Human Factor, primo passo per la costruzione della Coalizione dei diritti e del lavoro

Human Factor Lab
Human Factor, per organizzarci
8 min readJan 22, 2015

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dal Circolo Sel “Alberone” Roma

“L’indipendenza del pensiero, l’autonomia e il diritto all’opposizione politica sono stati privati della loro fondamentale funzione critica. […] Oggi è il sostrato dei reietti e degli sfruttati a poter rappresentare, come una volta il proletariato, la coscienza più avanzata dell’umanità e la sua forza più sfruttata.”

Così scrive Herbert Marcuse nel 1964 in quello che diventerà uno dei testi cardine del ’68, L’Uomo a una dimensione.

E’ stata questa una sorta di profezia di lungo periodo se proviamo a traslare tali concetti alla nostra dimensione contemporanea che, è giusto sottolinearlo, vive di latitudini e di spazi completamente diversi ma anche in parte uguali.

Sinistra, ecologia, libertà si prepara oggi alla sua Conferenza di Programma e di Organizzazione. Molti sono gli interrogativi da porre e da porci a margine di questo appuntamento così importante e per certi versi decisivo. Primo fra tutti il fattore tempo. Nella società contemporanea cadenzata e scandita dal tempo è fondamentale ricercare il tempo perduto, il tempo mancante, il tempo che se ne va, il tempo che non c’è mai stato, il tempo che si vorrebbe dedicare, il tempo che non si può dedicare, il tempo della ragione e il tempo del sentimento. Il fattore tempo è un dato decisivo e molto spesso ostativo nella vita di ogni giorno, finanche nei suoi limitati cristalli in quella parabola da equilibristi in cui si tenta di coniugare una vita subnormale. E così anche il tempo dell’impegno diviene molto spesso un gusto, un dolce appetito al quale non si può indulgere per via di altri sapori amari a cui è abituato il nostro palato. Siamo uomini in questo mondo ma non apparteniamo a questo mondo diceva San Paolo. Molto spesso abbiamo utilizzato espressioni come questa per definire situazioni esistenziali e scelte politiche. Oggi quella espressione, quella frase così densa di significato spirituale e di significante politico per la portata rivoluzionaria del suo messaggio che invitava a vivere nel mondo nella consapevolezza della propria diversità e con la missione storica di cambiarne i valori, è stata rovesciata nel suo paradigma, purtroppo anche a sinistra. Siamo uomini in questo mondo e siamo diventati uomini di questo mondo dunque. Nella società dell’immagine abbiamo finito per vivere di immagini da consumare nello spazio di un attimo e di miti di cui innamorarsi per esserne poi traditi nell’arco di una mezza stagione. Abbiamo abbandonato le stagioni di fede assoluta per abbracciare le stagioni di fede giornaliera. Non riusciamo ormai neanche più a digerire le scelte politiche dopo averle compiute, perché a malapena riusciamo a deglutirne una che è subito pronto un altro boccone come in una perenne bulimia da cui è impossibile uscire. Nella politica dell’emergenza abbiamo scelto di fare dell’emergenza il criterio principe delle nostre scelte abbandonando il principio della condivisione. Nella società delle Istituzioni lontane abbiamo scelto di essere parte di quella lontananza che troppe poche volte abbiamo accorciato. Nella società delle crisi non abbiamo condotto le classi lavoratrici a essere le protagoniste di quella necessaria rivoluzione democratica per cambiare le istituzioni e che era e rimane il massimo segno d’amore verso la nostra democrazia. Abbiamo scelto di diventare ceto politico lasciando fuori le masse lavoratrici ad aspettare Godot. Abbiamo scelto di farci imprigionare da vincoli mentali prima che politici, costituiti dalla paura di spaventare. Nella società del liberismo radicale che strangola il lavoro abbiamo scelto di guardare al ceto moderato per governare sottovalutando quello che Marx definiva “l’estremismo dei moderati”. Nel tempo dell’assoggettamento abbiamo abdicato alla nostra autonomia culturale prima che politica. E così nell’emergenza e per l’emergenza abbiamo accettato molte cose che non avremmo dovuto e abbiamo sempre di più spuntato le nostre armi e rinunciato alla nostra critica in nome della stabilità. Nella società delle nature definite e rigide, abbiamo scelto di non definire la nostra natura. Nella società della linguistica da format televisivo ne abbiamo introiettato il linguaggio nella convinzione che il modo migliore di comunicare sia quello di utilizzare gli stessi strumenti dell’avversario. E da qui la scelta della definizione Human Factor per la nostra Conferenza di Programma. Comunicazione veloce, istantanea e possibilmente anglofona, giustificata dall’intenzione di dare all’appuntamento uno spirito internazionale che ha molto poco invece di quel sapore internazionalista che oggi andrebbe ricostruito. E’ il fattore umano si dice. Ma il fattore umano privato dei necessari spazi di confronto, incontro, scontro, sguardi che si incrociano, esperienze che si guardano anche da lontano, vite che si raccontano, umanità che pulsano, storie che bruciano, non esiste. E non può esistere se nei territori non vivono momenti di questo tipo che dovrebbero condurre per mano la discussione dal basso verso l’alto. Qui ed ora si ripropone il medesimo problema- a prescindere dalla bontà di molte delle cose oggetto della Conferenza di Programma- dei percorsi a piramide rovesciata per cui le scelte e le pratiche oscillano dall’alto verso il basso. Contrordine compagni, il centro-sinistra oggi non esiste. Ma noi questi temi li poniamo da un anno. Così come da molto tempo ormai poniamo il tema di un Partito Democratico vivisezionato per cui quello con cui governo io è sano e quell’altro è marcio. Abbiamo certamente la necessità di rivedere e ripensare le nostre forme organizzative, con la consapevolezza però che l’organizzazione deve discendere dalla politica e non il contrario. Abbiamo la necessità di cambiar pelle e di allargare il nostro tessuto e quello della sinistra tutta in uno spirito di unità che deve discendere dalla politica e deve essere condotto da quelle che un tempo si sarebbero chiamate masse che oggi non possiamo pretendere di orientare, ma da cui semmai dovremmo farci orientare. Dovrà essere questo un percorso di popolo e non l’ennesima riaggregazione di pezzi di ceto politico consumato e desueto. Abbiamo la necessità di definire dei quadri programmatici radicali in grado di fare egemonia. Abbiamo la necessità di lottare e di rompere la bolla dei cerchi concentrici. Si dice che le persone si accostino a noi con difficoltà per via delle nostre forme organizzative e questa è certamente una verità. Un contenitore piccolo, caratterizzato da una democrazia interna carente e sclerotizzato da discussioni rivolte sempre e solo verso l’interno sono certamente dei problemi ostativi. Il vivere una dimensione parallela a quella reale ha narcotizzato i nostri sensi e le nostre antenne. Siamo rimasti imprigionati dalle nostre reciproche pelli come in una sorta di rituali apotropaici e ancestrali fatti di istinti e aggressività. E’ in tutto questo che muore il fattore umano, ma è dalla consapevolezza di tutto questo che può e deve rinascere. Ma non è solo per queste ragioni che le persone si avvicinano a noi con difficoltà. E’ nella percezione che trasmettiamo che vanno ricercate le ragioni delle nostre difficoltà. È nel nostro essere percepiti come appendice del Pd che vanno ricercate le ragioni della percezione che diamo. È nel nostro non fornire una alternativa praticabile e con spirito maggioritario che risiede il nostro equivoco. È nella presa d’atto del fallimento del progetto originario (la sinistra nel centro-sinistra) per le mutate condizioni che vanno ricercate le ragioni di una nuova progettualità.

