Che cos’è la destra radicale

Marco Pedroni
HomoAcademicus
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6 min readSep 7, 2022

Mentre preparavo il mio corso di Sociologia della cultura, mi sono imbattuto in alcune lucide pagine di Cultura come prassi di Zygmunt Bauman. Sebbene non sia un’opera di scienza politica, nel capitolo finale il sociologo polacco dedicata la sua attenzione al radicalismo di destra, all’interno di una riflessione sulla cultura come dispositivo di tracciamento dei confini.

La frontiera “noi-loro” è, appunto, una costruzione utilissima a ridurre la complessità del mondo sociale, la “vischiosità” della cultura, e la destra, a parere di Bauman, ne fa un suo tratto peculiare, attirando naturalmente l’uomo medio (il “piccolo-borghese”) terrorizzato dall’altro-da-sé.

Poichè si sente spesso dire, grossolanamente, che i giovani elettori si identificano poco o per nulla con la destra o la sinistra, galleggiando in un’era post-ideologica e praticando un voto fluido — quelli che votano, almeno — inizio a pensare che un corso di Sociologia della cultura dovrebbe dedicare qualche ora a parlare anche di cultura di destra e cultura di sinistra: che cosa sono, o sono state; se esistono ancora; come i più giovani le percepiscono, incorporano e riproducono o, al contrario, ignorano o negano.

All’alba di elezioni legislative che i partiti di centro e sinistra si sono già rassegnati a perdere in favore dell’estrema destra, le parole di Bauman — che qui riporto in forma di estratti, senza commentarle —suonano di estrema attualità. E possono aiutarci a leggere quello che succede, e succederà, in un panorama politico in cui l’estremismo di destra ha ormai lasciato i margini e si è fatto forza politica dominante.

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I brani che seguono sono tratti dall’edizione del 1976 del testo (ormai quasi introvabile, se non in biblioteche, mercatini e su eBay) di Zygmunt Bauman, Cultura come prassi, Il Mulino, pp. 230–5. Più facilmente reperibile l’edizione inglese, Culture as Praxis, pubblicata nel 1973 e seguita da diverse ristampe.

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“Il tratto distintivo del radicalismo orientato a destra è un’intolleranza diffusa indefinita, amorfa e disseminata. La sua sensibilità alla minaccia di vischiosità non nasce dal progetto che esso tenta di imporre al mondo, ma che fino ad ora si trova in disaccordo con la realtà; al contrario, essa sceglie la realtà di una sicura abitualità, diffusa ovunque, ben fondata, rispecchiata in serie di fatti che si rafforzano reciprocamente, prevedibile e di un’ovvietà silenziosa, come il solo universo tollerabile (e di fatto l’unico abitabile).

Questo radicalismo è intrinsecamente privo di un qualsiasi progetto che devii dalle strade ben battute; nel suo atteggiamento radicale è infatti motivato
dalla sua intima paura dell’insolito, dello strano, del non ancora materializzato, dello sconosciuto; da una paura dell’idea in quanto posta di fronte alla realtà. Il radicalismo di destra non può trascendere il punto di vista del reale; è questa la ragione per cui è terrorizzato da ogni idea che metta in questione l’indiscutibile monopolio e saggezza del reale, e inviti quindi all’esame di ciò che è ovvio, ossia di ciò che non va esaminato.

L’intolleranza dell’orientamento di destra è perciò altrettanto privo di
un centro focale della realtà stessa che difende. Sta in agguato, o meglio, tende delle imboscate ovunque la realtà incontri il proprio futuro.

C’è un tipo sociale (non una classe) predestinato dal suo status al ruolo di campo privilegiato di reclutamento del radicalismo di destra. Da Marx in poi questo tipo è stato chiamato piccolo-borghese. Citiamo ancora Roland
Barthes [Miti d’oggi] per il quale « Il piccolo-borghese è un uomo incapace di immaginare l’altro. Se l’altro si presenta ai suoi occhi, il piccolo-borghese si rifiuta di vedere, lo ignora e lo nega, oppure lo trasforma in se stesso… Perché l’altro è uno scandalo che attenta all’essenza».

