Vi prego, ascoltate il mio disco!

Mac Miller, Adia Victoria, Thegiornalisti: il meglio della settimana di Humans vs Robots

Settimana #22 (24 ottobre > 30 ottobre)

HVSR Staff
Humans Vs Robots
Published in
7 min readOct 29, 2016

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Che vi dice il nome Mac Miller? Avanti, non vergognatevi: i più lo conoscono per il duetto e/o la liason con Ariana Grande, sculettante miss ciglia lunghe e faccia da lolita. E invece no, Mac Miller ha il suo perchè, e anche il percome: quello di un disco come The Divine Feminine, che insomma, averne. Ma non di sola pussy vive l’uomo, e allora Adia Victoria ci ricorda perchè Trump sarebbe una pessima scelta. Volete roba più coriacea? I Ruts DC featureggiano (ci si perdoni l’orrido neologismo) un modaiolo Henry Rollins, mentre i Taman Shud sembrano la risultante di un brutto trip dei primi Pink Floyd in compagnia degli Hawkwind, con in tasca i racconti di Lovecraft. E in Italia? Qui il nostro Paolo Madeddu percula un po’ Thegiornalisti e si spende sui Baustelle. Chiude il cerchio Christine Owman, che a proposito di featuring: lei canta niente meno che con Mark Lanegan.

Da oggi trovate le nostre playlist fatte a mano anche su un sito nuovo di zecca, funzionale e bello come il sole. Segnatevelo, perché lì potete ascoltare le singole canzoni, ma anche le nostre playlist, di fila, come si fa con una internet radio: parliamo di hvsr.net, la nostra nuova casa. Poi, siccome su Medium ci troviamo bene, continueremo a pubblicare qui tutte le tracce della settimana, con una o più bonus track. Ah, e naturalmente c’è anche la pagina Facebook. Come dicevano quelli là, «be there or be square».

Mac Miller

Dang! (feat. Anderson .Paak)

Uno spliff al giorno toglie il medico di torno, ma le donne…

Mac Miller segue lo “zio” Eminem in molte cose, dall’eccellere nel rap bianco che sa di nero alla passione per l’alcol, gli arresti per droga e le donne. Ha sfornato di fresco un album stupefacente intitolato The Divine Feminine, un’ode all’eterno femmineo che cancella in un attimo decenni di sessismo del mondo hip-hop. Dang! è un atto d’amore dell’uomo per le donne che sono amanti, consigliere e maestre e nei confronti delle quali Mac Miller prova un attonito senso di ammirazione. E se Anderson .Paak continua a ripetere ossessivamente «Non posso continuare a perderti per tutte queste complicazioni» in un groove sofisticato che mescola R&B, linee jazzy e hip-hop, Mac Miller lascia l’antica dedizione al lean e alla bottiglia per mettere in rima le contraddizioni del rapporto a due, senza mai cadere nel mieloso romanticismo (si dice per dire): «Accendo il motore, devo riassettarlo, io mi nutro solo di pussy, sono gli altri ad aver bisogno di cibo». ()

Adia Victoria

Backwards Blues

Ci sta forse dicendo che ha iniziato a bere da quando c’è Trump?

Gli intellettuali modello McSweeney’s, l’America degli artisti indie, i rocker con la coscienza, quelli delle canzoni contro: tutti assieme appassionatamente per contenere il temibile avanzare del mostro Trump. Stanno pubblicando una canzone al giorno, l’iniziativa si chiama 30 Songs in 30 Days, c’entrano Dave Eggars e lo Zeitgeist Artist Management, quello di Death Cab for Cutie, Bob Mould, She & Him. E sono quasi tutti pezzi inediti, scritti col candidato repubblicano nel mirino. Una delle ultime a cimentarsi in quest’esercizio è Adia Victoria, blues-rocker sudista che ama fare i conti con la coscienza, sua e collettiva. E così, in questo folk scarno e dall’aria antica, al posto di dare del demagogo al milionario e rifugiarsi dalla parte confortevole del giusto dice che l’America ha il culto della ricchezza, della celebrità, del potere, e quindi un po’ se lo merita Trump. ()

Ruts DC

Music Must Destroy (feat. Henry Rollins)

Sorridi, sei su Candid Camera!

Vi parlammo già dei Ruts e del loro legame con Henry Rollins: un sentimento ancora forte, evidentemente, tale persino da “costringerlo” a tornare a cantare dopo quasi un decennio. Proprio in queste settimane il performer americano è al centro di molte discussioni, poiché ha posato per la campagna pubblicitaria di un famoso stilista. Rollins democristiano, che da una parte sugge spudoratamente dalla mammella mainstream e dall’altra rivendica un’eterna credibilità di strada? Un po’ sì, forse; i leggendari tour dei Black Flag li ha fatti lui sul palco, tuttavia, mica noi seduti alla scrivania. La questione sarebbe più complessa, ma per ora: Music Must Destroy, chicca o chiavica? Al decimo ascolto di fila, siamo ancora indecisi. ()

