(Graphic Credits: Hueval Design Department — Author: Gionatan Fiondella)

Customer Centricity e Leadership. La vostra azienda è pronta?

Giorgio Mottironi
Hueval
Published in
7 min readJun 4, 2020

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Cosa significa essere customer centric?

→ Significa fare un passo indietro per farne due avanti.

→ Significa l’opposto di essere gerarchicamente configurati: si deve cedere potere decisionale a chi sta in basso, a contatto con il cliente, per mantenere il cliente davanti a tutto.

→ Significa essere leader anche nel modo in cui di recente ho sentito dire da Pietro Jarre durante un talk presso Alan Advantage, parafrasando: “salda banderuola al vento”, a cui aggiungerei la capacità di saper incidere in modo “non lineare”.

E’ un grande sforzo di cambiamento culturale che non tutti sono pronti a fare, forse neanche ora che glielo chiede il mercato.

L’alternativa? Essere rimossi dal mercato, come sta accadendo alle banche o al mondo della finanza tradizionale o di altri settori dove il potere è dettato da un’escalation verso l’alto che impedisce loro di erogare servizi nei tempi in cui il mercato se l’aspetta, noi ce lo aspettiamo.

Ora vi spiego la storia del significato dell’essere customer centric e del perché lo si debba essere in modo nuovo.

Lo avrete sentito dire migliaia di volte: oggi per essere vincenti sul mercato si devono configurare strategie che ruotano attorno alle esigenze del cliente. Ma poi quasi nessuno vi dice la verità, ovvero che è tremendamente difficile.

La maggior parte degli imprenditori Italiani, ma anche esteri, con cui ho a che fare quotidianamente, senza saperlo ha già piegato buona parte — forse quella più importante — della propria organizzazione aziendale alle bizze dei clienti. O meglio, per essere “politically correct”, alle molteplici e variegate situazioni cui si trovano di fronte.

Per le PMI è stata un’esigenza, è divenuta un intelligente e “unfair advantage” che quasi tutte hanno incluso nel loro modo di essere geniali sul mercato e per il mercato: flessibili, agili, in grado di orientarsi al mutevole vento che ne governa i flutti, ma d’altro canto, estremamente fragili se l’onda che arriva improvvisa è troppo grande.

Perché? Perché si sono rese troppo flessibili lì dove non avrebbero dovuto, ovvero dove la crescita rischia di essere inficiata dalla flessibilità (il commerciale), mentre si sono irrigidite lì dove la flessibilità sarebbe stata la “soft skill” principe per l’organizzazione al fine di farla crescere: gestione, innovazione, comunicazione e marketing.

Le PMI italiane sono inconsapevolmente customer centric e soffrono tale configurazione rispetto al mondo della finanza ed ai grandi competitor globali (anche se tale sofferenza sta divenendo ogni giorno sempre più condivisa tra i vari stakeholders).

Insomma, quel 92% del totale attivo nel tessuto imprenditoriale italiano è “customer centric” quasi da sempre, ma inconsapevolmente e quasi solamente per una loro dimensione — certo strategica — cioè quella commerciale. Lì dove in realtà avrebbero dovuto mantenere più controllo e disciplina, a volte anche a favore di migliori bilanci, hanno sviluppato approcci creativi in cui il direttore commerciale, sia perché di famiglia sia perché molto potente, ha fatto e fa il bello e il cattivo tempo, la buona e la cattiva sorte.

Dall’altra parte ci sono invece le Grandi Aziende, i colossi dalla burocrazia elefantiaca e dei processi gerarchici in cui non si cede potere e posizione nemmeno di un millimetro verso il basso. In cui la burocrazia operativa è un modo per le persone di non assumersi troppe responsabilità decisionali, per essere comunque al riparo dai venti, o per non decidere nulla proprio.

Qui il “customer centric” è un concetto che a livello commerciale non è mai stato sperimentato: l’offerta è questa, l’approccio è quello (o così, o pomì.). Ed allora tutta la frontiera della sperimentazione si è spostata sul marketing, creando una forma comunicativa innovativa, ma poi una forte dissociazione tra aspettativa ed esperienza, nel momento del passaggio al contenuto.

Nelle grandi aziende “customer centric” è stato solo un modo di riconfigurare la comunicazione e le strategie di marketing, creando un problema enorme di aspettativa vs. esperienza nel passaggio da forma a contenuto.

Una testimonianza è rappresentata dalle banche, dal mondo della finanza di impresa, dal mondo dell’automotive (anche se qui, pur di venderti qualcosa, sono oramai quasi pronti a tutto).

Riassumiamo: da una parte il 96% delle imprese che si contorcono commercialmente e si stressano finanziariamente per accontentare i clienti, ma che non sanno come comunicare o innovare al fine di equilibrare tale situazione, dall’altra grandi aziende che si sbracciano per comunicare quanto siano attente alle esigenze dei clienti e che alla fine riassumo in schemi commerciali predeterminati o processi innovativi che hanno durate geologiche.

Photo by Icons8 Team on Unsplash

Eppure qualcuno ci riesce.

Questo dipinto è, infatti, solo un lato della barricata, un fronte sempre più relativo. Oltre a ciò, vi è un mondo completamente nuovo, fatto di startup e di dimensioni innovative — sul serio — che grazie al fatto di essere giovani o di natura “sperimentale” (si veda il caso di LEGO “Future Lab” o “Serious Play”) riescono ad essere fortemente customer centric in modo olistico, ovvero in modo completo rispetto al “marketing”, al fare mercato, ed al modo di disegnare i processi di innovazione.

E come mai loro ci riescono? Ci riescono perché per esserlo si deve essere culturalmente adeguati a cedere potere e controllo alle parti più basse dell’organizzazione, quelle che sono di fronte al cliente, quelle che manterranno il cliente dinanzi a tutto (perché infine è il vostro asset più importante).

