L’importanza del conoscere i propri interlocutori: i casi vincenti nello sport, da applicare in azienda

Mattia Murnigotti
HR Marketing Italia
15 min readNov 3, 2020
HR & Marketing due realtà che, in avvicinamento, creano l’era del Branding continuo

Come le strategie di Marketing possono portare vantaggi concreti al nuovo mondo HR. Tra Employer Branding, Talent Attraction, strategie innovative e gestione delle crisi.

Le persone di Porto chiedono al club [calcistico, ndr] che rappresenti i loro valori, chiedono di incarnare sul campo il loro spirito di sacrificio nella vita di tutti i giorni. In Portogallo abbiamo un modo di dire per rappresentare questo: ‘Devi uscire dal campo con la maglia sudata’. Se la partita finisce e la tua maglietta è completamente bagnata, significa che hai dato tutto e questo è quello che chiedono le persone di Porto: che tu dia sempre tutto nel tuo lavoro.
E’ l’unico modo per creare connessione tra il club e le persone.

Ecco spiegato in poche e semplici parole come creare connessione, profonda, tra il Brand e le persone interne (dipendenti) ed esterne allo stesso.
Mai banale Josè Mourinho.

Il virgolettato iniziale di questo articolo è proprio di Josè Mourinho, allenatore vincente ed eccentrico del mondo del calcio, che proprio da portoghese racconta che cosa gli abbia permesso di raggiungere i successi che ha ottenuto in tutta Europa. E passa proprio tutto da quella capacità di creare connessione: nel team, nell’azienda, tra le persone interne ed esterne (giocatori e tifosi).

In sostanza connessione tra Club/Brand e persone interne (dipendenti) ed esterne (supporter, clienti, Talenti, ecc.).

Una testimonianza di legame tra tifosi e il Coach Mourinho, lo ‘Special One’ — Fonte: ABC.net

Ma come si può arrivare a creare una connessione vincente dall’interno di una organizzazione?
Questa è la domanda da ‘un milione di dollari’ a cui noi HR stiamo cercando di rispondere da tempo. Perché è un campo di azione nuovo, nel quale servono strumenti di conoscenza nuovi che gli HR non hanno ancora nelle loro corde.
Ci sono però buone notizie.

La prima è che queste nuove competenze possono essere prese in prestito dal mondo Marketing e Comunicazione, la seconda è che in questo articolo condividerò 6 azioni efficaci per costruire una connessione di valore tra Brand/Organizzazione e persone.

AZIONE N. 1 — CONOSCI IL TUO PUBBLICO

Punto focale per ogni progetto che vogliamo trasformare in vincente (vincente non è un refuso seguendo l’esempio sportivo di Mourinho).
Innanzitutto: cosa significa “conoscere il proprio pubblico”?
Per definirlo, ci viene in aiuto la definizione del mondo Marketing relativamente alle Buyer Personas:

rappresentazioni di clienti tipo di un’azienda, create sulla base dei dati raccolti attraverso sondaggi o interviste, tenendo conto non solo delle loro caratteristiche socio-demografiche, psicografiche e comportamentali ma anche di dati, citazioni e modi di dire che possono essere utili per creare prodotti/servizi”.

Questa definizione diventa calzante anche per il mondo HR nel momento in cui l’obiettivo diventa quello di valorizzare il proprio Brand come “datore di lavoro” in modo efficace e sostenibile nel tempo (e non solo quando necessario per campagne di recruiting).
Proviamo quindi a sostituire la parola ‘clienti’ con ‘talenti’ nella definizione appena riportata e ‘prodotti/servizi’ con ‘interesse’):

rappresentazioni di talenti tipo di un’azienda, create sulla base dei dati raccolti attraverso sondaggi o interviste, tenendo conto non solo delle loro caratteristiche socio-demografiche, psicografiche e comportamentali ma anche di dati, citazioni e modi di dire che possono essere utili per creare interesse“.