Taman Shud

Oracle War

L’importanza del risparmio energetico

I Taman Shud non hanno né la faccia, né il look da satanassi, eppure si definiscono «a necro-psych band». Superficialmente, la loro estetica rimandarebbe a quella specie di metal occulto abbastanza in voga nell’underground degli ultimi anni (roba che al Roadburn Festival la gente si fa crescere la barba per l’occasione, se già non la sfoggia). A noi piace immaginarli come un viaggio cattivo dei primi Pink Floyd in compagnia degli Hawkwind, con in tasca i racconti di Howard Phillips Lovecraft. Qui gli inglesi spingono che è un piacere, con quel suono di organo ossessivo e ipnotico che sembra provenire dalle viscere della Terra e un riff di chitarra ricoperto di filo spinato. Recitando il testo di Oracle War al contrario, evocherete i Grandi Antichi (no, non i Rolling Stones). ()

Baustelle

Lili Marleen

«Sorrisi is magic, sorrisi forever»

Sembra un passo indietro, questo dei Baustelle. E nel loro caso, non è necessariamente un passo nella direzione sbagliata: questo brano — gratuito e rigorosamente escluso dal prossimo album, chissà perché — li riporta al centro del loro manifesto immaginario. Tutto quello che viene evocato, dai suoni ai conflitti alle figure di riferimento (Apollinaire, Kosma, Prévert, Bowie, Houellebecq) è parte di un tempo perduto che tuttavia non se ne va mai e contiene tutto lo struggimento dell’umanità, testimoniato ma non affrontabile. Ogni guerra, pare concludere Bianconi, è tutte le guerre, l’Isis si sovrappone alle SS, Berlino a Milano, e in fin dei conti avremo sempre Parigi. Musicalmente, tra le consuete influenze sembra emergerne una del tutto inaspettata e probabilmente casuale, ma sta di fatto che c’è una sequenza di note che sembra presa di peso da Bicycle Race dei Queen — e il proclama «Non contiene sintetizzatori digitali» ricorda quello che a lungo era stato un vanto della band di Mercury e May. Che peraltro, con Bowie registrò un pezzo piuttosto noto — però in Svizzera. Per poco il carpiato non riusciva. ()

Thegiornalisti

Completamente

Thestinazione Paradiso... Paradiso città

Sta succedendo qualcosa. Forse vale la pena di segnalarlo. Si tratta di questo: centinaia di addetti ai lavori abitualmente portati a schernire, a demolire, a snobbare, a postmodernizzare ogni possibile proposta musicale contemporanea sono improvvisamente andati giù a pelle di leone per un gruppo al cui confronto Umberto Tozzi è il quarto dei Motörhead. I fiumi sono in piena, l’ironia è finita, il riflusso è iniziato, I Cani hanno smesso di abbaiare, una generazione di cinici sente il campanone dell’orologio biologico e anela ai suoi Modà. E li trova nella band romana che, spiega la casa discografica, è capitanata da Tommaso Paradiso — proprio come i gruppini pucciosi della De Filippi che sono capitanati da quello più piacione che di norma subito dopo il botto cerca di liberarsi degli altri sfigati. Tommaso Paradiso si autodefinisce “patatone” con la stessa delizia di sé con cui Quelli Che Ne Sanno hanno deciso di precipitarsi a cogliere i frutti dolcissimi dell’alberone spurio del ❤ ❤ POP ❤ ❤, parola magica di quest’epoca ❤ ❤, soprattutto perché sa di autocommercio felice, e di urgente ripudio di generi ke fanno etikettare kome vekkio ki li askolta! ;-) La sensazione è che la nullità scorra forte nei Thegiornalisti, ma non c’è hipster anche di seconda mano che non sia pronto a spiegarvi che il nulla è il tutto che ha fatto il giro. In concomitanza con l’uscita dell’album manca un nuovissimo singolo (il prossimo dovrebbe essere Sold out), ma ne accludiamo uno vecchio, non fa molta differenza, non la vuole fare. ()

Christine Owman

When on Fire (feat. Mark Lanegan)

Christine è una polistrumentista sfaccettata

Caso mai non ci si sia accorti di quanto la bionda ed evanescente Christine Owman sia una musicista di talento, ecco qua la investitura ufficiale del featurer più desiderato del globo, Mark Lanegan. Solamente che questa volta non è stato lui ad essere richiesto dall’eterea cantante, ma si è offerto in prima persona, affascinato dal talento da one woman band della nostra, che suona ben una decina di strumenti. Il risultato è questa When on Fire, una canzone surreale ed umbratile in cui la vocalità onirica di Christine ben si sposa con quella sulfurea di Lanegan. Un gioco di chiaroscuri trasognato che più che far pensare al fuoco della passione delinea l’anfratto rarefatto in cui essa lentamente si stempera sino a diventare cenere. Ma si sa, è proprio dalle ceneri che rinasce la fenice. ()

Bonus track 1: Happy Holiday di She & Him. Perché nei supermercati sono già arrivati i panettoni.

Bonus track 2: China Girl di Iggy Pop dal vivo alla Royal Albert Hall. Perché quest’anno Babbo Natale potrebbe presentarsi a torso nudo.

Bonus track 3: A Little Crazy di Nicole Atkins. Perché se proprio dovete farvi venire il magone, fatelo la colonna sonora giusta.

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