Cornamuse, cactus e metallo: da Beyoncé ai Metallica, la settimana di Humans vs Robots

Settimana #25 (14 novembre > 20 novembre)

HVSR Staff
Humans Vs Robots

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Siccome è stata la settimana dei Metallica, Humans vs Robots ha contribuito al pacatissimo dibattito sul valore del loro nuovo album scrivendo di Halo on Fire. Giudizio: dai, non è così male. Abbiamo scritto anche del pezzo in cui Childish Gambino mescola Marvin Gaye e funkadelia (provateci a casa, ma solo sotto la supervisione di un adulto); della classe operaia che non va in paradiso, ma al pub a farsi una Guinness con i Dropkick Murphys; del cactus di Alex Turner; dell’attualità di un grande inno della lotta per i diritti civili rifatto da Rhiannon Giddens; del controverso incontro fra Beyoncé e le sue cugine di campagna Dixie Chicks; di una coppia dei fratelli di Londra con un gran senso della melodia. E infine, visto che è stata una lunga e dura settimana, vi lasciamo con tre bonus track.

Metallica

Halo on Fire

«Siamo i Metallica, le facce cattive le facciamo per contratto!»

Il 2016 è stato un anno zeppo di imprevisti. La morte di David Bowie. Trump presidente degli USA. L’Inghilterra che se ne va dall’Europa. Il Nobel a Dylan. E ora, questa: i Metallica che fanno un disco decente. Non che Hetfield e soci non abbiamo saputo, in passato, coglierci di sorpresa: quando pensavamo non potessero fare un disco più brutto di St. Anger, ecco che con Lulu stabiliscono un nuovo standard di riferimento — verso il basso. Ma ora America is great again, e si sa che il sogno americano è una storia di polveri e di altari, di stelle, di stalle e ritorno: e Hardwired… To Self-Destruct sa effettivamente di ritorno dall’esilio. Ed è un po’ come se i californiani riannodassero i fili col Black Album (parliamo di quasi 26 anni fa) e riprendessero un discorso prematuramente interrotto, fatto di potenza e melodia, riff rievocanti il passato thrash opportunamente edulcorati e aggiornati ai tempi; e fatto, soprattutto, di idee. Halo on Fire è solo l’ultimo e uno dei più indovinati brani di un disco tutt’altro che privo di difetti, ma che ci ricorda che la speranza è davvero l’ultima a morire. Oh, per quanto riguarda Trump, invece, pare non si possa proprio più far niente. (Francesco Eandi)

Childish Gambino

Me and Your Mama

Mentalist Gambino cerca di convincerci a comprare il suo cd con la sola forza del pensiero

Donald Glover, in arte Childish Gambino, è un attore, scrittore, dj e musicista californiano che ha all’attivo diversi film, parecchie serie televisive (dell’ultima, Atlanta, è anche creatore e produttore esecutivo) e due album. Dal terzo di imminente uscita intitolato Awaken, My Love! è estratto questo brano che fa impallidire il Lenny Kravitz di Mama Said mescolando crescendo di rock elettrico con soul stile Motown che ridesta Marvin Gaye. Rispetto ai coetanei (è del 1983) che traggono ispirazione dalla cultura rap tutta bitch e pussy, Gambino, che come dice il nome è un po’ bambino, decide di rinverdire la tradizione romantica alla Otis Redding restituendo a modo suo all’amore il suo posto. «Fammi entrare nel tuo cuore. Mi sento così innamorato quando fumiamo quella roba», canta colmo di sincera passione. E così anche D’Angelo viene scavalcato a sinistra perché al sesso si comanda, ma a ciò che dicono le mamme non si può replicare. (bvolpi)

Dropkick Murphys

Blood

Boston Celtics

Disco dopo disco, canzone dopo canzone, concerto dopo concerto (soprattutto): alla fine i Dropkick Murphys ce l’han fatta, a diventare i Pogues d’oltreoceano. Con meno talento, magari, ma con qualche dente in più. La voce della classe operaia americana, se volessimo fare i politologi: quella che ha votato per… (uhm, forse è meglio che chiediate ai veri esperti). In ogni caso la band di Boston tocca sempre le corde giuste, a livello di testi, forte di una sana credibilità di strada punk. E prima ancora delle parole, c’è una musica semplice, orecchiabile e vibrante — ma comporre belle canzoni non è mai «semplice»! L’unico difetto di Blood è quello di ricordare un po’ troppo Sometimes I Do dei Social Distortion, gente che a sua volta ha pregato per una vita di fronte all’altare di Johnny Cash. Poco male: tutta roba buona a stelle e strisce, come la torta di mele di Nonna Papera. (Angelo Mora)