La Conferenza programmatica e d’organizzazione ci consente, dunque,di ragionare sul percorso di costruzione della Coalizione dei diritti e del lavoro, che potrà essere uno strumento fondamentale per far crescere un’alternativa al Governo Renzi e una prospettiva di cambiamento per il Paese, a patto che non divenga l’ennesimo incontro solo tra gruppi dirigenti.

Ravvisiamo, dunque, la necessità di dotarci di un’organizzazione, efficace ed efficiente, che a partire dalle competenze e dalle responsabilità ci consenta di costruire iniziativa politica quotidianamente fuori e dentro le Istituzioni, di essere sempre presenti nelle vertenze e nelle lotte dei lavoratori, di essere un punto di riferimento nel nostro Paese.

Le vicende di “Mafia Capitale” aprono una ferita profonda nel tessuto democratico e nella legalità della nostra città, incrinando profondamente la fiducia dei cittadini nei partiti e nelle istituzioni, già messa a dura prova dal populismo dell’antipolitica e da precedenti vicende di malaffare. Il tema della diversità della Sinistra e la questione morale devono essere un elemento distintivo e imprescindibile di Sinistra Ecologia Libertà. Per questo occorre ridurre le distanze tra la buona politica e le pratiche politiche.

Il Tesseramento di Sel deve essere, dunque, sottoposto a forme di controllo e trasparenza. Non si deve più verificare una crescita vertiginosa degli iscritti, come in occasione dell’ultimo congresso.

I circoli, in questi anni, sono stati il punto di forza di Sinistra Ecologia Libertà. Hanno prodotto con grandi difficoltà iniziativa politica sul territorio, dando visibilità a SEL, e sono divenuti luoghi di aggregazione e di elaborazione politica nei quartieri della nostra città. SEL deve crescere collettivamente e per farlo deve essere visibile e raggiungibile da chi è interessato ad entrare in contatto con la nostra comunità. Occorre dunque che ogni circolo, per essere tale, abbia prima di tutto una sede e produca iniziativa politica nel territorio. Riteniamo, quindi, che le risorse disponibili debbano essere destinate ad aprire nuove sedi nelle aree di maggiore difficoltà e dove il partito è in sofferenza, come per esempio nelle periferie della nostra città. I risultati elettorali in questi anni, inoltre, ci hanno consegnato un quadro non uniforme della nostra presenza nel Paese. A livello nazionale è necessaria, dunque, una mappatura del nostro radicamento attuale e una riflessione sulle aree dove non siamo presenti. In questi anni il prevalere delle correnti in tutti gli aspetti della vita interna è stato uno dei limiti più evidenti nel nostro Partito, che ha prodotto sempre più distacco e disaffezione rispetto all’entusiasmo iniziale con sui SEL era nata. Abbiamo dunque bisogno ora più che mai di gruppi dirigenti che s’incontrano e si confrontano, riconoscendo legittimità e dignità alle diverse posizioni politiche. E’ davvero necessario un nuovo inizio che consenta di superare le appartenenze passate e le correnti nella vita interna di Sinistra Ecologia Libertà.

Molti i percorsi condivisibili che si immaginano, primo fra tutti quello di rilanciare un’idea diversa dei circoli che dovranno diventare luoghi di mutualismo, socialità, incontri delle vertenze territoriali, punti di raccordo, gli anelli principali. Facendo una piccola digressione relativa al nostro dibattito interno, è utile ricordare come questa idea sia stata sempre parte fondante della storia del movimento operaio. Le camere del lavoro del sindacato nascono con questo intento e lo svolgono fino a un determinato periodo, così come le sezioni dei partiti operai. Sarebbe altrettanto utile aiutare i circoli territoriali esistenti e operanti ad avere delle sedi proprie, opportune e finalizzate alla funzione richiesta. Accanto ai tanti elementi positivi che vengono proposti, ci sono alcuni percorsi che denotano ciò di cui si è scritto sopra. L’assimilazione alle logiche dominanti. È importante e corretto prevedere e sottoporre a verifiche temporali il lavoro dei circoli territoriali in un’ottica di rapporto stretto fra Federazioni, coordinamenti territoriali e circoli. Quello che non può assolutamente essere accettato è l’idea “delle premialità — anche con contributo economico- per quei circoli che realizzino progetti speciali e si siano distinti per la capacità e la qualità della loro azione politica”. Questa idea rappresenta la piena accettazione della logica d’impresa che controlla, punisce i fannulloni e premia i virtuosi in un’ottica paternalistica e di accettazione del principio di competitività. Sarebbe molto grave incorrere in tali errori. La politica deve tornare a essere fatta di azioni e percorsi collettivi finalizzati ad un unico afflato comune in cui chi ha maggiori strumenti si impegna a fornirli a chi ne è privo.

La sinistra che verrà deve tornare ad affondare le proprie radici nel suo popolo, in quella che un tempo si sarebbe chiamata “classe”; deve ricostruire una propria identità, che è strumento necessario per riconoscere se stessi e per farsi riconoscere; deve affondare le proprie radici nei conflitti e nelle vertenze, nella consapevolezza che il conflitto è strumento necessario per il miglioramento delle relazioni democratiche; deve tornare ad essere termometro della società; deve tornare a rappresentare e ad essere per questo rappresentativa; deve riprendere a studiare le fenomenologie della società contemporanea, lottare per fornire a tutti gli strumenti di studio e non rinunciare a esercitare quell’indipendenza e autonomia di pensiero e di opposizione che oggi, più di ieri sono privati della loro fondamentale funzione di critica.

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