Dati sulla Lettura: cronaca di un disastro nazionale

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Human Factor, per discuterne
7 min readJan 22, 2015

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di Luana Di Molfetta

Qualche giorno fa sono stati presentati i risultati dell’indagine effettuata dall’Istat sulla produzione e la lettura di libri in Italia. Il rapporto fotografa la situazione nell’anno 2014, comparandoli ai dati del 2013. Emerge una flessione della percentuale di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro, per motivi non scolastici o professionali nell’arco di 1 anno: si passa dal 43% del 2013 al 41,4% del 2014, confermando, dunque, quell’andamento negativo già rilevato da qualche anno.

In particolare i dati evidenziano una ripartizione geografica, socio-economica e generazionale molto ben definita:

Il calo ha interessato in modo particolare i più giovani: si passa dal 49,3% del 2013 al 44,6% del 2014 per i ragazzi tra i 6 ed i 10 anni, dal 57,2% al 53,5% per quelli tra gli 11 ed i 14 anni e dal 49,8% al 45,6% per giovani tra i 20 ed i 24 anni.

Si confermano le differenze rispetto al livello d‘istruzione. La lettura di libri continua ad essere praticata soprattutto dalle persone con un titolo di studio più elevato: leggono circa tre laureati su quattro (il 74,9%; il 77,1% nel 2013), ma la proporzione si riduce a uno su due fra chi ha conseguito al più un diploma superiore (51,1%; il 53% nel 2013).

Si aggrava il dato geografico: al nord legge il 48% della popolazione mentre al sud solo il 29,4%. Le famiglie maggiormente sprovviste di libri sono quelle della Basilicata (il 19,1% non possiede nemmeno un libro), della Sicilia (18,1%) e della Puglia (17,9%). Mentre il Friuli-Venezia Giulia (38%), l’Emilia Romagna (34,2%) e la Sardegna (33,6%) sono le regioni con la più alta percentuale di famiglie con più di 100 libri in casa. Nelle aree metropolitane si evidenzia la discrepanza tra centro (54%) e periferia (44%).

Al di là del contesto territoriale di appartenenza, la lettura risulta essere un comportamento fortemente condizionato dall’ambiente familiare e la propensione alla lettura dei bambini e dei ragazzi è certamente favorita dalla presenza di genitori che hanno l’abitudine di leggere libri: tra i ragazzi di 6–14 anni legge il 66,9% di chi ha madre e padre lettori e solo il 32,7% di coloro che hanno entrambi i genitori non lettori.

I “lettori forti”, coloro i quali leggono almeno un libro al mese, che reggono praticamente da soli l’industria libraria e la rete delle librerie, costituiscono una quota minoritaria ma rappresentano un pubblico sostanzialmente stabile (erano il 13,9% del totale dei lettori nel 2013): con una età compresa tra i 65 e i 74 anni (il 20,2% delle lettrici e il 21% dei lettori). La quota di “lettori forti” tra i giovani di 20–24 anni resta inferiore alla media nazionale (10,6% contro 14,3%), ma risulta in flessione rispetto al 2013 (11,8%). Il calo della lettura rispetto all’anno precedente sembra da attribuire soprattutto all’ulteriore diminuzione della categoria dei “lettori deboli” (-6,8% rispetto al 2013), i quali già avevano un rapporto molto fragile ed estemporaneo con i libri (dichiarano di aver letto da uno a tre libri al massimo in un anno): sono quasi la metà dei lettori maschi (il 47,9%) e delle persone con età tra 11 e 14 anni (51%), con al più la licenza media (52%), in cerca di nuova occupazione (52,2%), e residenti nel Sud (57%).

Dai dati fin qui riportati spicca un elemento su tutti da cui far partire qualsiasi riflessione: siamo di fronte ad un calo netto e generalizzato, sicuramente dovuto alla crisi ma che non è sufficiente a spiegare l’abbassamento registrato; in questo contesto drammatico nazionale emerge il dato disperante della condizione del Sud con una divario tra Friuli Venezia Giulia (53,6%) e Sicilia (26,2%) del 27,4%. Se confrontiamo questo quadro con quello della presenza delle biblioteche sul territorio nelle diverse regioni, ci rendiamo subito conto quanto i due parametri siano correlati: ad un basso indice di lettura di una regione corrisponde in modo evidente una basso numero di presenza di biblioteche sul territorio. Prendendo a riferimento due regioni del Sud, Puglia e Sardegna il panorama appare ancora più chiaro: la Sardegna che negli anni ’70 ha pianificato una seria politica di investimento infrastrutturale, grazie ad una gestione illuminata, presenta una vasta e capillare rete di piccole biblioteche di lettura che producono un’attività mirata alla esigenze della comunità e presenta infatti indici di lettura pari al centro — nord Italia (45,7%); di contro la Puglia, che mostra un basso livello di infrastrutture (assenza di biblioteche comunali di pubblica lettura e presenza di biblioteche provinciali che, essendo per lo più biblioteche di conservazione, non producono l’attività necessaria ad attrarre pubblico) ha indici spaventosamente preoccupanti (26,8%). Se in un territorio mancano i luoghi della cultura, qualsiasi intervento a pioggia non produce nessun risultato di lungo periodo.