Le PMI cedono controllo e potere lì dove dovrebbero essere più disciplinate e si tengono stretto e imbrigliato tutto il resto, marketing incluso, riducendo le loro opportunità di crescita. Le grandi imprese rivoluzionano il marketing ma faticano a trasformare il resto, tenendo vincolato il loro mercato a procedure lunghe o obsolete, fintantoché non gli sfugge tra le mani come una saponetta sotto la doccia per finire dalla parte del mercato che innova in toto.

La questione non è banale: essere customer centric significa servire il proprio cliente in una missione che va oltre le visione aziendale del mercato (company market e service view), quindi significa caricarsi sulle spalle il peso della molteplicità dei suoi problemi. È un po’ come trasportare un carico importante e mal distribuito: per farlo devi essere agile nel gestire il tuo equilibrio e sapere quali processi attivare per evitare che tutto cada a terra, essendo capace di guardare “oltre” il processo per trovare risposte rapide ed efficaci.

Per essere customer centric devi essere predisposto culturalmente, avere necessità di cambiare, oppure soccombere lentamente sotto il peso del mancato tentativo.

Le difficoltà sono diverse. Di seguito una sintesi delle principali:

  1. Devo cambiare.
  2. Devo cambiare per servire i miei clienti più delle mie aspirazioni e/o obiettivi.
  3. Devo cambiare accettando di perdere l’apparente controllo, dato da processi standard, di quell’ultima parte di azienda di cui pensavo di detenere il potere (e di cui magari non so nulla tecnicamente).

Un imprenditore già stanco di doversi far tirare la giacchetta dal commerciale, da qualche parte vuole mantenere il controllo: “d’altronde l’azienda è mia ed in qualche modo si deve pure vedere”.

Ma se si continua a vederla così è praticamente una missione impossibile. Essere customer centric significa l’opposto di essere gerarchicamente configurati: si deve cedere potere decisionale a chi sta in basso, a contatto con il cliente, per mantenere il cliente davanti a tutto.

Così accade che se già lo hai ceduto in una parte consistente della tua azienda, quella del fatturato, non sarai mai molto predisposto a farlo negli altri ambiti, in particolare il marketing, dove si va come per riprendere il potere, ritrovare un po’ di controllo, soprattutto lì dove ci si capisce poco e si ha quindi più paura di fare “danni”.

E così, ecco perché il marketing soffre, e soffre tanto sia nelle PMI che nelle Grandi Aziende — tranne quelle che ci hanno provato e che oggi devono affrontare ulteriori sfide di centricity.

Però il marketing, in alcuni casi — startup ed alcune grandi aziende — ha comunque dato prova di essere fattibile e applicabile e in dimensioni che vogliano essere agili e flessibili potrebbe essere la formula vincente.

Una scelta intelligente fatta dal marketing riguarda il brand dell’azienda, come dovrebbe essere identificato, attraverso quali attori, quale tono di voce dovrebbe avere, favorendo il passaggio da una dimensione da solista ad un coro: il brand di un’azienda è oggi rappresentato anche, se non prima, dall’insieme dei “personal brands” dei suoi dipendenti o collaboratori i quali, in quanto persone, possono essere molto agili e sfruttare tale vantaggio rispetto alla strategia ed alle attività dell’azienda stessa, ovviamente lungo la direttrice dei valori che il brand deve aver già insegnato e condiviso in primis con la propria organizzazione.

Moltiplicati i “touch points”, moltiplicate le voci, moltiplicati i contenuti, moltiplicate le opportunità, moltiplicata la velocità.

Certo è stata una trasformazione guidata dalle nuove dimensioni digitali di engagement — i social principalmente — in cui più si è e meglio è ma, se ci pensate bene, è accaduto un po’ come in un miracolo ben più famoso che forse ha ispirato e trainato emotivamente la produzione industriale in serie.

La soluzione? Essere “Functionally stable while staying constantly in the flux”.

A parte le sofferenze, e l’esempio vincente del marketing in particolare, le tre difficoltà devono divenire tre opportunità, in cui gestire il delicato equilibrio tra un approccio al mercato guidato da driver interni dell’azienda quali know-how, expertise, best practices, benchmarks, e driver esterni, quali data analytics, market information, customer behaviors.

Se il significato di una configurazione customer centric è il cambiamento culturale, l’obiettivo deve essere interconnettere attivamente le attività rilevate quotidianamente sul mercato e dal mercato alla missione ultima dell’organizzazione aziendale.

Quindi, proviamo a riscriverle in questo modo:

  1. Devo migliorare e devo capire in quale ambito della mia azienda farlo nel principio dell’essere customer centric.
  2. Devo ritrovare la possibilità di adeguare rapidamente i miei obiettivi a ciò che il mercato richiede mutevolmente.
  3. Devo condividere con la natura mutevole del mercato lo sviluppo delle mie strategie, cedere controllo acquisendo più potere dovuto alla mia posizione, più vicina ed efficace.

D’altronde se ci pensiamo bene, essere customer centric in questo modo significa essere dei leader, perché oggi un leader è chi sa guardare alla vastità degli orizzonti futuri, senza dimenticarsi della miriade di cromie di cui sono composti; chi sa essere banderuola al vento, fissa ma orientabile; e che sa incidere non linearmente sull’evoluzione degli eventi.

Essere leader è essere customer centric: sottintesi, sfuggevoli e mutevoli agenti causali nella determinazione degli eventi.

An English version of the article can be found at this link.

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Giorgio Mottironi
Hueval
Writer for

I started from engineering, I went through marketing, and I landed into philosophy. Lateral and critical thinking is my obsession, human unconscious my mission.