Connessa, condivisa, partecipata.

Sel per la sinistra italiana

Human Factor Lab
Human Factor, per organizzarci
15 min readNov 26, 2014

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Siamo nati, con il congresso di Firenze, definendoci come una sinistra di governo del cambiamento e insieme come una forza politica, né tentata dal minoritarismo né improntata all’autosufficienza. Questo è un tratto distintivo della nostra missione, un modo — come è stato detto con efficacia da Vendola sin dall’inizio — per riaprire la partita politica in Italia. Oggi ci poniamo la sfida di rivitalizzare queste nostre ragioni, ricollocando la nostra politica in un quadro mutato e una riflessione profonda sulla qualità della società umana che si va strutturando.

Avanzano cambiamenti epocali, che investono non solo la sempre più ineguale distribuzione della ricchezza, ma anche gli stili di vita, le forme di relazione sociale, i valori alla base della convivenza civile. L’affermarsi di forme politiche sempre più destrutturate, sempre più liquide e affidate alla sola logica dell’efficacia comunicativa sembra rispondere a questi cambiamenti con un approccio ‘mimetico’, indebolendo quindi la forza progettuale e di trasformazione della politica in quanto tale.

Il lungo elenco di ciò che ‘non esiste più’ viene ogni giorno ripetuto all’opinione pubblica come un mantra salvifico dai maggiori leaders politici e in particolare da coloro che, come Matteo Renzi, l’hanno usato per proporsi come innovatori del campo del centro-sinistra. Ma a questo elenco non ne corrisponde alcuno in positivo: di ciò che la politica vuole costruire per il domani poco si parla, l’innovazione è tematizzata esclusivamente come rimozione del passato, la sua pratica, i suoi effetti diventano così nulli, costituendo di fatto la più grande forza di legittimazione dell’ordine sociale ed economico strutturatosi nell’ultimo ventennio.

Sta a noi quindi il compito di fare luce sulle nuove domande e i nuovi bisogni, respingendo la coatta accettazione dell’esistente ,non verso il recupero del passato ma nella direzione della costruzione di un futuro diverso.

Conosciamo bene ciò che non esiste più, e anche ciò che esiste e assedia la vita democratica: progetti neocentristi e larghe intese, partiti ‘pigliatutto’, affidamento totale al ‘capo’, svilimento del ruolo delle assemblea elettive, religione della disciplina di bilancio, retorica dei sacrifici o dell’ottimismo, fiducia fideista nel potere salvifico della ‘rete’ e della ‘tecnologia’, astensionismo in continua crescita.

Sta a noi declinare l’elenco di ciò che non c’è ancora, di ciò che la politica deve mettere in cantiere per guadagnare l’approdo di una vita degna per tutti e tutte, cominciando dalla valorizzazione di quei segni vitali del futuro che ostinatamente avanzano in una direzione diversa da quella della solitudine e dell’individualismo. La ‘condivisione’, come peculiarità della dimensione umana , come ‘fattore umano’ rigenerativo, deve essere il fulcro della nostra ricerca: si condividono le mentalità sociali e i riferimenti culturali, si condivide il destino ambientale del pianeta, ma si può condividere anche una nuova dimensione del ‘consumo’ e del lavoro, come ci insegnano la sharing economy e i coworking.

Il nostro traguardo è qui: trovare modalità nuove per rendere ‘condivisa’ anche la dimensione politica. Per anni abbiamo agito in un’epoca di crisi verticale della politica e delle sue forme organizzate: partiti e movimenti appaiono infatti ancora ostaggio di una transizione infinita, apertasi all’inizio degli anni ’90 e che non accenna a trovare uno sbocco sistemico capace di ridare slancio e vigore ai processi democratici.

Lo stato di emergenza prodotto dalla crisi economica europea è diventato una giustificazione permanente per un continuo svilimento dell’importanza della partecipazione dei cittadini.

La sfida oggi è connettere la lettura della società che ci circonda con pratiche politiche coerentemente orientate alla partecipazione e al cambiamento.

