Le nuove avventure di Lykke Li, Solange, Regina Spektor e le altre canzoni della settimana

Settimana #19 (3 ottobre > 9 ottobre)

HVSR Staff
Humans Vs Robots

--

Mentre vi spaccate la testa studiando le «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione», noi v’intratteniamo con otto nuove canzoni. C’è la svedese Lykke Li che è diventata allegra come una hippie e canta un’ode all’estate che se ne è andata. Ci sono Regina Spektor e Solange Knowles che raccontano storie di ageism e razzismo. E poi c’è gente che mai vorresti a cena (o che non vorresti che tua figlia, eccetera eccetera) come God Damn (già il nome…), Turnstile e Crippled Black Phoenix. Infine, gli italiani Zen Circus che fanno un taglia e incolla dei commenti di YouTube. Il Paese reale.

1. LIV

Wings of Love

«Bella serata, Jeff, ma il giropizza m’ha gonfiata di brutto»

Magari siete fra quelli che portano la mano alla pistola quando leggono la parola «supergruppo». E allora, per non urtare la vostra sensibilità, vi diremo che i LIV sono una formazione come tante comprendente Lykke Li, Andrew Wyatt, Pontus Winnberg, Björn Yttling, Jeff Bhasker. Ovvero, nell’ordine: Nostra Signora della Tristezza, nonché una delle voci pop più amate da hipster e poppettari; due dei Miike Snow, che a dispetto del nome è un gruppo pop giunto quest’anno al terzo album; un membro del trio Peter Björn and John; il co-produttore di Watch the Throne della coppia Jay-Z & Kanye West, e poi co-autore di Uptown Funk e pure fidanzato di Lykke Li. Tutti, svedesi e americani, appassionatamente uniti dall’appartenenza all’etichetta Ingrid. Il bello è che il risultato non è come ve lo aspettate: è la cosa più solare, Sixties e pop che abbiate mai sentito da Miss Li. Ci sono pure una chitarrina freak e un ritornello hippissimo: «When I die, don’t you cry, I’ll be flying by you, I’ll be riding wings of love». Lykke Li ha definito la canzone «un’ode all’estate che se ne va» e i LIV «la mia band spiritual progressive». (claudio.todesco)

2. Solange

Don’t Touch My Hair

Orgoglio tricologico

Pare che sia andata così. Solange Knowles, la-sorella-di, va a sentire i Kraftwerk e le tirano addosso un lime smangiucchiato. Con gli amici beve qualcosa in un bar vicino e lì qualcuno la chiama negra, la tratta come una prostituta, le tocca i capelli. Il gesto non è solo un’insopportabile invasione della privacy. Secondo Solange, è un segno di razzismo: toccare i capelli di una donna di colore significa, più meno, violarne l’identità e permettersi di farlo perché si è bianchi. E dopo avere raccontato la cosa sul suo sito, ora la mette in musica in un pezzo prodotto tra gli altri da Dave Sitek (TV on the Radio). Il tono soul-chic quasi regale, l’eleganza e la classe sono la migliore risposta. «Non toccarmi i capelli» diventa un’affermazione di orgoglio razziale. (claudio.todesco)

3. Regina Spektor

Older and Taller

Se ora si veste così un motivo ci sarà, ok?!

Non sapete cos’è l’ageism? Niente paura, c’è Regina Spektor che ve lo spiega in una canzone pianistica briosa con passaggi che somigliano a scioglilingua. Più che le raffinatezze di Tori Amos ricorda il cantautorato pop di Sara Bareilles, ma va bene così. Il tono incantato della Spektor è perfetto, per contrasto, a interpretare frasi come «Sei andata in pensione giusto in tempo / Ti stavano per licenziare / Per essere stata così stanca / Dopo avere assunto le persone che prenderanno il tuo posto». Ma ci sono anche i privilegi della marturità: arrivata a una certa età «le bugie che hai scritto sul curriculum vitae sono diventate realtà». Confortante. (claudio.todesco)

4. God Damn

Sing This

Shampoo e balsamo, per favore

Come se non bastasse un nome che probabilmente impedirà l’invito a Buckingham Palace, il duo di Wolverhampton pubblica un videoclip intriso di sangue umano e bava canina; le scorciatoie per il successo di massa non sono la specialità dei God Damn. La loro sintesi di più o meno tutto ciò che c’era di buono nel rock duro e alternativo degli anni ’90, tuttavia, è appassionata e convincente. A prescindere dall’estetica, il suono degli inglesi non si presta all’odierna fruizione popolare: troppo sporco, pesante e ruvido (sebbene provvisto di una pregevole vena melodica). Il bello è che al gruppo e alla sua etichetta — la One Little Indian, storica entità indie londinese — sembra importare poco. Trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato, e proseguire come se nulla fosse: niente di più rock and roll, nel 2016. (Angelo Mora)

5. Turnstile

Come Back for More

East Coast, motherfuckers!

