I problemi di Jonathan Zenti

«Problemi Deli» è il più interessante podcast del 2021. E forse anche del 2022

Martino Pietropoli
I LOVE PODCASTS
Published in
5 min readJan 24, 2021

--

Vengo a conoscenza di Jonathan Zenti ascoltando Meat, il suo podcast in lingua inglese che esiste in qualche puntata — credo la intro e qualche altra. Questo suo lavoro è un grande progetto che parla del suo corpo e della sua carne. Di materia e di ciò di cui siamo fatti e soprattutto di ciò che facciamo con esso: come lo usiamo e come ne siamo usati, come ci serve e come ci soggioga attraverso la percezione che ne abbiamo.

Zenti è in sovrappeso e in quel lavoro si mette spietatamente alla luce. Senza limiti o pudori parla del suo rapporto con un corpo imponente e come il suo corpo decida anche, indipendentemente dalla sua volontà, come le altre persone interagiscono con lui. Come se ci fosse Zenti come mente e uomo e poi il suo corpo. Quando hai a che fare con lui il rapporto diventa a tre.

(forse questa è un’elaborazione che ne faccio io a distanza, forse Zenti non è d’accordo, vabbè).

Meat è un progetto interamente in inglese. Lo fece per Radiotopia — un grande network di podcast americano — che al tempo aveva indetto un concorso internazionale per raccogliere e premiare le migliori idee da trasformare poi in podcast. Lui arriva fra i primi e lo fa. Ovviamente in lingua inglese.

Mi attrae che un italiano faccia un lavoro interamente in lingua inglese, una lingua che, sentendolo parlare, non è la sua madrelingua ma che parla bene. Mi pare un atteggiamento simile al mio, che cerco di scrivere il più possibile in inglese e che ragiono soprattutto con la testa fuori dall’Italia. Forse è questo che mi ha incuriosito prima di tutto nel suo lavoro.

Ma quello che scrivo qui non deve parlare di me. Lo faccio solo per spiegare perché ritengo Zenti una delle voci più interessanti che si possano ascoltare oggi in Italia.

Entrambi siamo veneti, entrambi veniamo da una certa provincia: io di quel genere profondo e marginale, lui da Verona, che ha una dimensione più ampia eppure ha anche zavorre che le impediscono di maturare in qualcosa di finalmente diverso e più alto. Qui c’è l’arretratezza economica e culturale, a Verona c’è la ricchezza economica ma anche una certa viscosità politica: è come se ogni tentativo di modernizzazione venisse frenato da uno sviluppo politico e amministrativo molto conservatore e spesso apertamente di estrema destra.

Il risultato è che – in ambiti urbani e umani diversi – il tempo sembra non procedere mai.

Lui nel frattempo diventa uno dei più bravi audiodocumentaristi italiani e, per forza di cose e interessi personali, arriva alla forma del podcast. Meat, si diceva e poi «Problemi», iniziato a novembre 2019. Problemi è in italiano, affronta un tema «problematico» che diventa monografico in ogni puntata e ha date di pubblicazione random. Si capisce che ogni puntata richiede studio, ricerca, scrittura, produzione. Alcune sono particolarmente complesse e raccolgono molto materiale registrato in giro, interviste, suoni ambientali. Zenti monta in studio ma gira molto e finalmente porta in Italia la qualità della produzione dei migliori podcast americani: composti da parti registrate dal vivo e parti in studio, poi unite in produzione. Puntate «prodotte» nel vero senso della parola. È una forma di podcast più complessa e quasi artigianale ma è in fondo simile al suo modo di lavorare che è un po’ un cinema senza immagini (più interessante del cinema perché stimola la parte visiva lasciandola sviluppare all’ascoltatore, non offrendogliela sotto forma di immagini).

Ma «Problemi» è problematico e ogni puntata richiede molto tempo.

A dicembre 2020 Zenti inizia a pubblicare uno spin-off: si chiama «Problemi Deli» ed è quotidiano, fine settimana compresi (fin qui). La forma è più snella, le puntate durano di meno (dai 15 ai 20 minuti) gli argomenti sono presi dai temi del dibattito pubblico corrente. L’editing è molto leggero, poco altro oltre all’inserimento di sigla e pubblicità: qualche taglio in qua e in là, nemmeno sempre.

In questa forma Zenti diventa per me irrinunciabile. Non so per quanto durerà ma mi accorgo che lo ascolto ogni giorno. È come se finalmente avesse trovato una forma di comunicazione meno raffinata ma molto più diretta che gli permette di mostrare la sua testa che è indubbiamente notevole (la puntata sulla differenza fra destra e sinistra andrebbe fatta ascoltare nelle scuola, fine) e che, anche quando parla di temi che hanno domani come data di scadenza, riesce a proiettarli in un contesto più grande, che ha quindi maggior respiro della chiacchiera del giorno.

E in questa forma veloce e apparentemente meno approfondita, Zenti riesce a mostrare quale differenza c’è fra il chiacchiericcio radiofonico sul tema del giorno e cosa significhi trattarlo invece con l’occhio e la mente di chi ha dedicato a certi argomenti riflessioni e meditazioni durate anni. Quando parla di Renzi non ne parla solo per il personaggio che è ma inquadra un singolo frammento storico nell’intera parabola renziana, riuscendo in pochi minuti a delineare un affresco storico della vicenda di questo politico.

La coesistenza dei due piani narrativi – particolare/quotidiano e generale/storico – è caratteristica di Zenti. Là dove la maggior parte del dibattito pubblico si ferma al qui e ora e a una visione ombelicale priva di qualsiasi prospettiva, lui eleva il discorso e mette le parti in rapporto fra di loro. Perché ha evidentemente visione, conoscenza e interesse per la comprensione dei meccanismi mediatici e comunicativi. O anche, semplicemente, una sana passione per il trascurato rapporto fra causa ed effetto. Perché ormai le cronache vengono consumate come uno che sta affogando morderebbe dell’aria appena arrivato in superficie, per poi ripiombare sotto: come se le riuscissimo a vedere solo in quel giorno in cui accadono e poi scomparissero, orfane delle cause che le hanno generate.

«Problemi Deli» non ha niente della superficialità della comunicazione quotidiana (anche nel senso «dei quotidiani») e ha invece una grande profondità. Pur essendo più spontaneo e meno studiato di «Problemi» gode della scrittura dello stesso autore e soprattutto della sua capacità di vedere le cose dall’alto.

Non so se si tratti della visione di un provinciale (che, da provinciale, conosco benissimo) che guarda da lontano e vede il quadro d’insieme. Sempre da provinciale credo che questo sia un superpotere di noi provinciali: siamo molto allenati a vedere le cose da distante.

A un certo punto della vita non ci sentiamo più esclusi e, con una certa lucidità, cominciamo a chiamare quello che vediamo con il suo nome. Perché siamo consapevoli della sola verità: Milano non ti vuole.

--

--

Martino Pietropoli
I LOVE PODCASTS

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com