Amare il Cachemire
Ossia il più bel podcast dell’universo, condotto da Edoardo Ferrario e Luca Ravenna
“Cachemire è il miglior podcast italiano” mi dice un amico. Non ne ho mai sentito parlare, non conosco chi lo conduce, non ho idea di cosa parli. Leggo chi lo conduce — non li conosco — leggo che sono comici e penso che io i comici italiani non li amo molto, salvo certi. Senza preconcetti (il più possibile, almeno) ne ascolto una puntata: parlano delle regioni italiane come se facessero un viaggio dal nord al sud. Mi viene in mente — chi era? Forse Gino Bramieri — che raccontava quella barzelletta usando tutti i dialetti d’Italia. Intanto corro e ascolto. Il tono rilassato di Edoardo Ferrario e Luca Ravenna e la loro capacità davvero stupefacente di imitare qualsiasi inflessione locale hanno la mia attenzione. Dopo poco mi devo spesso fermare per ridere, da tanto devo ridere.
Potrei anche fermarmi qui: potrebbe trattarsi di un podcast divertentissimo (cosa che è) e basta. Eppure ha una qualità in più, o un insieme di qualità che, da qualche mese, me lo fa aspettare il venerdì con brama.
Comedians
“Comedian” non ha una traduzione precisa in italiano: dire “comico” è davvero riduttivo, ma anche dire “monologhista” non gli rende giustizia, sa più di adepto di una religione mesopotamica. “Commediante” ha un significato ancora diverso e accezioni pure dispregiative, di quello che mette in scena pantomime esistenziali in maniera poco sincera e subdola.
Conoscendo e amando quelli americani — George Carlin, Bill Hicks, Eddie Murphy, Louis C. K., Jerry Seinfeld, Dave Chappelle ecc. — non avevo aspettative particolari rispetto a quelli italiani, o almeno rispetto a quelli che si definiscono comedian a loro volta. Si ispirano a quei maestri ma lo fanno in italiano (c’era Luttazzi una volta, è vero e doveroso riconoscerlo, ma ci torno dopo) e quindi mi interessa più che altro capire cosa può diventare un comedian in versione italiana.
Partiamo quindi dall’inizio: cosa differenzia un comedian da un comico? Io credo soprattutto le tematiche e le modalità: il comedian parla sempre in prima persona, di esperienze personali (inventate o meno non conta) e da quel particolare sta allo spettatore desumere un tratto generale o sentirsi coinvolto o meno dal racconto. In parole ancora più semplici, un comedian racconta storie che sfruttano il meccanismo dell’identificazione. Se si trova divertente o provocatorio o odioso un comedian è perché in qualche modo si stabilisce un rapporto con lui e con quello che racconta. Per questo trovo sempre meno divertenti le parodie dei personaggi, specie quando normalizzano figure odiose o controverse (Luttazzi docet, sempre che fosse sua l’osservazione, che resta comunque valida).
Per essere un bravo comedian — almeno per come la vedo io, da spettatore — contano le storie che racconti e come le racconti: contano l’argomento e la modalità, contano la scrittura e la tecnica.
La scrittura è la sostanza di quello che racconta e la tecnica è la modalità, è come viene “offerta” la storia. La modalità è importantissima ed è la differenza che c’è fra lo scrivere una battuta su Twitter e metterne 90 di fila legate fra di loro e recitate su un palco. Come dissi già di Luttazzi, questa è “la differenza fra lo scrivere battute e recitarle e la funzione del corpo del comico e dei suoi tempi“.
C’è uno degli ultimi spettacoli di Chappelle in cui a metà butta lì una battuta: parla di lui che si masturba mentre il cane lo guarda. Non è che si ecciti a pensare che il cane lo guarda mentre lo fa, capita e basta. Intanto ha raccontato questa cosa e gli spettatori hanno un’immagine in testa. Riposa, se ne sta zitta. Alla fine dello spettacolo la chiusa ritorna esattamente su quella battuta, non solo come richiamo ma come struttura più complessa. È una battuta in due tempi: fa ridere la prima parte, fa ancora più ridere la seconda ma messa alla fine sono i fuochi d’artificio sparati alla fine di un concerto glorioso. Così si fa uno show: si costruisce una struttura, ci si mostra mentre la si costruisce, si dice allo spettatore “Vedi cosa sto facendo? Ti mostro una cosa, adesso non capisci perché è un dettaglio ma aspetta”.
