Giusto una considerazione sulle strategie di comunicazione

Non tutto è perduto. Serve solo un po’ di umanità.

Marco Rossi
Hueval

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Non c’è bisogno di dire quanto il coronavirus ha trasformato le nostre vite, sia professionali, che personali. Il lavoro e il rapporto coi colleghi oramai è principalmente digitale, le comunicazioni interne sono incentrate sulla sicurezza e il contenimento del danno, le newsletter mostrano gli sforzi delle aziende e di come stanno gestendo la pandemia.

È sicuramente fantastico sapere che lì fuori c’è ancora chi non si arrende e mantiene le corde del business nonostante i tempi duri. Tuttavia, newsletter, notifiche, post sui social con le ultime novità aziendali e le loro strategie per mantenersi attivi possono risultare esempi di “business-centered communication”, cioè di comunicazione incentrata solo sull’operato aziendale. Così facendo, si può cadere nella trappola di evidenziare solo il proprio lavoro e i propri obiettivi.

In un articolo di Sifted, la colonna sulle startups del Financial Times, è riportato come alcune compagnie stiano “cercando di capitalizzare sulla nostra condizione di dover restare a casa per cercare di venderci cose di cui non abbiamo davvero bisogno”.

Tuttavia, la stessa autrice ammette che questo può sembrare un po’ ingiusto. Dopotutto, siamo tutti sulla stessa barca e le compagnie devono pur mandare avanti il loro business. Hanno dei dipendenti — forse con famiglie — debiti, bollette, costi fissi che non possono essere ritardati e così via… Dovranno pur avere un ritorno monetario eventualmente.

Il punto qui non è capire se alcune compagnie sono peggiori di altre o contribuiscono meno di altre. Certo, alcune hanno fatto trapelare il messaggio di non avere alcun riguardo, come Virgin che ha chiesto ai propri dipendenti di prendere 8 settimane di ferie non pagate — quando anche solo una frazione del patrimonio del fondatore, Richard Branson, avrebbe potuto coprirne i salari.

Mentre altre compagnie che hanno riutilizzato i loro impianti manifatturieri per produrre indumenti clinici, respiratori o mascherine, hanno lasciato un forte messaggio di cooperazione e buona volontà — come Armani, AMI Paris, Chanel, Dolce & Gabbana. Dopotutto, avere compagnie tessili che cambiano i propri impianti per produrre indumenti clinici è anche una strategia quasi a costo zero per un ritorno esponenziale sulla strategia di marketing.

Dopotutto, siamo tutti sulla stessa barca e le compagnie devono pur mandare avanti il loro business. Hanno dei dipendenti — forse con famiglie — debiti, bollette, costi fissi che non possono essere ritardati e così via… Dovranno pur avere un ritorno monetario eventualmente.

In ogni caso, qualsiasi sia l’industria in cui ti trovi e qualunque sia la grandezza della tua compagnia, non dimenticare mai che è proprio di questi tempi che le azioni vengono ricordate maggiormente.

Un approccio human-centered può sembrare ovvio per molti: la vera e propria essenza del concetto di marketing si basa sull’attenzione che si dà ai clienti, dei loro trend, modelli comportamentali, profili, ecc. Tuttavia, questa crisi ci ha anche costretto a distinguere ciò che abbiamo davvero imparato da quello che spacciamo per vero sulle bacheche dei vari social.

Le aziende — e con “aziende” intendo gli umani dietro la comunicazione, il board, i CMO — non stanno implementando strategie e campagne mirate a colpire i bisogni umani dietro la figura del cliente-portafoglio (o altre aziende, nel caso di B2B). Dopotutto, quando ci interfacciamo con una situazione difficile, è facile cadere in una trappola egocentrica e di ignorare tutti gli aspetti esogeni al proprio business.

Ultimamente ho preso parte ad alcuni corsi molto interessanti, ma l’alto tasso di meeting, webinar, e quant’altro ha a che vedere con la crisi pandemica in modo superficiale, e ciò è solo un ulteriore indice di un sistema parassitario in cui pubblicità e trazione verso il brand sono più importanti dell’aiutare effettivamente la comunità in cui vogliamo vivere. Oscar Wilde sarebbe orgoglioso, ma la realtà è ben lontana dalle trappole ammalianti della letterature estetica.

Credo che, come breve conclusione, il mio ragionamento è che siamo tutti i clienti di qualche compagnia, sia come persone che come aziende. Già sappiamo come ci piacerebbe essere contattati o che tipo di comunicazione ci aspettiamo… Non ci sono scuse per un output negativo. Forse ci concentriamo troppo sul vedere le nostre aziende come un’entità distaccata e alienata da noi stessi.

Ma il branding è un processo emotivo. Alle persone piace sentirsi connesse alle aziende da cui acquistano — specialmente se sono startup con una piccola utenza e customer base.

Non dimenticare mai che è proprio di questi tempi che le azioni della tua azienda vengono ricordate maggiormente.

Non si fa altro che parlare di possibilità di espansione, data la quantità di tempo che la gente passa sui social, per via del lockdown. Ma ogni strategia di espansione è vuota se non supportata da una comunicazione che rafforzi innanzitutto la lealtà dei clienti abituali, per poi avere delle mire espansionistiche attraverso i social o qualsiasi altro strumento necessario.

Prima di progettare una campagna marketing — che sia un piccolo piano editoriale o un investimento in una campagna pubblicitaria duratura — cerca di indossare i panni del cliente e chiediti se quello che fai stia davvero aggiungendo un valore tangibile, poiché ora più che mai i tuoi clienti ricorderanno le tue azioni.

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Marco Rossi
Hueval
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Tech enthusiast and growth hacker. PR and Growth Hacker at Hueval (https://www.hueval.com/)