La strada giusta, quella della conversione del nostro sistema economico e sociale, non sarà infatti praticabile senza una conversione del nostro sistema politico. Partire da noi, dal nostro vivere e agire comune appare quindi non solo necessario se vogliamo rendere Sel un luogo più accogliente ed un soggetto più efficace, ma anche imprescindibile per cogliere la sfida più generale della trasformazione sociale.

La necessità del cambiamento infatti riguarda anche noi, non ne siamo esclusi e anzi la severità che poniamo nel guardare criticamente il tratto ancor breve che fin qui abbiamo insieme compiuto è essa stessa indice della nostra volontà di interpretarlo proprio nel punto più alto.

E non esiste autonomia, senza una lettura consapevole dei propri errori, senza un’analisi dei ritardi, dei limiti. Per questo abbiamo bisogno di impostare le nostre forme organizzative a partire da un discorso di verità su di noi: su ciò che realmente siamo, sulle nostre forme organizzate e le sulle nostre pratiche politiche, sulla formazione e l’esperienza dei nostri gruppi dirigenti, sul modo di proporre e realizzare iniziativa politica. Si avverte spesso un distacco troppo forte, troppo largo, tra la nostra idea di politica e il modo concreto con cui la interpretiamo dentro il partito, come d’altronde ci hanno dimostrato le nostre primarie sulle candidature per le elezioni politiche.

Come è possibile che abbiamo oramai su tutto il territorio nazionale consiglieri comunali, provinciali, regionali, assessori, sindaci, deputati e senatori e ad oggi non c’è alcun rapporto tra la nostra presenza istituzionale e il nostro radicamento?

L’andamento del tesseramento negli anni scorsi è stato sempre fortemente determinato dallo svolgimento dei congressi. Al primo congresso con un numero molto alto di circoli con più di 40 iscritti e al 2°, che aveva come riferimento il tesseramento 2013, un incremento di un terzo del dato degli iscritti sull’anno precedente. Il dato 2014 seppur non ancora definitivo, rileva ad oggi che solo un quinto delle Federazioni ha più di 100 iscritti (mentre lo scorso anno erano i 2/3). Parte di questo ritardo è anche dovuto al ritardo nel versamento delle quote spettanti al territorio da parte della tesoreria nazionale, ma non dobbiamo nasconderci che questo dato rivela una seria difficoltà del nostro radicamento che dobbiamo saper affrontare e superare.

Il tentativo di provare a liberare il tesseramento dalla gestione delle Federazioni verso un’azione indipendente di circoli e singoli, non ha ancora dato i risultati sperati. Spesso vengono avanzate critiche alla gestione on-line del tesseramento che in larga misura nascondono problemi di diversa natura. L’alto livello di trasparenza ottenuto attraverso il database nazionale on-line del tesseramento, con la disponibilità in tempo reale dei dati degli iscritti e, unico partito nel panorama politico, la trasparenza finanziaria indispensabile, si scontra con alcune difficoltà e pregiudizi che siamo chiamati ad affrontare apertamente e con disposizione positiva.

Dal punto di vista dell’iniziativa politica e della vitalità della nostra organizzazione sul territorio, anche qui dobbiamo registrare una difficoltà di coordinamento e comunicazione. Pur avendo messo a disposizione delle Federazioni e dei Regionali un’agenda on-line delle iniziative, che potesse essere gestita direttamente dai territori, ad oggi solo 57 sono quelle che sono state inserite a fine 2013 sul sito nazionale, nonostante il numero reale di quelle che si sono svolte sia molto superiore. Questo sottoutilizzo degli strumenti di visibilità e coordinamento certamente non aiuta a rendere pubblica e spendibile l’attività qualificata e di buon livello politico che SEL mette in campo e neanche a rendere trasferibili le buone prassi in altri territori.

Questi segnali di criticità qui evidenziati ci dicono che c’è una difficoltà ad accostarsi a noi, alle nostre strutture, come alle nostre iniziative, anche per i numerosi difetti con cui ci proponiamo verso un’apertura che è realmente tale se incorpora ascolto, disponibilità, accoglimenti delle differenza e delle esperienze. Raramente questo succede e ogni volta che non succede finiamo per essere assimilati agli altri in un’idea di separatezza di politica che crea distanze e reciproche solitudini.