Nell’universo circoscritto di significati del piccolo-borghese non c’è spazio per l’altro, dal momento che l’essenza del piccolo-borghese è l’universale rispecchiamento, ripetuto all’infinito e monotonamente, di un solo e identico modello esistenziale: la media elevata alle altezze assolute dell’Universalità. […]

La Media rumina ogni cosa in cui s’imbatta: essa divora, digerisce e trasforma tutto quello che le capita sotto i denti. Come un pascolo alpino spazzato da un
gregge di capre voraci, il mondo spianato dalla Media si trasforma in una landa di una noia e tristezza uniformi. Tutto quello che imprudentemente cade sulla superficie falsamente morbida e pacifica della Media scompare per non tornare mai piú: la Media attinge la propria forza e perpetua cosí la sua esistenza, disintegrando ogni cosa le stia intorno e trasformandola nel suo proprio corpo, crescendo continuamente e senza raggiungere mai i propri limiti.

La Media non è la sola entità avida ed espansiva; il tratto che la distingue, tuttavia, consiste nell’ingordigia, l’unica via di sopravvivenza che le sia aperta.
Non ha altra possibilità che quella di inghiottire e assimilare tutto quello che viene a contatto con lei, oppure morire. Per la Media, tutto il resto del mondo si divide nettamente in sostanze da ingoiare e nemici da combattere senza posa né pietà.

Non c’è posto per sottili distinzioni né per contemplare le tinte e le sfumature del quadro.

Essendo egli stesso una pura generalità informe, il piccolo-borghese non può fare a meno di vedere il suo nemico come il Supremo Nemico, come una forza satanica onnipotente, come un concentrato generalizzato di tutte le sue
minacce autentiche e finte. […]

Trattando dei movimenti sociali orientati a destra, « aventi come presupposto l’affermazione che l’umanità sta per essere conquistata da una congiura potente e onnipresente », Hans Toch mostra come per l’uomo della
strada, che « all’occasione rivela una netta predilezione per teorie che includono la presenza di complotti», oltre a fornire un obiettivo per le sue tensioni, l’idea di congiure ha il potere di semplificare il sistema di ragionamenti del credente e la sua concezione delle cause dei processi sociali…

In una congiura il processo causale viene centralizzato (in quanto
di tutti gli avvenimenti si può accusare un unico gruppo di
congiurati), assume anche la forma di un processo integrato (poiché i congiurati presumibilmente sanno quel che stanno facendo ed
hanno di mira le conseguenze della loro azione). (Toch, The Social Psychology of Social Movements, 1971).

La teoria della congiura soddisfa la condizione di generalità, che trae origine dal modo di esistenza del piccolo-borghese; l’intimo legame tra piccolo-borghese e radicalismo di destra spesso messo in evidenza non è per nulla
una semplice coincidenza.

Orrin E. Klapp attira tuttavia la nostra attenzione su altre valvole, usate per scaricare la stessa eccessiva ansia piccolo-borghese, senza fare appello a complotto spietato e onnipotente. Gente che «non sa veramente che cosa sia che non va, soprattutto quando vi sia prosperità materiale ma anche la sensazione di essere ingannati», può cercare un sollievo alla sua ansia situata a livelli profondi, ma indeterminata, coi «“contorcimenti dell’io” interessandosi dei propri abiti e della cura del proprio aspetto, facendo delle rivoluzioni di stile, interessandosi a gesti emotivi più che agli effetti pratici,
dandosi all’adulazione di qualche eroe, dedicandosi a qualche culto e simili» (Klapp, Collective Search for Identity, 1969).

C’è un’evidente differenza di accentuazione tra la prima e la seconda soluzione; la prima è orientata verso l’esterno, la seconda verso l’interno. Il
piccolo-borghese può cercare di mettere in rilievo l’estraneità dell’Altro; oppure può darsi da fare sull’altro versante, tentando di dar valore alla propria identità rinforzandola con una quantità sovrabbondante di segni di avvertimento. Quale che sia la via scelta, tanto le intenzioni quanto i risultati sono vistosamente simili: una chiara e precisa demarcazione dello spartiacque «noi-loro», intesa a rafforzare quell’opposizione presupposta e visibile tra « noi », elemento universale, e « loro », l’elemento strano, repellente e inassimilabile”.

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Marco Pedroni
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Proudly a sociologist, whatever that means. I write about digital media, cultural industries, artificial intelligence, and academia