Nell’intervista Mourinho racconta come ha riportato al successo il club del Porto (Portogallo) dopo annate di terribili sconfitte, proprio facendo affidamento a giocatori non famosi o iper vincenti, ma con la fame e la voglia di vincere che era il valore centrale del club stesso:

Volevamo persone che avessero un grande feeling con il club, che i tifosi guardandoli potessero pensare ‘lui è uno di noi’. Cercavamo giocatori che avessero il senso della competizione, della combattività, che conoscessero il senso del sacrifico.
Abbiamo dovuto fare azioni di ‘recruitment speciale’ dai club più piccoli, dalle leghe minori e questo è stato fondamentale perché il cuore del Team era composto da persone con questi valori e queste caratteristiche, unite in questi aspetti. Abbiamo preso persone che non avevano vinto titoli fino a quel momento, senza esperienza internazionale: questo perché non volevamo attori che potessero portare egoismo all’interno del gruppo. In questo modo ciascun giocatore era pronto a fare tutto per raggiungere gli obiettivi con il Team e superare i suo limiti”.

Il risultato di questa azione? Vittoria immediata.
Nei suoi primi due anni come Coach del Porto, Mourinho ha vinto 2 campionati nazionali, una coppa nazionale, una supercoppa nazionale, una Coppa Uefa e una storica Champions League (17 anni dopo la prima, solo 2 totali ottenute dal Club).

Questo significa conoscere il proprio pubblico di riferimento: le sue caratteristiche, le paure, i suoi obiettivi, i suoi valori, i suoi touchpoint di interesse e coinvolgimento, ecc. .
Tutto questo per conoscere come e dove entrare efficacemente in contatto con i giusti talenti, come conquistare il loro interesse, come rispondere ai loro bisogni ed interessi primari e come generare un collegamento che porti il nostro interlocutore a compiere un’azione (candidatura ad una job, iscrizione ad un evento, richiesta informazioni, partecipazione a contest, condivisione e passaparola con altri suoi contatti, ecc.).

Obiettivo finale dell’azione 1:
conoscere il proprio pubblico è il primo, necessario, passo per rendere desiderabile lavorare con il nostro Brand, agli occhi (e al cuore) del nostro giusto pubblico.

La chiave dell’Employer Branding è proprio questa: comunicare al nostro pubblico il valore HR del Brand

AZIONE N. 2 — COSTRUISCI LA TUA STRATEGIA. ANCHE SE NON SEMBRA QUELLA PIù FAVOREVOLE

Questo punto è ciò che permette di differenziarci al primo impatto con il nostro pubblico.
Lavorando nel mondo HR su moltissimi progetti di Employer Branding e Comunicazione interna, noto troppo spesso un appiattimento di azioni generate dal “vedo che le altre aziende parlano di questi temi/fanno così, potremmo farlo anche noi”.
Il risultato di questo tipo di pensiero è un appiattimento dei contenuti e un bombardamento degli stessi concetti (spesso triti e ritriti) che non consentono al pubblico di identificare il Brand come “datore di lavoro” unico e inconfondibile.

Mourinho in questo punto dell’intervista fa riferimento al ruolo chiave di una strategia pensata su stessi:

“Nel 2003 [26 maggio 2003,ndr] abbiamo vinto la seconda ed ultima Champions League della storia del Club [trofeo più importante a livello internazionale per i club, ndr].
Non eravamo il Team più forte, il “best team”, ma abbiamo trovato una strategia che ci ha portato ad un traguardo così vincente”.

Il successo con il Team meno blasonato grazie alla strategia.