Fermare i meccanismi che producono questi guasti è quindi per Sel un’impellenza non più rimandabile: non cogliere l’occasione della conferenza programamtica per metterci a verifica anche dal punto di vista delle forme organizzate significherebbe soltanto dilazionare i tempi della ricerca di soluzioni possibili e praticabili. Tutelare il nostro impegno comune significa oggi assumersi fino in fondo la responsabilità di cambiare, di innovare, di scardinare con coraggio liturgie consolidate ma non virtuose.

Il tema della sperimentazione delle forme organizzative non può infatti, trovar patria a sinistra soltanto in discorsi di natura declamatoria e retorica, ma deve cominciare a trovare lo spazio della pratica quotidiana e la durata nel tempo che si addice a quelle trasformazioni che vogliano sedimentarsi, divenire consuetudine e metodo, innervare gli schemi di pensiero dei gruppi dirigenti e provocare infine profondi cambiamenti culturali.

Non sarà facile e nemmeno rassicurante, ma potrebbe essere un’impresa densa di passioni: restituire centralità al reale, cioè al racconto delle condizioni materiali di vita di milioni di persone, utilizzando strumenti virtuali, nuovi linguaggi, incursioni nei grandi flussi dell’informazione. Intrecciare tutto questo in maniera feconda con il territorio, con lo spazio di vita delle comunità, con i luoghi sociali in cui fermentano le opinioni e si formano le lenti con cui ognuno di noi guarda al mondo e ai suoi problemi. Andare dritti all’obiettivo: muoversi con la velocità che ci impone l’era della rete, comunicare e non ‘esser comunicati’, saper organizzare una visione più generale valorizzando la particolarità delle singole esperienze.

Un cambio di prospettiva che, se non si vuol produrre dentro logiche verticistiche e dirigistiche che mortificano la convivenza collettiva, può realizzarsi soltanto aprendo canali per protagonismi di natura diversa da quelli a cui la politica nell’era della sua crisi ci ha abituati: si colloca qui il problema della natura dei percorsi di selezione dei gruppi dirigenti e dell’accesso alla politica di nuove soggettività e generazioni. Un partito incapace di produrre ricambio tra generazioni, mescolanza tra diversi, percorsi di formazione incentrati sul valore delle ‘esperienze’ della politica e dei suoi saperi è un partito che non potrà contribuire al futuro di nessuna sinistra.

Il nodo centrale ora è come connettere intenzioni e realizzazioni: per fare questo è necessario costruire nuove forme della politica, ovvero una struttura che non poggi le sue fondamenta sull’illusione di un’autoriforma possibile, ma che modifica l’assetto dei poteri, li sposta, li distribuisce diversamente, cancella e ridisegna ruoli e funzioni, dà vita ad esplicite regole e metodologie nuove.

La direzione di marcia di questo cammino era già indicata dall’articolo 1 del nostro statuto dove abbiamo definito la nostra mission politica in alcune pratiche specifiche:

  • la partecipazione diretta;
  • la sperimentazione di nuove forme di democrazia digitale;
  • la promozione della democrazia partecipata;
  • la promozione di nuove forme di democrazia interna all’organizzazione.

E’ il momento di passare dai principi ai fatti e per questo che proponiamo di lavorare alla rigenerazione della nostra forma organizzata in due direzioni:

  1. snellire la nostra struttura e dare una mission politico-sociale ai circoli territoriali;
  2. aprire i luoghi delle decisioni alla partecipazione attiva della società e introdurre forme di democrazia diretta e digitale.

A

Oltre Sel verso la coalizione dei diritti: aprire i luoghi delle decisioni alla partecipazione e alla società.

Fin dal momento della fondazione di Sinistra Ecologia e Libertà abbiamo voluto fare un punto di forza della dichiarata non autosufficienza del nostro progetto politico. Siamo infatti consapevoli che è necessariamente lungo il percorso che può portarci ad affrontare con efficacia i problemi nuovi avanzati con le trasformazioni sociali indotte prima dallo sviluppo della globalizzazione neoliberista e poi dal deflagrare della profondissima crisi economica che attanaglia l’Europa e l’Italia.