In una recente intervista, Giovanni Solimine, che insegna “Management delle biblioteche” e “Biblioteconomia” presso la Facoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza” di Roma ed è presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche, per la quale coordina attualmente l’Osservatorio sulle biblioteche italiane, affermava, commentando i dati sulla lettura, come sia assolutamente normale che chi non incontra i libri sul proprio cammino non possa sentire la voglia di leggere: si legge poco in tutte le realtà in cui la rete di biblioteche e librerie è più debole. A tale proposito si deve riscontrare che il dato della lettura è associato al livello di istruzione (non ha letto un libro il 72,7% di chi possiede al più la licenza elementare), e al contesto urbano di appartenenza (l’incidenza di “non lettori” è maggiore nei comuni di minore ampiezza demografica e raggiunge il 60,8% nei comuni fino a 2.000 abitanti). I “non lettori” rappresentano oltre la metà della popolazione in ben 14 regioni su 20; il primato negativo nella graduatoria regionale spetta alla Sicilia (71,8%) e alla Puglia (70,8%). Questa scarsa propensione alla lettura è un indice di difficoltà di accesso anche ad altre risorse ed opportunità culturali. Ai non lettori, infatti, corrispondono livelli di partecipazione culturale significativamente inferiori alla media: ad esempio, hanno visitato musei o mostre il 48,9% dei lettori contro il 13,3% dei non lettori, e siti archeologici o monumenti il 38,7% dei primi contro il 10,3% dei secondi, mentre hanno assistito a spettacoli teatrali il 32,3% dei lettori contro il 9,6% dei non lettori. Si evince qui una relazione biunivoca tra scarsità di lettura e minore fruizione culturale e opportunità economiche, come già avevano evidenziato Bruno Arpaia e Pietro Greco in un interessante libro intitolato La cultura si mangia (scritto per rispondere all’ormai tristemente famosa affermazione tremontiana “con la cultura non si mangia”), in cui forniscono un’analisi dell’Italia confrontata ai Paesi OCSE e a quelli che guidano l’economia mondiale. I dati impressionano: oltre il 60% dell’economia mondiale si regge su quello che viene chiamato il “triangolo di Eco”, vale a dire, industria creativa, formazione e ricerca (scientifica e umanistica). L’Asia si appresta a diventare leader mondiale nel campo dell’informatica, il Brasile occupa il decimo posto, il Pil degli USA è dato per il 53% dalla produzione culturale. E l’Italia? Nell’industria creativa (dal cinema all’editoria, dall’architettura al design, fino all’enogastronomia) perde posizioni investendo solo l’1% del PIL e abbiamo un numero di laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni (20%) inferiore delle metà rispetto alla media OCSE (40%) e di due terzi rispetto a paesi come Corea del Sud, Giappone, Canada, Russia (circa il 60%). Quanto potremo reggere con questo pesante gap cognitivo? Il vero problema dell’Italia è il modello economico errato basato su uno sviluppo senza conoscenza, cioè senza ricerca. Siamo di fronte ad una fase cruciale: è in atto nel mondo da diversi anni il passaggio da un’economia industriale classica ad un’economia culturalizzata: siamo dentro una nuova globalizzazione. “Chi pensa che il declino dell’Italia sia un problema che possa essere risolto dal libero mercato crede nelle favole”, affermano i due autori; senza un intervento forte e serio dello Stato non se ne viene fuori, come dimostrano le scelte fatte da tutti i Paesi che oggi guidano la classifica dell’economia, a partire proprio dagli USA.

Di fronte a questa situazione così compromessa dalla scarsità delle risorse investite e da un’assenza di politiche culturali cosa è necessario fare? Siamo di fronte ad un problema che può essere risolto solo con un serio piano nazionale di infrastrutturazione che porti l’Italia ai parametri europei.

Nominato a presiedere il comitato di coordinamento del Piano nazionale di promozione della lettura, istituito dal Ministro dei Beni culturali Massimo Bray nel 2013, Solimine poneva come prioritaria l’azione per il contrasto alla disaffezione alla lettura lungo due direttrici, rispettivamente di ordine strutturale e promozionale: organiche azioni di potenziamento delle “infrastrutture” (scuola, librerie, biblioteche) che hanno il compito di formare i lettori e di dare continuità ai risultati che le attività promozione possono produrre. Auspicava di riformare il Centro per il libro e la lettura, per renderne più efficace e incisiva l’azione e dotandolo di risorse adeguate, e un sostegno per la elaborazione di leggi regionali sulla promozione del libro e della lettura affiancando ad esse campagne promozionali vere e proprie, da programmare per almeno un triennio, che prevedano attività di comunicazione finalizzate a sostenere il valore e la dignità della lettura, come pratica attraverso la quale si formano le competenze e la capacità di partecipazione dei cittadini; l’organizzazione di una “settimana delle biblioteche” e di una “settimana della lettura a scuola”; la diffusione delle buone pratiche; la stipula di “patti locali per la lettura”, finalizzati alla creazione di reti di relazioni tra le componenti della filiera (autori, editori, librai, insegnanti, bibliotecari, lettori) e altre realtà contigue, per creare un effetto alone e per raggiungere in modo più incisivo il tessuto sociale.

A febbraio 2014 era stato predisposto uno studio di fattibilità, ma poi il lavoro del coordinamento si è interrotto con la caduta del Governo Letta e da allora non si è più riavviato.

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