Se prendiamo come esempio la strategia di campagne di recruiting della maggior parte delle aree HR aziendali, è possibile denotare come il metodo adottato risulti il medesimo di tante altre realtà, sia competitor che non:

  1. Annuncio di lavoro testuale: “Società Leader nel settore”; “Cerchiamo candidati dotati di flessibilità e capaci di sopportare situazioni di stress”; ecc.
  2. Pubblicazione sui canali social da pagina aziendale e profilo personale: “We are Hiring” ma testo del post e job description in italiano; pubblicazione del link dell’offerta senza immagine accattivante di accompagnamento; ecc.
  3. Campagne di sponsorizzazione sulle Job Board e, raramente, sui social network (es. LinkedIn) su Target personas non definite in profondità
  4. Pubblicazione sui canali social da pagina aziendale e profilo personale: “We are Hiring” ma testo del post e job description in italiano; pubblicazione del link dell’offerta senza immagine accattivante di accompagnamento; ecc.
  5. Mail automatica di conferma ricezione del CV: “Stiamo verificando le candidature per questa posizione. Se il tuo profilo risulterà allineato, ti contatteremo per un’intervista telefonica”
  6. Scrematura delle decine/centinaia di CV arrivati per definire il quantitativo netto di profili in linea
  7. Inizio delle interviste
  8. Creazione della short-list composta dai finalisti
  9. Proposta soggetta ad accettazione/rifiuto del candidato
  10. In caso di rifiuto: nuova proposta ai profili in short list; in caso di accettazione: chiusura della job e on-boarding.

Possiamo osservare che in questi 10 passaggi piuttosto standardizzati, ci sono elementi strategici comunemente utilizzati che non permettono ad un brand di far emergere le proprie caratteristiche distintive e fornire al candidato una Candidate experience unica, indimenticabile.

E’ questo, quindi, il senso del costruire una propria strategia, anche se all’inizio è diversa da quelle comunemente messe in campo.

Nell’esempio di cui sopra le strategie da costruire potrebbero essere molteplici, ma tutte maggiormente legate agli elementi caratteristici dell’organizzazione.
Potrebbe, quindi, rivelarsi efficace una pubblicazione di Job innovativa, breve e rapida per fornire solo le principali informazioni al candidato e accenderne l’interesse. Oppure ancora adottare una strategia di storytelling professionale, raccontando la storia e dando un’immagine grafica di un dipendente (reale o inventato) che occupa quella posizione in azienda e racconta la sua employee experience; ecc.

Un’ulteriore idea di diversificazione può essere quella di fare attività mirate di selezione attraverso processi di gamification, per rendere fluida, coinvolgente ed indimenticabile l’experience del candidato.
Come nel caso Heineken.

Importante è anche dare delle chiare informazioni, preziose per il candidato, indicanti per esempio il nome della persona che sta seguendo la selezione, la durata temporale della selezione stessa, fornire sempre un feedback al candidato anche nel caso in cui il suo curriculum non sia stato ritenuto idoneo.
Perché questo permette ai Talenti di formarsi un’idea di valore rispetto al Brand come datore di lavoro e che si manterrà efficace nel tempo, portando risultati positivi nelle azioni successive.

I punti cardine di un’azione di Branding continuo: condivisione di Valori, Vision e Mission (oltre che Purpose)

Obiettivo finale dell’azione 2:
Far crescere nel proprio pubblico il valore del nostro Brand, la sua desiderabilità
di lavorare con la nostra azienda, è l’obiettivo che qualsiasi strategia di Employer Branding deve porsi.
Trovare la propria strategia caratterizzante e pianificarla senza “copiare” o seguire modelli già usati più e più volte, permette di identificarci e posizionarci come interlocutori unici per i nostri pubblici.
Come ha fatto Netflix nel 2001, rivoluzionando il concetto del recruiting HR.

AZIONE N. 3 — I TRENI NON PASSANO DUE VOLTE

Riuscire a comunicare nel tempo il giusto valore del Brand come datore di lavoro ai giusti pubblici (alle giuste Talent Personas) è l’obiettivo cardine di una qualsiasi strategia di Employer Branding aziendale.

E’ possibile, però, che ciò che il Brand ha comunicato in passato o la sua totale assenza di comunicazione da questo punto di vista, abbia generato indifferenza o un pensiero negativo nei propri pubblici di riferimento, portando così ad una situazione di riorganizzazione e ridefinizione dei propri obiettivi in termini di Employer of Choice (cioè ciò che definisce l’organizzazione come luogo di lavoro ideale per i dipendenti presenti e potenziali, oltre che per i candidati).