Per questa ragione democrazia, partecipazione, accoglienza non dovrebbero essere per il nostro partito soltanto il risultato di un attitudine alla cura dell’agire comune. A nulla vale infatti pensarsi non autosufficienti, se poi a questo pensiero non corrispondono nei fatti pratiche e forme ben individuate con cui costruire sia l’apertura, sia una rete di relazioni sociali e politiche capaci di andare ben oltre l’intensità raggiunta fino ad oggi. Si tratta quindi di dare vita ad una forma nuova, di elaborare per gradi un modello peculiare di organizzazione politica capace di superare i limiti che le strutture novecentesche hanno dimostrato (e su cui la sinistra ha lungamente dibattuto in questi ultimi 20 anni), ma anche quelli che si vanno via via evidenziando in soggettività politiche recentemente affacciatesi sulla scena pubblica. Andare quindi sia oltre le primarie sulla leadership del Partito Democratico, sia oltre l’opacità della democrazia digitale a scelta limitata congegnata dai comunicatori di Beppe Grillo. Entrambe queste due forme, pur potendo rappresentare in molte occasioni il detonatore con cui far saltare schemi politici immobili e conservatori, contengono il rischio di finire intrappolati in un gioco di specchi. Le primarie, dipinte come un momento catartico, spartiacque tra il prima e il dopo, scoraggiano un impegno durevole a favore di un’attivazione episodica. Tale modalità di partecipazione può essere anche dirompente e utile alla riconnessione tra il centro-sinistra e il suo popolo, ma se alla cessione di sovranità sulla leadership non corrisponde un processo simile sul terreno delle scelte e della linea politica, allora può determinarsi il paradosso per cui all’orientamento maggioritario espresso tramite la scelta popolare nei gazebo può non seguire un orientamento dello stesso segno politico nei passaggi seguenti (si pensi alla nascita delle larghe intese e al voto sulla Presidenza della Repubblica). D’altronde lo stesso vale per l’illusionistica democrazia digitale di Grillo, di cui nessuno garantisce la regolarità, ma che soprattutto è esercitata in pochissime occasioni offerte e determinate dal ‘capo politico’, con la preclusione a tutti coloro che non sono iscritti al M5S, e con l’impossibilità che la partecipazione influisca sulle molte scelte parlamentari importanti del movimento. Queste due facce della stessa medaglia (la partecipazione popolare e quella digitale) sono oggi ulteriormente enfatizzate da dinamiche comunicative improntate al populismo e al nuovismo che spesso mascherano i contenuti concreti di politiche pubbliche conservatrici e le modalità di confronto pubblico autoritario.

Sinistra Ecologia e Libertà può e deve andare oltre questo gioco di specchi, prendendo un sentiero semplice e lineare e di grande forza politica. Un percorso di cessione di sovranità che non si misuri soltanto con la dinamica dell’allargamento del consenso dentro contesti di movimenti e soggettività organizzati esterni al partito, ma che metta a fuoco la necessità di riconsegnare all’intero popolo della sinistra il suo destino, i suoi saperi incarnati, il potere di decidere quando la politica decide della sua vita.

Questa è la nostra idea di coalizione dei diritti, non un cartello elettoralistico, ma la costruzione di un nuovo orizzonte di sinistra aldilà di appartenenze, steccati e pregiudizi. Pensiamo che proprio praticando tale apertura a 360° riusciremo a realizzarla.

Per andare in questa direzione avanziamo le seguenti proposte:

