UX e Product Design — le basi del bravo Virtual Designer

Non solo interfacce. Non solo esperienza. Prodotti.

Davide Giovanni Steccanella
I Diari del Digitale
5 min readAug 22, 2017

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UX. User Experience. Esperienza d’uso. Esperienza utente. L’avrete chiamata in molti modi (magari anche meno carini) ma la sostanza non cambia.
È l’andazzo da qualche anno.

Gestire e progettare ciò che l’utente esperisce usando il vostro prodotto digitale è ormai quello che i recruiters si aspettano quando vi vedono tremare davanti al loro caffè.

Il tempo sta correndo però e i processi della user experience stanno diventando sempre più abbordabili, sempre più schematizzati — i passaggi e i principi si stabiliscono, si proiettano e si interiorizzano. Ancora poco, e la UX sarà sostituibile e gli UX designers sbrodoleranno fuori da ogni Accademia.

I tempi d’oro stanno finendo. È una tragedia? Non direi.

È semplice evoluzione e nella nostra epoca non ci vogliono più due decadi per passare da un punto all’altro ma al massimo due anni — si passa dal Tirannosauro al gallinaceo in un sorso di caffè.

Il design è un mondo che deve sempre affrontare tale corsa al cardiopalma — nuovi softwares, nuovi principi, nuove tecnologie, nuovi media, nuove tendenze.
Tutto fa brodo.

Si vede già cosa subentrerà alla esperienza ed è il prodotto.

È una logica inclusiva e un passaggio prevedibile — il primo step è la UI di almeno sette anni fa, quando si progettavano le interfacce con cura e dovizia pensando alla componente umana che avrebbe dovuto interagirci.

Passano gli anni e due anni fa compare la UX, dove si gestiscono le interazioni tra gli elementi della UI e l’utente, dove si prevede il percorso emotivo e concettuale, dove si cerca di costruire un processo completo che includa comportamenti, aspettative, concezioni e tecnologie.

Interfaccia realizzata da Sergey Valiukh: https://dribbble.com/shots/1701001-GIF-Exercise?list=shots&sort=popular&timeframe=now&offset=2

E ora il prossimo trampolino di lancio è il Prodotto, il Product Design (PD) — nel mondo digitale, interfacce ed esperienza sono unite in un cosmo che è il prodotto e si costruisce bilanciando con cura la realtà grafica, la componente umana (emozioni, cognizione, comportamento) e quella sociale (marketing, processi di gruppo, scale di produzione, conoscenza dei mercati).

Cosa avete appena letto?

Il futuro. Il prossimo futuro. Quello che si chiederà a te, aspirante UX designer.

Dovrai costruire un prodotto, il che vuol dire riuscire a capire l’esatto nucleo di mercato, la richiesta e il contesto che dovrà assorbire quanto creerai per poi delineare il progetto che meglio possa rispondere in tutte le sue parti (interfacce, interazioni, brand identity, tono di voce, ecc) a quanto si chiede.

Spaventoso? Nemmeno tanto — è un’estensione della UX che finalmente rivolge lo sguardo al macro-contesto.

La realtà virtuale e la realtà aumentata cos’hanno a che fare però con tutto ‘sto pippone?

Molto, anzi, un sacco.

Entrambe prevedono la costruzione di un’esperienza che ingloba una valanga di dati sensoriali e tutt’e due si inseriscono in un contesto completo che sfora il limite ristretto degli smartphone.

Per tale motivo, per assicurare che tali tecnologie vengano inglobate e per nulla rigettate, è necessario la creazione e la progettazione del prodotto perfetto.

Non semplice interfaccia. Non semplice esperienza ma prodotto.

Un realtà, sia essa aumentata che virtuale, con una buona product strategy alle spalle è come avere una buona bussola che ci guida all’interno dell’esperienza.

Un prodotto VR/AR fatto di sola interfaccia è manchevole delle seguenti cose:

  • Percezione e definizione dello spazio;
  • Uso e valorizzazione del movimento;
  • Valore emotivo dello spazio;
  • Strutturazione dell’esperienza nello spazio 3D;
  • Coesione tra parti;
  • Un percorso preciso di passaggi.

Un prodotto VR/AR che invece manca di attenzione al prodotto nel suo completo mancherà di:

  • Coerenza con i contesti di inserimento;
  • Integrazione operativa;
  • Richiesta effettiva;
  • Implementazione funzionale delle parti del prodotto.

Tali elementi sono essenziali per un prodotto di tal genere perchè:

  • comprendono una vasta gamma di contesti operativi nel loro insieme;
  • non è come nei telefoni, dove un cattivo prodotto ha un impatto in scala ridotta — con VR e AR si parla di contesti spaziali e corporei vasti;
  • il rigetto è maggiore, dal momento che si coinvolgono più piani;
  • l’impatto emotivo e mnemonico di un cattivo VR/AR product è esponenziale e molto difficile da recuperare.

Immaginatevi un programma che permette di visualizzare la casa dove andrete ad abitare o che volete acquistare tramite un VR headset — vi dovete muovere nello spazio, manipolare oggetti, visualizzare una mappa e navigarci dentro senza perdervi.
Vorreste mai che questa esperienza immersiva sia dotata di coerenza nulla, vuoti concettuali, linee guida assenti, salti logici e nessuna integrazione dello spazio circostante, ma con un’interfaccia deliziosa?

Un incubo. Sul serio.

Il Virtual Designer sarà dunque un Product Designer a tutti gli effetti ma con un set di skills specifiche per il settore del Virtuale e dell’Aumentato, capace di avere una visione globale della realtà che andrà a sovrapporsi alla nostra e che dovrà progettare al meglio per l’utente singolo e per la nicchia di mercato che la andrà a richiedere.

È una bella challenge, perchè si richiede al designer di avere un panorama di conoscenze ed esperienze molto ampio — psicologia, sociologia, marketing, economia, programmazione, design.

Ma nemmeno troppo.

Le nuove tecnologie e le nuove nicchie di mercato che apriranno richiedono questo per uscire dall’ombra di figure automatiche e sostituibili come saranno gli UX designers.

Nei prossimi articoli, cercherò di fare chiarezza su cosa voglia dire sviluppare una UX per la realtà virtuale e poi implemetare in un Product Design Flow.

Stay tuned.

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