Nell’intervista a Mourinho emerge un fatto importante:

“Quanto è difficile trovare la giusta persona [in questo caso Manager del Team, ndr] per lavorare con il giusto Team? Nel calcio, nella maggior parte dei casi, i Manager lasciano un club perché sono sollevate dal loro incarico.
Io sono convinto che sia importante lasciare un club secondo una tua scelta, non subendone una”.

Seguendo il concetto espresso da Mourinho, è utile comprendere come i Talenti (e i dipendenti) con cui entriamo in contatto hanno sempre una possibilità di scelta:

  • in fase di proposta contrattuale, magari tra due o più aziende;
  • risceglierla ancora nel caso di un dipendente che riceve una proposta di un’altra organizzazione;
  • oppure scegliere di non accettare la proposta contrattuale fatta da un’azienda o scegliere un’altra sfida dopo il tempo trascorso come dipendente.

E’ l’azienda a fornire gli elementi che caratterizzano e indirizzano queste scelte.

Prendendo come spunto il concetto della Brand Promise appartenente al Marketing secondo cui:

la brand promise è un’esperienza o un insieme di valori che i clienti possono aspettarsi di ricevere ogni volta che interagiscono con il brand”,

possiamo accorgerci come questo concetto sia facilmente trasportabile nel mondo HR e applicabile a quella che definisco l’Employer Brand Promise:

l’esperienza o un insieme di valori, mission, vision e purpose, che le Talent personas e i candidati possono aspettarsi di vivere a contatto con l’organizzazione, sia in fase di attrazione e sia in fase di Employee Experience”.

Se la strategia di Employer Branding che è stata pianificata racconta di una Employer Branding Promise diversa dalla Employer Brand Reality, cioè dalla reale esperienza che le persone potranno vivere all’interno dell’organizzazione, allora è molto più probabile che le persone siano portate a sentire meno motivazione, a sentirsi meno coinvolte e quindi ad avere risultati meno buoni dal punto di vista della performance qualitativa e quantitativa.
Questo porta ad un appiattimento progressivo dell’ambiente interno, oltre che ad un peggioramento del valore dell’organizzazione come datore di lavoro percepito all’esterno.

Obiettivo finale dell’azione 3:
il momento di allineare il proprio valore come datore di lavoro e la propria cultura aziendale è questo.
Non è possibile pensare a queste due attività (strategia di Employer Branding e lavoro sulla cultura interna all’azienda) come separate e distinte.
Entrambe fanno parte del valore reale del Brand che viene percepito, vissuto e testimoniato internamente ed esternamente dalle persone che ne sono (o ne sono entrate) in contatto.
Per questo motivo HR e Marketing/comunicazione necessitano di trovare maggiori punti di contatto e lavoro condiviso.
Perché stiamo vivendo l’epoca del Branding continuo.

I treni non passano due volte…

AZIONE N. 4 — SE SEI PREPARATO PER IL PEGGIO, SEI PREPARATO
PER TUTTO

Mi trovo a ribadire spesso e volentieri che costruire una strategia di Employer Branding non significa lavorare solamente sul recruiting e sulla Talent Acquisition, perché queste sono solo due delle attività i cui risultati vengono potenziati da una sana strategia di
Employer Branding.

Ogni azione di Employer Branding, infatti, è rivolta a valorizzare il proprio Brand come datore di lavoro ‘ideale’ nei confronti del proprio pubblico. Questo vale sempre, in qualsiasi momento, anche senza il bisogno immediato di assumere nuovi dipendenti.
La valorizzazione del proprio Brand come datore di lavoro non ha scadenza e più è coltivata nel tempo, più i risultati saranno visibili ed incisivi.

