UX e Product Design — le basi del bravo Virtual Designer
Non solo interfacce. Non solo esperienza. Prodotti.
UX. User Experience. Esperienza d’uso. Esperienza utente. L’avrete chiamata in molti modi (magari anche meno carini) ma la sostanza non cambia.
È l’andazzo da qualche anno.
Gestire e progettare ciò che l’utente esperisce usando il vostro prodotto digitale è ormai quello che i recruiters si aspettano quando vi vedono tremare davanti al loro caffè.
Il tempo sta correndo però e i processi della user experience stanno diventando sempre più abbordabili, sempre più schematizzati — i passaggi e i principi si stabiliscono, si proiettano e si interiorizzano. Ancora poco, e la UX sarà sostituibile e gli UX designers sbrodoleranno fuori da ogni Accademia.
I tempi d’oro stanno finendo. È una tragedia? Non direi.
È semplice evoluzione e nella nostra epoca non ci vogliono più due decadi per passare da un punto all’altro ma al massimo due anni — si passa dal Tirannosauro al gallinaceo in un sorso di caffè.
Il design è un mondo che deve sempre affrontare tale corsa al cardiopalma — nuovi softwares, nuovi principi, nuove tecnologie, nuovi media, nuove tendenze.
Tutto fa brodo.
Si vede già cosa subentrerà alla esperienza ed è il prodotto.
È una logica inclusiva e un passaggio prevedibile — il primo step è la UI di almeno sette anni fa, quando si progettavano le interfacce con cura e dovizia pensando alla componente umana che avrebbe dovuto interagirci.
Passano gli anni e due anni fa compare la UX, dove si gestiscono le interazioni tra gli elementi della UI e l’utente, dove si prevede il percorso emotivo e concettuale, dove si cerca di costruire un processo completo che includa comportamenti, aspettative, concezioni e tecnologie.
E ora il prossimo trampolino di lancio è il Prodotto, il Product Design (PD) — nel mondo digitale, interfacce ed esperienza sono unite in un cosmo che è il prodotto e si costruisce bilanciando con cura la realtà grafica, la componente umana (emozioni, cognizione, comportamento) e quella sociale (marketing, processi di gruppo, scale di produzione, conoscenza dei mercati).
Cosa avete appena letto?
Il futuro. Il prossimo futuro. Quello che si chiederà a te, aspirante UX designer.
Dovrai costruire un prodotto, il che vuol dire riuscire a capire l’esatto nucleo di mercato, la richiesta e il contesto che dovrà assorbire quanto creerai per poi delineare il progetto che meglio possa rispondere in tutte le sue parti (interfacce, interazioni, brand identity, tono di voce, ecc) a quanto si chiede.
Spaventoso? Nemmeno tanto — è un’estensione della UX che finalmente rivolge lo sguardo al macro-contesto.
La realtà virtuale e la realtà aumentata cos’hanno a che fare però con tutto ‘sto pippone?
Molto, anzi, un sacco.
Entrambe prevedono la costruzione di un’esperienza che ingloba una valanga di dati sensoriali e tutt’e due si inseriscono in un contesto completo che sfora il limite ristretto degli smartphone.
Per tale motivo, per assicurare che tali tecnologie vengano inglobate e per nulla rigettate, è necessario la creazione e la progettazione del prodotto perfetto.
Non semplice interfaccia. Non semplice esperienza ma prodotto.
Un prodotto VR/AR fatto di sola interfaccia è manchevole delle seguenti cose:
- Percezione e definizione dello spazio;
- Uso e valorizzazione del movimento;
- Valore emotivo dello spazio;
- Strutturazione dell’esperienza nello spazio 3D;
- Coesione tra parti;
- Un percorso preciso di passaggi.
Un prodotto VR/AR che invece manca di attenzione al prodotto nel suo completo mancherà di:
- Coerenza con i contesti di inserimento;
- Integrazione operativa;
- Richiesta effettiva;
- Implementazione funzionale delle parti del prodotto.
Tali elementi sono essenziali per un prodotto di tal genere perchè:
- comprendono una vasta gamma di contesti operativi nel loro insieme;
- non è come nei telefoni, dove un cattivo prodotto ha un impatto in scala ridotta — con VR e AR si parla di contesti spaziali e corporei vasti;
- il rigetto è maggiore, dal momento che si coinvolgono più piani;
- l’impatto emotivo e mnemonico di un cattivo VR/AR product è esponenziale e molto difficile da recuperare.
Immaginatevi un programma che permette di visualizzare la casa dove andrete ad abitare o che volete acquistare tramite un VR headset — vi dovete muovere nello spazio, manipolare oggetti, visualizzare una mappa e navigarci dentro senza perdervi.
Vorreste mai che questa esperienza immersiva sia dotata di coerenza nulla, vuoti concettuali, linee guida assenti, salti logici e nessuna integrazione dello spazio circostante, ma con un’interfaccia deliziosa?
Il Virtual Designer sarà dunque un Product Designer a tutti gli effetti ma con un set di skills specifiche per il settore del Virtuale e dell’Aumentato, capace di avere una visione globale della realtà che andrà a sovrapporsi alla nostra e che dovrà progettare al meglio per l’utente singolo e per la nicchia di mercato che la andrà a richiedere.
È una bella challenge, perchè si richiede al designer di avere un panorama di conoscenze ed esperienze molto ampio — psicologia, sociologia, marketing, economia, programmazione, design.
Le nuove tecnologie e le nuove nicchie di mercato che apriranno richiedono questo per uscire dall’ombra di figure automatiche e sostituibili come saranno gli UX designers.
Nei prossimi articoli, cercherò di fare chiarezza su cosa voglia dire sviluppare una UX per la realtà virtuale e poi implemetare in un Product Design Flow.
Stay tuned.