Due senza, uno con, e un tizio che fa il gallo. La playlist del famolo strano.

Tony Iommi senza i Black Sabbath, Sepultura senza i Cavalera. Ma Run The Jewels con Zack De La Rocha (RATM, anyone?). Però a noi piace soprattutto Ron Gallo, che fa il Ron del pollaio.

Francesco Eandi
Humans Vs Robots
6 min readJan 8, 2017

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RON GALLO > Please Yourself

E insomma c’è questa canzonetta breve che sta facendo il giro del web grazie a un video girato a Nashville. C’è un tizio, Ron Gallo, che recita il testo di una sua canzone, All the Punks are Domesticated, testamento di una generazione che lascia dietro di sé solo «una collezione impressionante di commenti online». Poi Gallo sale su un furgoncino e porta il minuto e mezzo del garage rock fuzzissimo Please Yourself in mezzo al traffico di Downtown. Suonata con la bella noncuranza del tempo che fu e cantata con la sfrontatezza sballata di chi ha studiato sui testi sacri della blank generation, la canzone pare fatta apposta per esaudire il desiderio Gallo di «salire sul palco e trasformarsi uno psicopatico fatto e finito». È Nashville, ma la colonna sonora fa molto New York anni ’70. Del resto siamo nel campo dell’Heavy Meta. (claudio.todesco)

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SEPULTURA > I Am The Enemy

Che i Sepultura senza i fratelli Cavalera non abbiano neppure più ragione di esistere è un mantra trito e ritrito, ma nella vita bisogna essere pragmatici e guardare avanti. Quindi valutiamo il gruppo brasiliano per quello che è oggi, a partire dall’ultimo album Machine Messiah da cui è tratto l’abrasivo I Am the Enemy, un assalto frontale che mescola thrash e hardcore come se gli Slayer e i Suicidal Tendencies copulassero fino al collasso finale. Che poi c’è l’invito alla rivoluzione, con tanto di pugni chiusi tinti di rosso, il che fa un po’ Che Guevara anche se la forza d’urto di questo pezzo ricorda di più le purghe staliniane. Anzi, un consiglio: se siete deboli di stomaco non ascoltatelo affatto e tornate alla bossa nova. (bvolpi)

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PYOGENESIS > Blaze, My Northern Flame

Negli anni ’90 nasceva Internet (diciamo così), non c’era la crisi (ma mezzo mondo moriva già di fame) e l’heavy metal si apriva alle contaminazioni più disparate. Capitava quindi che i Pyogenesis iniziassero la carriera immersi nell’underground estremo e la terminassero, una dozzina d’anni più tardi, suonando un rockettino… estremamente commerciale. In mezzo, almeno un paio di dischi ispirati — questo e quello — e persino una specie di “spin-off” a nome Liquido (il singolo Narcotic vendette migliaia di copie). Nel 2014 è avvenuta la reunion, rifacendosi allo stile del periodo mediano. E per avere la certezza di essere magnificamente fuori moda, i tedeschi hanno ben pensato di adottare un’estetica steampunk che non si vedeva più in giro dai tempi di Jumpy e Supereva. In un mondo di robottini trendy o aspiranti tali, pollice alto anche per il loro tempismo strampalato. (Angelo Mora)

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RUN THE JEWELS FEAT. ZACK DE LA ROCHA > A Report To The Shareholders / Kill Your Masters

Se il mondo va a pezzi non si può sempre tenere la bocca chiusa. Così la pensano i Run The Jewels, il duo hip hop formato dal produttore El-P e dal rapper Killer Mike giunto al terzo album. Il loro logo, formato da due mani che si fronteggiano nella forma di una pistola puntata contro un pugno chiuso, sa di militanza, perché le parole sono come proiettili sparate verso l’apatia di una società votata all’autodistruzione. Zack De La Rocha, un maestro della “rabbia contro il sistema”, viene arruolato per questo brano che gli restituisce la vocazione alla belligeranza e che ridona al crossover il suo idioma originario. “Fuck you, I won’t do what you tell me” non è passato di moda, ha solo attraversato indenne la secolarizzazione del rap e l’omologazione del nu-metal per ritrovare la sua matrice autentica. «Quando ho iniziato questa band non avevo piani, volevo solo divertirmi e fare un po’ di soldi, poi la verità ha iniziato ad urlare. Voi parlate bene e bombardate gli ospedali. Io sono libero, motherfuckers, sono ostile», canta El-P mentre il gioiello continua a risplendere, e dà voce alla coscienza insita in ciascuno di noi. (bvolpi)

