Linee parallele

Mario Ferretti
#Hints
Published in
5 min readNov 3, 2019

--

Venti punti percentuali.
E’ questo il distacco finale nelle elezioni regionali di domenica scorsa in Umbria, tra Donatella Tesei, candidata della coalizione di “centrodestra” a guida Lega, e Vincenzo Bianconi, candidato rappresentante dell’esperimento di coalizione Partito Democratico-MoVimento 5 Stelle.
Un risultato oggettivamente impressionante, in una regione che non era mai stata governata da altri se non la “sinistra”.
Un risultato che mostra plasticamente gli effetti nefasti del fare politica contro qualcuno, e non per qualcosa.
Un risultato che rappresenta solo l’ultima di una lunga serie di lampanti conferme di ciò che, insieme a tanti altri, sostengo da tempo: la cosiddetta area “progressista” necessita disperatamente di un radicale e profondo rinnovamento, fondato su idee, proposte e una ritrovata visione di lungo termine. Non su alleanze, accrocchi e minestroni elettorali.

Un rinnovamento che parta innanzitutto da un netto cambio nella prospettiva con cui osserviamo e ci approcciamo ai nostri avversari politici.
Perché quando la Lega arriva da sola al 37% in una regione “rossa”, diventa assai arduo sostenere che sia tutto riconducibile a ignoranza diffusa, rigurgiti fascisti e xenofobia serpeggiante. Soprattutto ricordando che questa nuova versione della Lega non esiste da sempre, anzi è nata di fatto solo sei anni fa, ed è ora il primo partito italiano, raccogliendo consensi in tutto il Paese. E che, con lo stesso MoVimento 5 Stelle, ha tenuto in piedi fino a pochi mesi fa un governo i cui indici di gradimento hanno toccato valori che non si vedevano da molto tempo nella scena politica italiana.

E allora bisogna ripartire dall’oggettività di questi dati per rendersi rapidamente conto di un’importante verità: volenti o nolenti, tra gaffe clamorose e scivoloni imbarazzanti, la Lega di Matteo Salvini e il MoVimento 5 Stelle di Luigi Di Maio sono riusciti dove noi progressisti abbiamo fallito e continuiamo a fallire ormai da troppo tempo: hanno delineato una narrativa molto precisa, con la quale sono tornati a parlare ad un pubblico di elettori esteso e variegato, ma ben definito.
I giovani che non vedono prospettive credibili nel futuro, i quarantenni che non sono ancora riusciti ad entrare veramente nel mondo del lavoro e vivono nella precarietà, i lavoratori colpiti dalle delocalizzazioni ma anche gli imprenditori schiacciati dalla concorrenza internazionale: l’enorme gruppo, insomma, di chi dal grande tumulto della globalizzazione è uscito perdente.
Perché sì, non facciamoci imbrogliare dalle apparenze: le due forze politiche che componevano la maggioranza “gialloverde” parlano a categorie diverse di un unico insieme. E su questa base, contro i pronostici di tanti, sono riuscite a formare un governo che, manie di protagonismo a parte, sarebbe potuto durare ancora per mesi o anni.

E allora, come fare? Come affrontare questo fenomeno politico? Come tornare a guadagnare la fiducia e il consenso dei cittadini?
Iniziamo da cosa non fare. Sicuramente più facile, ma altrettanto importante.

Innanzitutto, non fare pubblicità gratuita.
C’è una famosa frase, attribuita a Oscar Wilde, che dice “nel bene o nel male, purché se ne parli”. E’ la prima regola nel mondo della comunicazione, ma evidentemente non la abbiamo ancora assimilata a sufficienza se non troviamo idee migliori per i nostri post sui social network di un commento dal linguaggio forbito su quanto Matteo Salvini sia razzista o di una approfondita analisi su quanti congiuntivi Luigi Di Maio abbia sbagliato da quando è ministro, immancabilmente corredati da un primo piano delle loro facce sbattute in ogni bacheca.

Secondo punto, basta con l’eterno approccio emergenziale.
Sono giovane, è vero, ma non ho sinceramente memoria di un’elezione di qualunque tipo in cui nel lato progressista non si sia parlato di voto utile, importanza di coalizzarsi contro qualcuno, necessità di evitare la vittoria di qualcun altro. E non ho ugualmente memoria di alcun’elezione in cui ci si sia decisi invece a costruire con il giusto anticipo una strategia chiara, basata su proposte al passo con i tempi, focalizzata sulla promozione delle nostre idee e non sull’opposizione alle idee altrui.
Un tale approccio può andar bene una volta, per un caso eccezionale.
Non è concepibile adottarlo costantemente per anni, se non decenni, perché alla lunga crea un vero e proprio circolo vizioso che punta al ribasso, al “meno peggio”, e soffoca ogni novità, ogni innovazione, ogni ambizione. Che, guarda caso, è esattamente quanto accaduto nell’area progressista.

Infine, non governarci insieme.
L’idea di “normalizzare” il MoVimento 5 Stelle alleandovisi in un esecutivo nato col solo e unico obiettivo di affossare Matteo Salvini è la perfetta rappresentazione del totale fallimento del progressismo italiano, e la convinzione che un tale governo vada sostenuto o comunque trattato con i guanti in quanto “europeista” sarebbe già di per sé più che sufficiente a spiegare perché la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania sfiori il 35% in tutti i sondaggi nazionali.
Né il movimento fondato da Beppe Grillo né tantomeno la Lega vanno “normalizzati”, essendo le prime due forze politiche del nostro Paese, e governare insieme a loro non contribuisce ovviamente in alcun modo a rinnovare l’area progressista, ma ne mette semmai in serio dubbio l’utilità stessa agli occhi degli elettori (e come biasimarli?).

Chiariti tutti i caveat, e volendo dare qualche modesto spunto sulla direzione che invece converrebbe prendere, è bene partire da una semplice considerazione, da cui peraltro derivano tutti i “non” appena esposti.
Che ci piaccia o meno, infatti, le persone votano un qualsiasi partito in base a cosa quel partito propone loro, non al sarcasmo nel criticare le proposte altrui. In base a quanto i suoi leader riescono a rappresentarle, non all’efficacia nel blastare i rappresentanti degli altri schieramenti. E, soprattutto, in base alla sua capacità nel delineare una visione del futuro e dare loro speranza e fiducia in quella visione.

E allora da qui dobbiamo ripartire. E dobbiamo farlo con le nostre gambe.
Per battere il populismo e il sovranismo, dobbiamo smettere di riferirci costantemente ai protagonisti di quelle aree politiche, e andare avanti sulla nostra strada, come linee parallele.
Urge un’opposizione costruttiva, che si fondi solo e unicamente sulle idee, sulle proposte e sulla capacità di tornare a descrivere come vogliamo l’Italia e l’Europa degli anni e decenni a venire. Come intendiamo affrontare le sfide che caratterizzeranno il prossimo futuro, come immaginiamo l’evoluzione della società, come pensiamo che la politica possa adattarsi a tali mutamenti.
Serve coraggio e capacità di pensare fuori dagli schemi, perché non ci si può più appiattire sulle frasi fatte e sul vuoto pneumatico dell’attuale area progressista, stantia e anacronistica.

Abbiamo una grande opportunità davanti a noi: costruire un futuro politico diverso, nei fatti.
Non sprechiamola.

#Hints

--

--