Costruire uno show così non è facile, per niente. Infatti pochi ci riescono.
Quei due
Credo che la qualità di questo podcast stia naturalmente nelle due personalità dei conduttori ma soprattutto nell’equilibrio che riescono ad avere fra di loro. Si capisce che sono amici, si capisce che sono in armonia (o fingono molto bene) ma non è questo che conta. La qualità della conduzione a due è fatta dal bilanciamento delle personalità, non dalla loro somma. Non vinci una partita di calcio con 10 attaccanti e non fai un ottimo show con due comedian di cui nessuno è la spalla dell’altro.
La cosa bella di Cachemire è che infatti i ruoli sono fluidi: non c’è una spalla definita, la maglia passa sempre da uno all’altro. Anzi: entrambi riescono a essere sia protagonisti che spalle in se stessi e di se stessi, prima ancora che dell’altro. Lo so, non è facile da immaginare ma è così.
E questo per quanto riguarda il loro rapporto all’interno del podcast. Rispetto al loro mestiere, e presi individualmente, ciò che rende Cachemire un piacere da ascoltare è il loro dominio della tecnica e della scrittura: raccontano storie e lo fanno benissimo.
Relativamente al podcast va fatto un distinguo: non si tratta di uno spettacolo dal vivo o, se si dovesse cercare un parallelo, si potrebbe pensare solo all’improvvisazione: ogni puntata ha un tema e una scaletta e di certo molte battute sono pensate o di repertorio ma in gran parte è improvvisato, e solo chi ha mestiere e preparazione sa farlo. Non conosco la loro biografia ma non mi stupirei se avessero fatto radio. Del resto comunque già i tempi comici sono un elemento fondamentale delle costruzione dello spettacolo e fanno parte della tecnica che un comedian deve avere (una volta lessi una lunga disamina di un paragrafo di uno spettacolo di Louis C. K. che dimostrava che ogni parola era scelta con cura e che nessuna poteva essere spostata, omessa o modificata senza modificare l’effetto comico. Ecco, la comicità è una scienza molto esatta).
Scrittura e tecnica
Torno su questi due elementi perché sono gli strumenti principali, credo, di cui un comedian deve essere dotato per raccontare la sua storia.
Quello che segue è un piccolo esempio della differenza che c’è fra il suscitare un’immagine e il raccontare una storia (con un’immagine).
Mentre parlano della prestazione a Sanremo di Fedez, Luca Ravenna dice “La Michielin a un certo punto guarda Fedez come un marito avrebbe guardato la moglie su un ponte tibetano che sta per cadere con in braccio i figli e in mano un valigia piena della droga che devono portare oltre confine per salvare tutti”.
È un’immagine, una foto in movimento che racconta una storia e che è ben più potente di “Guarda Fedez come un marito avrebbe guardato la moglie sull’orlo del precipizio”. L’elemento comico non è solo dato dagli elementi che tratteggiano meglio la storia (la droga, i figli, il ponte tibetano) ma soprattutto dalla dinamica dell’immagine: per arrivare a quel precipizio, e senza nemmeno raccontarlo, c’è un prima e un dopo (l’attraversamento del ponte, l’oscillazione e il cedimento strutturale, e il dopo, il carico di droga da portare al confine). Il tutto raccontato in una frase.
Questa è la potenza che una storia sa suscitare: accende i ricordi e stimola l’immaginazione, suscita la costruzione mentale di immagini, esprime in maniera figurata e dinamica uno stato d’animo come quello della Michielin che guarda Fedez e che si chiede se ce la farà mai a cantare quella strofa.
Scrittura (della storia), tecnica (nel raccontarla, con i tempi e le parole giuste) e sopra tutto l’improvvisazione. Cachemire, in altre parole.