Come se fossero nostri figli

Lettera ad un’amica lontana sullo ius soli e la necessità di ripensare l’accoglienza in termini di amore e inclusione

Andrea Wierer
I miei #2Cent
6 min readJun 11, 2018

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Dopo così tanto tempo che non ci sediamo ad un tavolo a parlare o durante una passeggiata la tua domanda mi ha sorpreso e fatto venire voglia di scrivere; sai bene quanto mettere nero su bianco i nostri pensieri sia un modo molto comune di strutturare le idee. Il trambusto degli ultimi tempi ci impedisce di sederci e riflettere lasciando che il tumulto dei nostri pensieri si adagi all’interno delle categorie della nostra ragione. Perché per quanto l’amore e la passione guidino il nostro modo di interpretare il mondo dobbiamo comunque fare i conti con la ragione e con gli argomenti che vorremmo dessero spessore e credibilità al nostro pensare: questo ci distingue dalle galline urlanti che popolano parte del web.

Lo Ius soli, del quale tu mi chiedi, è stato per mesi un tema che ha catalizzato l’attenzione dei media e anche quella di chi come me si appassiona alle vicissitudini della politica circa tre anni fa e nonostante sia passato così tanto tempo lo sento come un tema tremendamente attuale; mi sono sempre lasciato prendere dalle questioni politiche effettivamente, ma gli ultimi anni sono stati effettivamente così effervescenti che spesso mi sono fatto trascinare da diversi dibattiti e temi di attualità con passione e spesso senza il necessario rigore. Scrivere serve anche a questo, a dare rigore ai nostri pensieri, agli slogan che così facili si stampano tra i commenti ad un post su Facebook o in risposta ad un Tweet. La cosa che apprezzo di più della tua domanda è che fin da subito metti in chiaro che la questione ha radici nel tema accoglienza/integrazione.

Inutile specificare che è un tema (due, ancorché intimamente connessi) che mi tocca da vicino. Io sono un migrante e sono stato accolto con moglie e due figli in un Paese straniero. È inevitabile che mi senta coinvolto perché il tema della cittadinanza — che non vuol dire solo diritti, ma anche integrazione — mi tocca direttamente.

Lo ius soli

Ma andiamo per gradi: la proposta di legge sullo ius soli voleva in breve espandere i criteri per ottenere la cittadinanza italiana e riguardava soprattutto i bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli. Con la legge attuale un bambino seppur nato in Italia, ma da genitori stranieri non cittadini, non ha diritto alla cittadinanza fino al compimento del 18esimo anno. Lo ius soli proposto dal Partito Democratico si suddivide in temperato e culturae. Temperato perché alla persona nata in Italia da genitori non cittadini italiani sarebbe stata concessa la cittadinanza solo nel caso i genitori avessero potuto dimostrare di essere legalmente in Italia da 5 anni (se cittadino UE); nel caso di cittadini extra comunitari sarebbero state necessarie altre tre condizioni:

- avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;
- disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge;
- deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.

Sul tema venne pubblicato un articolo chiarificatore, nel gergo uno spiegone, da Il Post https://www.ilpost.it/2017/06/16/ius-soli-italia/

Allo ius soli temperato venne inoltre affiancata una seconda possibilità: lo ius soli culturae. Per chiarezza ti cito l’articolo riportato qui sopra:

Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Punti di vista

Tu mi ricordi che secondo me era una “questione di civiltà” e lo posso confermare anche dopo tre anni. Perché?

Innanzitutto per una questione pratica. Diciamocelo: i flussi migratori sono e saranno una caratteristica strutturale della nostra modernità. Noi abbiamo avuto la fortuna, e i nostri figli spero ne potranno approfittare ancora di più, di poter viaggiare. Il ventesimo secolo ci ha insegnato che le distanze non sono più barriere invalicabili, che il mondo dove siamo cresciuti non è tutto, che esistono persone, culture, opportunità e sogni al di fuori del nostro giardinetto.

Le persone si possono spostare con più facilità oggi e lo fanno. Il punto è che i protagonisti di questi spostamenti non sono solo i diciottenni che vanno a studiare in Inghilterra o fanno un master a New York; si spostano anche coloro che credevamo potessero essere relegati nello scantinato del mondo a cucire i palloni con i quali i nostri figli giocavano felici in giardino. La facilità di spostarsi ha fatto emergere il prezzo del nostro benessere. Non voglio additare la cultura occidentale come malvagia o causa del male del mondo, lungi da me supportare tali cazzate, ma semplicemente farti capire che mai come negli ultimi anni è chiaro che il nostro è un ecosistema globale dove finalmente vediamo con maggiore facilità le conseguenze delle nostre azioni. Noi abbiamo il benessere, la pace, un futuro, e cosa credi che voglia un genitore per i suoi figli? Cosa faresti tu come mamma per tua figlia se foste nati nel Mali? Non vorresti le stesse opportunità per lei?

La questione pratica alla quale accennavo prima è semplice: tu questi flussi non li puoi fermare! Perlomeno non nel breve periodo, unica dimensione che sembra possa essere presa in considerazione da chi ci governa ora e chi ci governava prima: un esercito di miopi, ma questa mancanza di lungimiranza e incapacità di pensare/agire in un’ottica di lungo periodo non è il tema della mia lettera. Se non li puoi fermare li devi gestire accogliendo chi ha diritto e facendo tutto il necessario per integrarlo. Se non lo integri oggi hai un problema sicuro domani, vedi tu…

E qui veniamo al punto: la proposta avrebbe previsto la cittadinanza per i figli di chi è qui regolarmente, con un reddito sufficiente e un’abitazione idonea. Non stiamo parlando di dare la cittadinanza al figlio di una disperata arrivata incinta su un gommone. Stiamo parlando di persone che la otterranno comunque, ma che fino ad allora potrebbero essere discriminati per non averla (niente cittadinanza uguale a niente passaporto uguale a niente gita all’estero per riportarti un esempio avvenuto realmente).

La domanda che mi sono posto è: come vorresti venisse trattata tua/o figlia/o in un Paese straniero? Cosa ha l’Italia da perdere nell’anticipare la cittadinanza ad un ragazzino? Cosa c’è di male nell’accogliere un ospite? Loro saranno, che ti piaccia o no, gli italiani di domani insieme ai tuoi figli.

Queste persone sono italiane di fatto, parlano italiano come prima lingua (spesso anche a casa), molto spesso abbandonano la propria religione già alla seconda generazione, amano il nostro Paese come neppure molte delle nostre lo amano. Vogliono essere italiane e vogliono contribuire alla crescita culturale del nostro Paese se permettiamo loro di farne parte. Qui arriva il tema integrazione: il migrante diventa problematico quando non si integra. Di norma ciò avviene se lo ghettizzi, lo escludi e lo tratti da paria. Accoglilo e permettigli di essere parte del “noi” che un popolo dovrebbe essere, prendilo in squadra e permettigli di godere degli stessi tuoi diritti dato che i doveri già li adempie e avrai un amico, non un avversario.

Avete in Italia, abbiamo in Europa, bisogno di integrare persone (non minacce, non cose) che non possiamo lasciare fuori dalla porta. Non possiamo umanamente farlo, con i distinguo del caso previsti dalla Costituzione e dalla legge, ma una possibilità dobbiamo dargliela, come se fossero nostri figli,
come se fossero nostri figli,
come se fossero nostri figli…

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Andrea Wierer
I miei #2Cent

Papà, expat in Svezia, social media strategist freelance e barefoot runner! Non necessariamente in quest’ordine www.andreawierer.com