Ho iniziato a imparare Vue.js

La storia di una comfort zone, di un crollo, di un gatto con i tentacoli, di un corso online e di alcuni caffè.

Davide Giovanni Steccanella
I Diari del Digitale
4 min readFeb 8, 2018

--

«Ogni problema è un dono. Senza problemi non sapremmo crescere»
— Anthony Robbins

Ho 21 anni, due anni di esperienza nel mondo del free-lancing e fra poco fonderò una società con altri tre soci nella quale sarò UI & UX designer. E fino a qui, fila tutto liscio.

Al mondo mi presento come product designer e illustratore — mi sono sempre occupato di costruire un prodotto, digitale o meno, gestendone tutti gli aspetti nel complesso: brand identity, servizi connessi, esperienza d’uso, follow-up e via discorrendo.

Nel mondo dei prodotti digitali, però, c’è sempre stata un’eccezione: l’implementazione.

Era una mia abitudine: progettavo, mi interfacciavo con gli sviluppatori e loro implementavano. Easy peasy.

E fino a quando lavoravo su progetti facendo il free-lance da remoto era un sogno.

Poi, è arrivata la società, il team work e la costruzione di un intero gestionale da zero con una richiesta: «I componenti della design library li implementerai tu con l’altra UX designer».

Design libraries ne avevo progettate, ma sempre all’interno di design teams che usavano Abstract per il version control e Sketch per gli output. Le specifiche? Ci si adattava: Zeplin, spreadsheets, plugins, ecc.

Atto uno: il crollo

Per avere dei riferimenti, ci siamo messi a osservare i design systems sviluppati da altri.

Abbiamo aperto Adele e ci siamo messi a osservare su GitHub come Auth0, Dropbox, GitHub stesso e altri avevano organizzato le loro librerie.

Erano file su file.

JSONs su JSONS, STYL su STYL, codice codice codice.

La mia reazione è stata 🙂 pacata 🙂.

Dal panico,

sono passato al rifiuto.

Cosa stava succedendo?

Avevo appena fatto un bel salto fuori dalla mia dorata bolla di comfort e dagli ambiti che conoscevo e in cui mi muovevo con sicurezza, per tuffarmi in un mare completamente inesplorato.

Le ore della giornata rimanenti le ho passate pensando che forse questo non era il lavoro adatto per me.

Sì, lo so — sono melodrammatico

Atto due: il reframing

Uscire dalle proprie comfrot zones è sempre un atto scomodo.

Sentirsi uncomfortable è parte del processo — ma è proprio per gestire quel senso di disagio che impariamo nuove skills, nuove strategie e mindsets.

Spesso, uno dei fattori principali di disagio è l’ignoranza: non conoscere l’ambiente, come funzionano le sue regole e su cosa si può intervenire non aiuta.

Le comfort zones sono comfortevoli proprio perchè conosciamo cosa aspettarci e ne abbiamo esperienza.

Mi sono rivolto a Maximilian Schwarzmuller.

Maximilian gestisce molti corsi su Udemy, tra i quali uno su Vue.js, framework javascript che abbiamo deciso di usare per produrre i componenti 👇🏻

In pochi giorni, ho ritrovato la serenità mentale: imparare a conoscere Vue e metterci mano direttamente ha avuto l’effetto desiderato.

La discomfort zone si stava trasformando.

Atto tre: la riflessione

Non c’è crescita se allo scontro non segue un processo di metabolizzazione e riflessione.

In aiuto, mi è venuta una frase di Achille Castiglioni, designer italiano tra i più influenti nel XX secolo:

Un oggetto di design è frutto dello sforzo comune di molte persone dalle diverse specifiche competenze tecniche, industriali, commerciali, estetiche. Il lavoro del designer è la sintesi espressiva di questo lavoro collettivo. Quello che caratterizza la progettazione è proprio il rapporto continuo tra parecchi operatori, dall’imprenditore all’ultimo operaio.

Castiglioni progettava lampade e mobilia, ma quanto dice vale anche per il designer digitale.

L’isolamento non serve: il designer, in quanto progettista, dovrebbe saper coniugare linguaggi e universi per generare un prodotto.

Non conosci il codice che useranno gli sviluppatori per implementare il tuo progetto? Imparalo. Non conosci le architetture del software? Studiale. Non hai mai usato quel tool? Provalo.

Castiglioni progettava una lampada conoscendo come veniva prodotta in ogni sua parte, come venivano estratti e lavorati i materiali, come lavoravano gli operai delle fabbriche a cui inviava i progetti e i rivenditori, come pensavano e vivevano i futuri utilizzatori della sua lampada.

E uscivano capolavori del product design del genere:

La lampada Parabola dei fratelli Castiglioni

TL;DR

Con l’approcciarmi a nuove esperienze lavorative, mi sono trovato ad affrontare nuove richieste lavorative che mi hanno fatto uscire dalla mia comfort zone da product designer.

Dovrò implementare i componenti che progetto.

Dopo un crollo, imparare a conoscere in prima persona gli strumenti e i linguaggi che dovrò usare ha aumentato il mio set di skills e ha ampliato la visione che ho sui processi necessari per creare un prodotto.

E maggiori le conoscenze, migliore il prodotto finale.

--

--