  • costituzione di un albo digitale della sinistra. Un albo al quale l’iscrizione sia di gruppi che di singoli possa essere libera, trasparente, certificata. Un albo consultabile in tempi brevissimi, attivabile sia attraverso le nuove tecnologie sia attraverso modalità più tradizionali che facciano perno sul territorio locale attraverso i circoli di SEL e le altre strutture locali che vi aderiranno.
  • apertura della nostra struttura organizzata agli esterni (quota percentuale di esterni all’interno degli organismi dirigenti);
  • istituzione della consultazione popolare dell’Albo digitale della sinistra sia per quanto riguarda le scelte strategiche di linea, di collocazione e di alleanza politica, che per l’orientamento su temi e questioni di interesse generale. Una modalità di verifica del mandato dei cittadini su temi specifici ma di portata più generale (le alleanze, riforme importanti della Costituzione, del mercato del lavoro, dei diritti civili, di sanità, istruzione e welfare), escludendo quei temi che riteniamo fondativi della sinistra (non si voterebbe ad esempio sugli interventi militari, su tutto ciò che potrebbe ledere i diritti di una minoranza, su tutto ciò che violerebbe i dettami costituzionali), una verifica a cui adeguare dopo le consultazioni le scelte di Sel, della coalizione dei diritti che intendiamo realizzare, e delle sue rappresentanze istituzionali. Istituire le consultazioni aperte è, dunque, un elemento non più rinviabile. Fare innovazione diventa così far diventare una pratica quotidiana la messa a verifica delle scelte strategiche e avere un orientamento diffuso sui grandi temi di interesse generale. Gli iscritti all’albo della sinistra devono poter contribuire alla costruzione del processo decisionale e della linea politica, in modo da ricostruire un nesso e una circolarità, messa in discussione dalla crisi della politica, tra rappresentanza e cittadini. Costruire gli strumenti di coordinamento e di confronto pubblico e diretto su temi, proposte e iniziative, come ad esempio la possibilità di consultazioni veloci, trasparenti ed efficaci nel determinare il comportamento conseguente in parlamento, nelle città e per le strade, diventa oggi una delle strade maestre da percorrere per riconnettere la sinistra.
  • Tutte le consultazioni devono prevedere una doppia modalità: digitale e territoriale.

B

Snellire la nostra struttura, semplificarla, rendendo più agile la vita interna e dare una mission politico-sociale ai circoli territoriali per rivitalizzarli.

Tempi di vita e tempi della politica non riescono più parlarsi: la complessità della vita contemporanea stritola il tempo liberato, che tradizionalmente poteva essere dedicato all’impegno sociale e politico. Il tempo della democrazia sembra essere diventato un lusso che pochi possono permettersi, e che in molti preferiscono sostituire con una partecipazione virtuale ed episodica. Diminuire i livelli di articolazione del partito può essere utile a non creare percorsi ridondanti sia dal punto di vista del dibattito sia da quello dei gruppi dirigenti, a non dare vita a luoghi abitabili soltanto da burocrazie poggiate sulla durata della propria esperienza, a produrre un numero minore di riunioni ma più efficacemente orientate all’agire politico.

Dotarsi obbligatoriamente di strumenti che rendano diffusa la gestione delle informazioni, che facilitino la partecipazione, che rendano chiaramente individuabili gli obiettivi e gli sviluppi concreti di ogni incontro. Individuare ruoli e incarichi ‘fissi’ all’interno del partito soltanto quando questo è realmente utile e giustificato: prediligere invece una modalità di lavoro maggiormente dinamica e flessibile, dando incarichi temporanei su obiettivi dichiarati e condivisi, con tempistiche chiare e verifiche periodiche. Lavorare per campagne, evitando la tentazione di essere sempre un partito ‘generico e generalista’, ma focalizzando le questioni che descrivono il nostro profilo politico e concentrando su quelle la maggior parte degli sforzi comunicativi, creativi, organizzativi.

Costruire percorsi di valorizzazione per modalità diverse di impegno nella vita di partito: prevedere ad esempio la possibilità che alcuni possano impegnarsi in specifici progetti e incarichi sviluppabili anche solo lavorando attraverso la rete e le nuove tecnologie.

Insomma l’idea è quella di partire dal protagonismo delle persone, prima ancora che delle forme organizzative, dare centralità ai singoli e alla loro capacità di impegnarsi.

Per rigenerare la nostra organizzazione bisogna partire dalle città, in quanto la crisi della politica crea un conflitto latente tra gruppo dirigente e iscritti che riteniamo, si possa risolvere solo dando più autonomia e potere decisionale ai circoli. Inoltre, in virtù della riforma dell’organizzazione dello Stato (riduzione dei poteri delle province), e della capacità della politica di governare i processi che coinvolgono la vita materiale delle persone, la città e l’area metropolitana diventano i nodi nevralgici della politica locale.

