “Sliding Doors”? — ed è fortemente convinta che qualunque cosa abbia una soluzione. La vita le ha fatto fare giri immensi — proprio come certi amori di Venditti — e da nove anni guida il suo taxi «ma nelle pause leggo libri, tantissimi libri, e mi piace parlare con i miei clienti, quelli giusti. Certo siamo diverse dai colleghi uomini, ma non sono mica sola, le taxiste donne sono circa 500, il 10% dei taxisti milanesi, e non ho mai avuto nessuna difficolta». La sua Milano è quella che non si vede, quella aristocratica e un po’ defilata di via dei Giardini, di Sant’Erasmo «quella delle vie parallele», dice ridendo. «Ho anche una strada segreta, ma — appunto — è segreta». Ama Milano perché rappresenta l’unica via di uscita per l’Italia, un modello da seguire, una luce nel buio della crisi «e anche se è corrotta, come inevitabile, è il modello che tutti dobbiamo seguire». Nadja è solare, magnetica, energetica. Per i più fortunati improvvisa concerti di batteria al volante. Perché la vita è passione «e le passioni vanno coltivate, pensa che a 16 anni frequentavo la scuola di illustrazione e fumetto, dopo tantissimi anni mi sono iscritta nuovamente», e lo stesso vale per la batteria e per la fotografia, un altro dei suoi grandi amori.

Ph. Giandomenico Frassi

Altra storia quella di Mimosa Misasi, titolare di Mimosa Milano «che è una società di catering e organizzazione eventi, l’ho chiamata così perché è il mio nome e il nome di mia nonna, che adoro, e l’ho associata a Milano perché spero un giorno ci sia un Mimosa Londra o, che so, Parigi». Napoletana di origine, 27 anni e una laurea in Storia dell’arte, vive a Milano da cinque anni, «quasi sei ormai — aggiunge — dopo l’università ho frequentato la scuola Alma di Gualtiero Marchesi, dove mi sono diplomata come miglior studentessa e da lì mi sono spostata a Milano. Inizialmente lavoravo per le cucine stellate, 13/14 ore ogni giorno, in un ambiente che non definirei esattamente democratico. Quel tipo di vita ha tirato fuori una parte di me che non mi piaceva e così me ne sono andata, ho iniziato a collaborare con una società di catering e poi ho aperto la mia». I suoi 27 anni sembrano almeno il doppio, Mimosa parla con grande consapevolezza di sé, di come è arrivata (così giovane) a creare qualcosa di suo, in una Milano che lavorativamente parlando è incredibilmente competitiva. «Sarà che questo era il mio sogno. Quando andavo al liceo a Napoli, tutti gli spazi liberi erano dedicati allo studio delle tecniche di cucina. All’università, a un anno dalla laurea, ho avuto il coraggio di parlare con mio padre e dirgli che volevo cucinare, che avevo trovato una scuola seria dove formarmi. Lui mi disse che prima dovevo finire l’università e così mi sono messa a studiare, mi sono laureata con 96, ma per me quello è un 110 e lode».

Mimosa Misasi — ph. Giandomenico Frassi

Oggi lavora ancora 13 ore al giorno, talvolta si sveglia alle 5 di mattina per fare gli allestimenti e fa tardi la sera per fare consulenze «ma sono felice, non ho più quel senso di inadeguatezza di quando lavoravo per i grandi ristoranti: un ambiente a metà fra la goliardia e la gavetta, è un periodo che mi ha snaturato, ma che al tempo stesso mi ha fortificata. Milano è una grande opportunità e anche qui ho trovato la mia dimensione. Appena arrivata da Bologna, quando avevo tempo, andavo a passeggiare nel parco Indro Montanelli, che è meno caotico di Parco Sempione, e mi sentivo protetta, accudita. Era un po’ come guardare il mare a Napoli, era riconnettermi con me stessa. E pensare che quando mi hanno mandato qui sognavo i pascoli del Trentino. Milano è una città difficile, ma dà tantissime possibilità. Milano è hic et nunc, il qui e ora, il senso di essere presenti a se stessi e di sfruttare ogni opportunità. Anche nella negatività». Da Napoli porterebbe quel non so che di frizzante e l’arte dell’arrangiarsi tipica del sud, ma qui adora i risotti, il burro — mai assaggiato il rustin negàa? -, la Fondazione Prada, che è ordine e bellezza, e il Cenacolo che commuove. Quando ha un’ora di tempo va alla Pinacoteca di Brera, talvolta ad immergersi nella bellezza, talvolta a passeggiare nei chiostri e godere di tutta l’arte della città.