Lungley

Just Like Before

I fratelli Lungley e la geografia: un rapporto che parte da South London

Coppia di fratelli, originari di South London: lei carina e con una bella voce, o meglio, un bel timbro, caldo; lui che si occupa delle musiche, crepuscolari e notturne. I Lungley sono loro due — una two-men-band dall’approccio minimal in tutto: nei suoni rarefatti e permeati di elettronica; nei testi ricchi di suggestioni, e poco più (nel senso che oltre alla suggestione non c’è molto). Scelta consapevole o la proverbiale virtù dovuta a scarsità di mezzi (tra cui, quelli “poetici”)? Sta di fatto che il senso della melodia scorre potente in loro, e Just Like Before è confezionata talmente bene, e con tale gusto, che si può perdonare al duo un album (omonimo) un po’ monocorde. Da tenere d’occhio. (Francesco Eandi)

The Last Shadow Puppets

Les Cactus

Una vacanza del cactus

Ambizione, eclettismo e un pizzico di stravaganza non hanno mai fatto difetto alla band — e ne abbiamo goduto fin dalla primissima volta. Non tutto ciò che toccano i Last Shadow Puppets diventa oro, tuttavia. Questa cover di un brano degli anni ’60 di Jacques Dutronc è tanto originale e stuzzicante, sulla carta, quanto vagamente pretenziosa, all’atto pratico. Prendiamola come un compiaciuto divertissement, tanto per rimanere in tema di francesismi (e se avete voglia di spaccare il capello, la pronuncia di Alex Turner non è certo degna della Sorbona). In fondo, stiamo ancora digerendo quel disco di Iggy Pop e rimpiangendo la bellezza di quella canzone degli Stranglers. (Angelo Mora)

Rhiannon Giddens

Freedom Highway

«Ma Pops Staples suonava il banjo o la chitarra?»

L’idea è che gli americani hanno più cose in comune di quanto pensino: eccoli, bianchi e neri, democratici e repubblicani, etero e gay affratellati dal loro eccezionalismo. Per dirlo in musica, Rhiannon Giddens tira fuori un pezzone del 1965 degli Staples Singers scritto da Pops Staples dopo avere ascoltato il verbo di Martin Luther King e dopo le celebri marce da Selma a Montgomery, Alabama. Altri tempi, quelli: si cantava di diritti civili e di Emmett Till linciato, ammazzato e gettato nel fiume Tallahatchie perché colpevole di avere flirtato con una donna bianca. Ci si chiedeva «che cosa pensa il mondo intero degli Stati Uniti», però con uno spirito positivo e un fervore religioso che avercene oggi. Giddens, ragazza del Sud, lo rievoca levigando l’ardore gospel dell’originale. Ci mette un arrangiamento lievemente più cool fra folk e vecchio r&b, ma offre comunque la sensazione di ascoltare la registrazione del canto improvvisato da una congregazione di giusti. E forse, duettando con Bhi Bhiman, cantautore nato nel Missouri e originario dello Sri Lanka, Giddens vuole dirci che la frontiera dei diritti civili s’è spostata e che gli immigrati sono i nuovi neri. (claudio.todesco)

Beyoncé

Daddy Lessons (feat. Dixie Chicks)

Cugine di campagna

Beyoncé dismette per un attimo le mise sexy per indossare l’uniforme da marine che il padre le ha imposto metaforicamente fin da bambina, insegnandole a combattere e a non darsi mai per vinta. Poco conta che il suddetto daddy, dalla dubbia etica e fedigrafo, sia stato malamente licenziato dal ruolo di manager: le lezioni del babbo restano impresse su pietra e dunque la battagliera venere nera risveglia la sua militanza in testi impegnati e conscious, diventando la versione pop della visione obamiana. Rifatta con le ex regine del country Dixie Chicks, Daddy Lessons è stata proposta dal vivo ai CMA Awards e aspramente contestata dal pubblico che è solito ascoltare country. La musica torna a riflettere la divisione tra ascoltatori bianchi e neri, stemperata da anni di contaminazione stilistica, e si regredisce di almeno un trentennio, come se Michael Jackson, Prince e Whitney Houston fossero morti invano. Conway Twitty può rifare Slow Hand delle Pointer Sisters, ma che un’afroamericana collabori con un gruppo country dà fastidio a molti, anche se lei è una delle cantanti più famose del pianeta. (bvolpi)

Bonus track #1: Get Up Stand Up del duo Sshh. Sì, il pezzo di Bob Marley. Sì, rifatto da Sshh Liguz e Zak Starkey (The Who, fra le altre cose). Sì, con ospiti Santa Davis dei Wailers, Fully Fullwood della band di Peter Tosh e un certo Eddie Vedder.

Bonus track #2: How?? dei Flaming Lips. Perché alle stranezze bisogna abituarsi poco per volta e l’album Oczy Mlody esce a metà gennaio, che è dietro l’angolo.

Bonus track #3: Give up the Ghost (Orchestral Variation) dei Minor Victories. Non è male avere una sigla finale strumentale firmata da membri di Mogwai, Slowdive, Editors, eh?

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