Questo vale ancora di più nella gestione e pianificazione strategica durante i periodi di crisi.
Solitamente, infatti, in questi periodi la tendenza generalizzata è quella di interrompere i progetti di comunicazione HR a fronte di “capire cosa succederà”. E’ qui che subentrano due azioni importanti da poter mettere in campo, agendo in direzione contraria e avvantaggiandosi:

A - Continuare a comunicare il proprio valore come datore di lavoro, mettendo in luce come l’organizzazione sta affrontando e rispondendo alle difficoltà, anche e soprattutto attraverso la testimonianza diretta dei propri dipendenti;

B - Pianificare una comunicazione interna assidua (ma non stressante) che permetta ai propri dipendenti di sentirsi informati, coinvolti, responsabilizzati e meno impauriti circa il periodo di crisi.

Mourinho spiega questo concetto dell’azione n. 4 in questo interessante modo:

“Quando nel 2003 siamo andati in Champions League [con il club del Porto, che alla fine vincerà la coppa clamorosamente, ndr] eravamo uno dei migliori Team in Portogallo, ma non eravamo assolutamente uno dei migliori Team in Europa [10° posto nel ranking, ndr].
E quando non sei uno dei migliori Team e non hai i migliori interpreti come giocatori, la tua migliore strategia può essere l’ambizione. Di vincere!
”.

Nella gestione della crisi (il Porto vincerà la Champions League battendo squadre e giocatori molto più forti) la strategia impostata su una forte cultura e valori interni è cruciale: rendere il team coeso e con la medesima ambizione, condividendo obiettivi chiari e spiegando passo passo come affrontare le difficoltà, insieme, per raggiungerli, è il crocevia che permette di trasformare una crisi in un’opportunità favorevole. O vincente, come nel caso del Porto.
Questo l’obiettivo finale dell’azione 4.

Il modello di Employee Experience Journey creato per coinvolgere e far sentire parte attiva il dipendente

AZIONE N. 5 — COMUNICA IL TEAM E IL RUOLO DI OGNI SINGOLO ALL’INTERNO DI QUELLA SQUADRA

Le possibilità di generare risultati sull’esterno da parte una strategia di Employer Branding, derivano sempre dalla capacità di estrarre il valore unico e caratteristico del suo interno.

Non esiste strategia di Employer Branding che nasca all’esterno dell’organizzazione.

Il ruolo primario di una efficace strategia di Employer Branding è quella di mettere insieme le varie esperienze vissute dalle persone che operano all’interno dell’organizzazione, la sua cultura, i suoi valori, la mission e il purpose ultimo, e farne un mix equilibrato, che possa generare emozioni e comunicare concretamente qualcosa alle persone che hanno a che fare quotidianamente con quell’ambiente.

In questo modo si stravolgerà il rapporto tra azienda e dipendenti:
non sarà più necessario dire ad ogni singolo collaboratore come deve fare il suo lavoro, ma sarà solamente necessario insegnare come fare svolgere il loro lavoro all’interno di quel Team, di quell’ambiente di lavoro.

E’ una rivoluzione copernicana, nemmeno così distante come si crede. Perché è quello che cercano già oggi i Talenti delle generazioni più giovani: sapere quale impatto sull’ambiente intorno a sé avrà il proprio operato.

Mourinho affronta questo tema in un modo molto chiaro e semplice da comprendere:

“E’ molto importante per un allenatore [un Manager aziendale, un responsabile di Team, per l’HR di riferimento, ecc., ndr] capire che non devi insegnare ad un giocatore professionista come giocare a calcio: non devi insegnare a Cristiano Ronaldo come battere le punizioni, non devi insegnare a Ibrahimovic a stoppare la palla di petto, non devi insegnare a Drogba come tagliare sul primo palo e fare gol in sospensione. No, questo loro lo sanno già fare al meglio e si allenano per migliorare.
L’allenatore deve capire che il punto chiave è insegnare ai giocatori come giocare al meglio delle proprie skills all’interno di quel Team

Obiettivo finale dell’azione 5:
allenare una cultura e una comunicazione inclusiva
, condivisa e partecipata, dove ciascun singolo interprete ha delle caratteristiche in cui eccelle che deve imparare a mettere a disposizione in un’azione corale come quella dei Team.