Un ritratto di Ella Bottom Rouge (ph. Giorgia Sans Merci)

L’Ultima Cena è anche il luogo di Daniela, in arte Ella Bottom Rouge, burlesque performer di origine siciliana. «Ci vado quando ho bisogno di recuperarmi un po’. Ogni volta è un’emozione incredibile, la prima volta che l’ho vista ho pianto”. A Milano da “un giorno di luglio” del 2003, oltre ad essere una ballerina di burlesque è producer, presentatrice e insegnante, «dopo la scuola di teatro passavo ad un lavoro “normale” a un ingaggio in teatro. La gavetta non è un periodo facile per un neo artista, ci vuole determinazione, sangue freddo, cazzimma, come dicono i napoletani. Poi un giorno a Londra vidi uno spettacolo di burlesque che mi ha cambiato la vita e ho pensato che quello sarebbe stato il “mio” lavoro». Amante del cinema, della danza e della letteratura erotica, oltre che della cucina — anche se non so cucinare, dice — si definisce fortunata, perché è vero che la strada all’inizio è sempre in salita, ma la passione e l’impegno compensano ogni sforzo: «quello che amo di più è la gente, il loro sorriso, lo stupore, la malizia di chi viene a vedere il mio spettacolo. E poi ci sono le facce felici delle mie allieve a fine lezione, le colleghe nuove e vecchie quando viaggio». La sua Milano è quella che si percorre a piedi: il Duomo alle prime luci dell’alba, il Naviglio Grande, la Martesana con i suoi scorci, una passeggiata da Cordusio verso il Castello, all’insegna di una città che può essere a dimensione d’uomo.

Alcune immagini del Royal Burlesque Revue (Ph. Giandomenico Frassi)

Appartiene invece al 5% delle donne tranviere milanesi Carmela Esposito, una delle 52 “quote rosa” (su 1000) a condurre tram in ATM, l’azienda trasporti milanese. Nata a Torre del Greco, in provincia di Napoli, ha 43 anni, vive a Milano dal 2001, e conduce orgogliosamente tram da ormai 16 anni «dico orgogliosamente perché ho sempre avuto la passione per la guida e ho studiato per prendere diverse patenti. Le ho quasi tutte: A, B, C, D, CQC, senza dimenticare l’abilitazione commerciale ottenuta dall’USTIF (l’ufficio speciale trasporti a impianti fissi) proprio per guidare i tram. Il tram è il mio secondo amore, dopo mio marito si intende! Ho iniziato come conducente di bus, con un servizio scuole nel comune di Bovisio Masciago, ma una volta entrata in ATM, nel 2003, ho scoperto il tram e non ho più voluto lasciarlo». A Milano ci è arrivata per scelta, dopo che l’azienda per cui lavorava vicino a Napoli ha chiuso i battenti «e mai scelta fu più vincente perché oggi faccio un lavoro che ho scoperto di amare, anche se ho dovuto studiarne tutti gli impianti, che sono complicatissimi». Per guidare un tram infatti è necessario conoscere tutti i suoi componenti, i sistemi e i dispositivi, in modo da poter intervenire prontamente sui guasti o dare indicazioni alla sala operativa in caso di problemi alla vettura «oltre ovviamente ad avere la responsabilità di molti passeggeri», aggiunge Carmela. «Ma amo il mio lavoro, non potrei mai rimanere chiusa in un ufficio, sul tram ogni giorno è un nuovo giorno, con punti di vista diversi sulla città. Per chi visita per la prima volta il capoluogo lombardo non può mancare un giro sulla linea 1, il tour classico per eccellenza. Questa linea è servita da vetture 1928, simbolo della città, che vengono chiamate anche Carrelli, proprio perché alla fine degli anni Venti i due carrelli sotto la lunga cassa in acciaio rappresentavano una novità importata dall’America. Oggi conserva intatto il fascino di un tempo e percorre tutti i punti di interesse della città, assolutamente da fare».
Carmela ha un animo gentile e adora gli animali, ha un coniglietto di nome Harley e nel tempo libero si occupa di Bobi, un cane bretone che si trova nel canile vicino a casa, dove fa volontariato, le piace stare all’aria aperta, fare sport, guidare la sua moto (già, la passione per i motori non si esaurisce con i tram!), di Milano ama i Navigli e l’Arco della Pace dove durante l’happy hour tutto è più tranquillo e rilassato. «Mi piace vedere la gente che si diverte ed è più rilassata, meno di fretta e più sorridente. Ovviamente il posto più rappresentativo di Milano è Piazza Duomo, ma come potrebbe non essere altrimenti?».

Ph. Giandomenico Frassi

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Denise Frigerio
Hic + Nunc

Giornalista di fatto, problem solver per vocazione.