Tra riforme di struttura e alternativa di società

Human Factor Lab
Human Factor, per discuterne
7 min readJan 21, 2015

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di Stefano Ciccantelli (coordinatore provinciale Sel — Federazione di Teramo)

“We are not just here to manage capitalism but to change society and to define its finer values”

Tra le tante citazioni, più o meno note, dei moltissimi pensatori, attivisti, leader politici europei ed internazionali, questa di Tony Benn (storico esponente della sinistra laburista inglese) è a mio avviso quella che più riassume e centra il punto di caduta dell’azione politica, sociale e culturale delle forze della sinistra in ogni contesto e scenario storico. L’idea anche banale ma con un alto tasso di ambizione che non si produce iniziativa politica, a sinistra, per gestire l’esistente, per correggere i limiti di quanto ci viene proposto, ma per ridefinire in maniera strutturale un modello di società, altro e alternativo.

Oggi ci troviamo in una delle tante fasi di transizione della storia italiana, europea e mondiale, quelle fasi in cui occorre dotarsi di una visione di fondo del nostro fare politica per poi costruire un cammino volto a concretizzare quanto scriviamo nei nostri documenti o predichiamo nei nostri appuntamenti collettivi ed assembleari. Un cammino che non può essere già segnato e scritto nei suoi dettagli, nelle sue curve, nei suoi percorsi, nel caso la nostra azione politica fosse già definita nella sua interezza avremmo già fallito poiché essa non attraverserebbe tutto quello che sta fuori dalle nostre assemblee e che non legge affatto i nostri documenti. Non seguiremmo nella pratica politica l’insegnamento del subcomandante Marcos che spesso ci piace citare, quel “camminare domandando” che implica la costruzione di un percorso e non la meta pre-stabilita. Nel processo politico che si vuole inaugurare alla tre giorni di Human Factor questa volontà di non delegare, di non imporre recinti e tappe già predisposte c’è tutta e rappresenta un grande passo in avanti rispetto ad un passato denso di errori, di scelte non condivise, di percorsi avviati e immediatamente dopo spenti in nome dell’emergenzialismo o di altre dinamiche. Lo si fa costruendo un evento che ha tre principali caratteristiche : — il coinvolgimento da protagonisti nell’elaborazione dei laboratori programmatici degli attori di quella sinistra sociale (attivisti di reti, movimenti, associazioni) che da anni è orfana di un’offerta politica dignitosa ed utile — l’ampia inclusività nella scelta degli interlocutori politici per quanto riguarda la discussione sulla futura soggettività. Si è quindi dato seguito a quella piena e totale disponibilità di Sinistra Ecologia Libertà nel porsi al pari di altri all’interno di un processo più largo, tra diversi ma comune. — l’individuare la dimensione Europea come il terreno principale della lotta politica e della costruzione dell’alternativa mettendo in campo un interlocuzione organica con i protagonisti delle forze più innovative e dei movimenti.

Le modalità e i contenuti che attraversano Human Factor, che hanno segnato anche l’ultima assemblea dell’Altra Europa e che intersecano quotidianamente il dibattito a sinistra rischiano di compiere due principali errori : 1) oscurare il tema della discussione su di un altro modello di società in favore delle dinamiche interne a pezzi di gruppo dirigente (ovunque collocati) 2) pensare che una massiccia dose di esterofilia (nel senso negativo del termine) possa essere il grimaldello con cui ricostruire una proposta nel nostro contesto.

Per quanto riguarda il primo aspetto prendo ad esempio il dibattito che è emerso a livello di opinione pubblica in seguito alla scelta di Sergio Cofferati di lasciare il Partito Democratico. Voglio affrontare questo passaggio facendo alcune premesse : ritengo che l’operazione messa in campo in Liguria tramite le primarie per tentare di proporre un altro centrosinistra possibile fosse corretta ed intelligente, credo che figure come Cofferati possano e debbano assolutamente stare all’interno del processo di ricostruzione e riaggregazione a sinistra. Fatte queste considerazioni non posso però negare che secondo me è un gigantesco errore narrare la vicenda Cofferati come l’epico scontro tra la modernità neoliberista del renzismo e delle larghe intese contro il glorioso progetto del centrosinistra organico dei bei tempi andati quando progressisti e sindacato mobilitavano milioni di persone in quel del Circo Massimo. In questa rappresentazione non possiamo starci, perché faremmo un grave errore nel considerare una parentesi l’esperienza amministrativa di Cofferati a Bologna e quello che ha rappresentato nel nodo ancora irrisolto tra sinistra e “sicurezza”, tra sinistra e “legalità”. In questo modo riduciamo il dibattito politico a sinistra negli spostamenti delle “figurine” più o meno gloriose e nel caso specifico facciamo un torto alla stessa cultura politica rappresentata da Cofferati.