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DESPERATE JOURNALIST > Resolution

Premesso che non si sta parlando dello pseudonimo del sottoscritto al bar degli amici (il nome del gruppo è uno sfizioso omaggio ai Cure, piuttosto), il secondo disco del quartetto inglese — Grow Up, previsto a marzo — promette bene. Nel suono dei Desperate Journalist ci sentiamo un’ispirata eco di Smiths che fa sempre bene, in qualsiasi stagione e a qualsiasi latitudine. Nella voce di Jo Bevan ci sentiamo degli echi di Dolores O’Riordan e Björk, ma forse abbiamo esagerato col Biancosarti a capodanno. E a proposito del veglione, la stessa cantante ha dichiarato che «Resolution è stata scritta in una stanza di albergo dopo una festa di fine anno, mentre mi sentivo particolarmente strana , incapace di bere e sotto l’effetto di tanta codeina». Qualsiasi cosa significhi, i londinesi possiedono un gusto pop quasi irresistibile. Possiamo serenamente smettere di catalogarlo come “post-punk” e passare al termine “bella musica rock contemporanea”. (Angelo Mora)

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CHICANO BATMAN > Friendship (Is A Small Boat In A Storm)

Col nome che si ritrovano potrebbero suonare qualunque cosa e avere la nostra attenzione. E però questi sono forti davvero, roba da segnarsi il nome e vedere come sarà il nuovo album Freedom Is Free che uscirà ai primi di marzo. La voce del cantante pare uscita da un vecchio 45 giri soul, i musicisti mescolano psichedelia, pop romantico anni ’70, tropicalismo. Lo fanno con un senso della misura che ben si sposa ai completi coordinati e alla camicie increspate che indossano. In questo pezzo, basato sul suono di un organo vintage e un timbro chitarristico démodé, la band di Los Angeles incontra i cori delle Mariachi Flor de Toloache, gruppo di ragazze newyorchesi impegnate a farci sapere che «l’amicizia è una piccola imbarcazione in mezzo alla tempesta». Friendship è una canzone sugli aspetti più dolorosi delle relazioni fra persone, spiega il cantante Bardo Martinez. Perché allora è così stranamente deliziosa? (claudio.todesco)

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TONY IOMMI > How Good It Is

Il chitarrista dei Black Sabbath ha composto un brano inusuale, poi registrato assieme al coro della cattedrale di Birmingham e al violoncellista George Shilling — con la, ehm, benedizione dell’arciprete locale, Catherine Ogle. Si tratta di un omaggio alla sua stessa città natale e al Salmo 133 della Bibbia, messaggero di pace e armonia. Perplessi? Beh: sulla carta anche noi preferivamo lo Iommi strafatto di cocaina che sparava cupissimi riff di chitarra per la vociastra di Ozzy, negli anni ’70. Al contempo, non abbiamo alcun dubbio sul fatto che How Good It Is suoni più genuina, sentita e soprattutto ispirata dell’ultimo disco dei Sabs — il plasticoso e “Osbourne-oriented” 13. Per cui, al diavolo i luoghi comuni e viva il chierichetto Frank Anthony Iommi (da alcuni anni in lotta finora vincente col cancro, peraltro). (Angelo Mora)

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Francesco Eandi
Humans Vs Robots

Nato quando Guccini pubblicò “Via P. Fabbri 43”, i Boston il loro esordio e i Kiss “Destroyer”, si occupa di informatica, figli e musica (in ordine variabile).