Per questo Sel deve diventare un partito delle città e nelle città: un partito capace di dare grande valore e importanza alla vita dei circoli (non più comitati elettorali o congressuali), intesi come motore del nostro attivismo e centro delle nostre relazioni sociali. Un partito capace anche di migliorare la qualità dell’attivismo territoriale dotando i circoli di strumenti, di format di lavoro, di piattaforme nazionali su cui animare vertenze territoriali, di modalità di comunicazioni peculiari e adattate alla realtà in cui si opera.

In questo senso dobbiamo saper investire le nostre migliori risorse nella tessitura della rete politica e sociale della sinistra nelle città: per farlo sarà necessario dare maggiore potere reale a coloro che coordinano i circoli, riformando altri livelli, costruendo percorsi coerenti di valorizzazione politica di coloro che producono risultati in termini di radicamento e qualità dell’iniziativa.

Per questo proponiamo una riforma della struttura della nostra organizzazione che depotenzi il potere delle federazioni e definisca in maniera più stringente la mission e la centralità dei circoli territoriali. Individuiamo qui le linee guida di tale riforma:

  • I circoli devono avere un numero minimo di iscritti (20) e un piano annuale delle attività da realizzare. Uno degli obiettivi principali dei circoli è quello di diventare un luogo sociale, di riferimento per la città, dove si realizzano pratiche di mutualismo e cittadinanza attiva utili e socializzanti per i cittadini. I circoli devono diventare dei luoghi vivi, utili e accoglienti, sviluppando speciali progetti di volontariato, impegno culturale, economia cooperativa e favorendo un confronto continuo con le realtà sociali e istituzionali del territorio, a partire dalla costruzione di luoghi per l’elaborazione e lo scambio di buone prassi tra gli istituzionali che rappresentano Sel nelle città. Per questo pensiamo che un circolo per essere tale deve realizzare un numero minimo di attività (incontri, iniziative, luoghi di mutualismo, consultazioni, ecc.) e deve diventare il terminale delle scelte sulle grandi questioni (consultazioni nazionali e sperimentazioni di democrazia integrale). Pensiamo inoltre che per dare efficacia a questo nuovo modo di pensare e costruire un circolo sia possibile prevedere delle premialità — anche con contributo economico — per quei circoli che realizzano progetti speciali e si siano distinti per la qualità e l’efficacia dell’azione politica.
  • I circoli svolgono i loro congressi ed eleggono, oltre i loro organismi interni, i membri dell’assemblea provinciale e i delegati al congresso regionale e nazionale (per le aree metropolitane anche i delegati al congresso di federazione). Laddove insistono più circoli nella medesima città è prevista la figura del coordinatore e del coordinamento cittadino.
  • Le federazioni diventano dei coordinamenti territoriali di dimensione almeno provinciale. Per costituire un coordinamento territoriale occorre l’adesione di almeno 3 circoli e di almeno 100 iscritte/i. I coordinamenti territoriali non svolgono congresso. L’assemblea del coordinamento territoriale è composta dai coordinatori dei circoli e da ulteriori componenti determinati in proporzione agli iscritti ed eletti dalle assemblee dei circoli.
  • Le federazioni delle aree metropolitane funzionano come funzionano le federazioni a statuto vigente. Le federazioni delle aree metropolitane svolgono il congresso con i delegati eletti dai congressi di circolo.
  • I coordinamenti regionali funzionano come da statuto vigente.
  • I congressi si svolgono sulla base del tesseramento degli ultimi tre anni e non sono ammessi circoli costituiti nei sei mesi precedenti al congresso.

Conclusione

Una riforma così significativa della nostra forma organizzata deve essere partecipata e condivisa. Per questo le proposte avanzate in questo documento sono da ritenersi aperte ed emendabili attraverso un percorso di approfondimento sui territori con incontri e assemblee. Ogni circolo, federazione o regionale ha la possibilità di contribuire e produrre documenti integrativi o emendamenti. La prossima Assemblea Nazionale avrà il compito di eleggere una commissione che esaminerà all’interno della conferenza di programma e di organizzazione tutti i contributi che arriveranno e successivamente trasformarli in proposte operative di riforma statutaria da sottoporre al voto dell’intera Assemblea. Per dare concretezza a questo percorso immaginiamo che la commissione debba esaurire il suo lavoro entro e non oltre due mesi dalla conferenza di programma e di organizzazione.

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