Come si esce da questo bivio ? Quale strada occorre prendere ? Quella ( scontata ma indispensabile) del confronto e della dialettica politica nella produzione di idee, programmi, modelli di società. Cofferati (cosi come anche altri) deve stare in questo confronto accettando di mettersi in discussione quando si tratterà ad esempio di ridefinire il nostro pensiero su come si amministra una città, su quali sono le nostre politiche abitative, su quale’è il rapporto da tenere con gli spazi sociali laboratori di un’altra cultura, di un’altra organizzazione del tempo libero e liberato. In questo modo potremo salvaguardare la necessità di una massima inclusione possibile e l’opportunità di un dibattito profondo e articolato sulle nostre idee in modo da trasformare le scelte (che tutti ci auspichiamo) di alcuni pezzi di gruppo dirigente in scelte di popolo.

Per quanto riguarda l’esterofilia mi riferisco a quella tendenza che da anni la sinistra radicale italiana assume costruendo delle vere e proprie “mode” attorno alle esperienze europee. In questi mesi le le nostre assemblee politiche interne, le iniziative pubbliche (e si, anche le nostre bacheche facebook o profili twitter) sono contrassegnate da frequenti riferimenti a Syriza e Podemos. Il porsi in relazione, l’approfondire, il costruire legami con le esperienze innovative e vincenti in tutta Europa è fondamentale, è il fulcro del nostro stare nel terreno europeo ma non deve portarci dentro una dinamica abbastanza ridicola dell’esaltare determinati modelli appena questi balzano nei sondaggi elettorali. Il Sinn Fein, per dire, è un partito fondato nel 1905 non è un soggetto marziano come Podemos che in un tempo relativamente breve ha saputo costruire nuove pratiche del fare politica. Entrambi stanno costruendo una rete di consenso popolare che potrebbe portarli nel giro di qualche mese/anno a guidare l’Irlanda e la Spagna ma sono le differenze di contesto, la complessa articolazione dei due modelli che ci devono interessare non tanto la loro forza elettorale secondo l’ultima rilevazione.

E tornando alla questione “mode” non possiamo saltare da un’area geografica all’altra derubricando di volta in volta i modelli senza analizzarli davvero. Prendiamo ad esempio la questione della Linke che fino a qualche anno fa era il modello principe e che oggi viene un po’ “retrocessa” rispetto ai compagni greci e spagnoli. Eppure non è forse anche quel modello ad avere peculiarità molto interessanti ? La Linke tedesca ha compreso molto bene che assumere una sola dimensione del fare politica porta a situazioni totalizzanti e dannose : se ci si rinchiude nella dimensione istituzionali si tende ad esportare in diversi casi il cinismo in politica, se ci si limita a declamare la mostruosità dell’esistente e si rifiuta di fare i conti con gli strumenti di potere oggi a disposizione si diventa inutili agli occhi del polverizzato blocco sociale che quindi fa naturalmente altre scelte. E’ grazie a questo che la Linke dove ci sono le condizioni sperimenta governi locali e regionali con i Grunen e l’Spd (che pure a livello federale è junior-partner della Merkel) e contemporaneamente è soggetto promotore e protagonista della piattaforma Blockupy Europe che il 18 Marzo animerà una grande mobilitazione contro l’inaugurazione della nuova torre della BCE (una grande opera inutile costata miliardi per innalzare il tempio di un’istituzione che tramite le sue miopi politiche affama milioni di europei).

Rimanendo nella logica delle relazioni europee non possiamo non intercettare ed animare un confronto con quelle esperienze ecologiste in grado di coniugare con intelligenza il nodo ambientale con quello della giustizia sociale e di un’altra politica economica e con le componenti ed aree interne critiche del socialismo europeo e della gabbia in cui si è ficcato nell’abbraccio con Popolari e Liberali. Penso in primis ai socialisti “frondisti” in Francia, ormai soggetto dell’opposizione da sinistra al ripiegamento neoliberale in salsa securitaria di Hollande e Valls. Non perché (con tutte le enormi differenze del caso) in Italia abbiamo la necessità di giustificare le singole intese con le minoranze Pd ma perché è giusto farlo e lo fanno in tutta Europa i compagni del Gue e della Sinistra europea. Abbattendo i muri, non costruendoli.

In una recente assemblea pubblica organizzata come Sel Abruzzo in vista di Human Factor il compagno Francesco D’Agresta (PRC, tra i promotori dell’associazione Sinistra Lavoro) ha esortato il processo comune a stare nell’oggi senza mai dimenticare le radici non per peccare di identitarismo ma al contrario per dare basi al processo di innovazione delle nostre culture politiche. Sono d’accordo con lui ed è per questo che credo che sia necessario ed utile mettere in campo una proposta nuova, del XXI secolo, in grado di recuperare e contestualizzare a partire dal livello europeo le intuizioni di Riccardo Lombardi e la suggestione delle “riforme di struttura” per sperimentare forme di contro-potere economico e sociale attraverso i mezzi a disposizione con l’obiettivo di trasformarli e di trasformare l’intero sistema (e su questo terreno si che serve studiare per bene il programma di Syriza per l’Europa). Una proposta in grado di costruire quel percorso di cui si diceva all’inizio di questo contributo nella ricerca di un altro modello di società riprendendo le intuizioni di Pietro Ingrao, aggiornando daccapo il nostro vocabolario, la nostra cassetta degli attrezzi. Una sinistra dei riformatori radicali e dei pensatori eretici che non intende “gestire” ma mettere tutto in discussione. Anche e soprattutto se stessa.

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