In sostanza i Turnstile suonano hardcore metallico come si usava venti, venticinque anni fa. Vi risparmiamo l’elenco dei nomi/influenze, perché il punto è un altro. I ragazzi del Maryland conoscono le regole del gioco, infatti, ma danno l’idea di fregarsene dei libri di storia (o meglio, del citazionismo fine a se stesso). La loro forza è nei riff scolpiti nella pietra, nelle canzoni sempre fresche, comunque orecchiabili e a tratti persino sorprendenti, nel trasmettere una voglia matta di urlare, pogare e scuotere il capoccione. Dopo il massiccio esordio sulla lunga distanza dello scorso anno — Nonstop Feeling — e prima del prossimo disco previsto nel 2017 su Roadrunner, il nuovo EP Move Thru Me li cattura splendidamente indipendenti, muscolari e ispirati. Cogliete l’attimo. (Angelo Mora)

6. Crippled Black Phoenix

No Fun

«No fun to be alone, walking by myself» — per questo vanno in giro in otto, assieme

I Crippled Black Phoenix non sono il classico gruppo prog/post rock con le facce da secchioni e quell’aria un po’ così. Il loro leader è il polistrumentista Justin Greaves: uno che vent’anni fa dava lezioni di cacofonia con gli Iron Monkey e oggi ricorre al crowdfunding per permettersi il lusso di suonare e, se possibile, mettere assieme pranzo e cena ogni giorno (letteralmente: alcuni suoi post su Facebook sono di un’onestà disarmante). Tuttavia, non c’è bisogno di provare pena per apprezzare una canzone come No Fun: pulsante, cupa e drammatica quanto basta, ribadisce un’innata vena autunnale — forse perché in Inghilterra è quasi sempre autunno, tra un inverno e l’altro — e un’abilità compositiva non comune. Se vi sembrano una manica di metallari in fuga dalla polizia è perché tutto sommato lo sono, ma dietro alle apparenze si cela anche un musicista talentuoso e tormentato. (Angelo Mora)

7. Zen Circus

Zingara (Il cattivista)

Quello in mezzo ha ragione, a prescindere (foto di Ilaria Magliocchetti Lombi)

Questa ve la spiegano direttamente loro, gli Zen Circus: «Il testo è stato scritto per buona parte direttamente dagli italiani; abbiamo messo in rima dei commenti pubblicati sotto ad alcuni video caricati su YouTube mettendo “Zingari” come chiave di ricerca. Quelli “meno pesanti” sono diventati buona parte del testo della canzone, mentre quelli che non abbiamo avuto il cuore di cantare fanno parte del video che la accompagna. È troppo? Vi disgusta? La trovate di una cattiveria gratuita? Meta-qualunquismo? Forse, ma rimane per noi una fotografia (di guerra) del Paese in cui viviamo, una fotografia che speriamo serva magari per guardarsi allo specchio». Ah, la società civile. (claudio.todesco)

Bonus track: Chelsea’s Kiss di Thurston Moore. Per par condicio, visto che un paio di settimane fa abbiamo parlato di Kim Gordon. E perché Chelsea non è la zona di Manhattan, ma Chelsea Manning. Il pezzo, pubblicato in musicassetta per Cassette Store Day (esiste, mica ce lo siamo inventati noi), serve a raccogliere fondi per il militare statunitense condannato a 35 anni di prigione per avere rivelato informazioni segrete, via Wikileaks. E sai che ricavi, con le cassette… Comunque, poi arriverà anche un album (non di Manning, ma di Moore).

Queste le canzoni della settimana appena trascorsa. Volete ascoltarle (e leggere il commento) giorno per giorno, appena escono, fresche e fragranti come uno sfilatino appena uscito dal forno? Sintonizzatevi su www.hvsr.net!

--

--