Michael Jordan ci può insegnare molto rispetto al mettere il proprio talento a servizio della squadra

AZIONE N. 6 — ALCUNE REGOLE DEVONO ESSERE ROTTE
(PER POI COSTRUIRNE DI NUOVE)

Se sei arrivato a leggere fino a qui significa che sei veramente interessat* a comprendere come poter concretizzare un cambiamento così grande che impatta sul mondo HR e sulle organizzazioni (nonostante l’articolo così lungo. E ti ringrazio per l’attenzione).

Questo principio della ‘rottura’ è molto conosciuto nel mondo del Marketing (vedi esempio Guerilla Marketing, ndr) tanto da essere considerato una ‘legge immutabile’:

La legge della singolarità: in ogni situazione solo una mossa produce risultati sostanziali.
Nel marketing l’unica cosa che funziona è una sola mossa audace. Bisogna trovarne solo una, che il concorrente non si aspetta. Per fare questo bisogna conoscere il “campo di battaglia” in modo diretto”.

Il principio è totalmente applicabile al mondo HR che sta rapidamente vivendo un cambiamento di approccio, mindset e skills: basti pensare al concetto del già citato Employer Branding che diventa un principio innovativo di attrazione del talento, proprio in chiave HR; oppure anche delle strategie di ambassadorship che trasformano i collaboratori nei primi testimonial di valore per l’organizzazione.

Il cuore, però, di questa rottura che genera valore deve poggiare sempre su una base solida, che è quella della conoscenza del campo di azione.

Perché in una strategia di Employer Branding e di comunicazione interna, non vale inserire nella pianificazione qualsiasi cosa.
E’ fondamentale avere chiari:

  • gli obiettivi che si vogliono raggiungere,
  • le tempistiche di raggiungimento,
  • gli strumenti e il budget a disposizione.

In questo modo è possibile costruire un piano editoriale che generi valore attraverso risultati concreti, andando poi a delineare nella pratica cosa deve essere comunicato, quando, con quale modalità e cadenza.

Affidarsi a chi conosce il campo di azione è la scelta migliore per tracciare una nuova strada e stabilire nuove regole che generano una realtà sostenibile nel tempo.

Mourinho racconta un episodio che ha caratterizzato questo rompere le regole, spiegando come proprio questa mossa audace ne abbia valorizzato la Leadership.

Antefatto: dopo una squalifica dell’organo sportivo internazionale UEFA, in un match chiave per il torneo europeo del suo Chelsea, Mourinho non avrebbe potuto stare vicino alla squadra (né in panchina, né nello spogliatoio) per tutta la durata della gara: dall’arrivo allo stadio fino alla fine della partita.
Ha deciso di rischiare la propria carriera infrangendo la regola proprio per essere vicino al suo Team, escogitando un modo per stare vicino alla squadra nonostante il divieto. Anche se questo ha significato nascondersi in un cesto degli indumenti sporchi e stare chiuso al suo interno.
Cosa ha generato questa rottura della regola, oltre alla vittoria sul campo della sua squadra?

“Abbiamo vinto la gara ma non è la vincita il cuore di questa vicenda.
Quello che ho fatto in quello spogliatoio (pur non potendoci essere) è qualcosa che non mi rende orgoglioso, perché sono andato contro le regole.
Ma allo stesso tempo sono orgoglioso di averlo fatto come Leader del Team.
Sono orgoglioso di aver rotto questa regola perché l’ho fatto per i miei ragazzi.
Per la tua famiglia fai qualsiasi cosa. Anche infrangere le regole”.

Attenzione: non è un invito ad infrangere qualsiasi regola o alla ribellione estrema come stile di vita. Come in ogni aspetto della vita è necessario un sano approccio critico che consente di leggere la realtà in modo equilibrato, trovando così la modalità per “rompere le regole” stando ampiamente nei limiti della legalità.

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