Ceci n’est pas un crime

Sara Di Cerbo
I Nuovi Giunti
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4 min readMay 6, 2020
Stavamo giocando a Mentidores. Non lo conoscete? Male.

Sessantanove giorni.

Ci sono voluti sessantanove giorni perché la qui presente indossasse un paio di jeans, che miracolosamente mi entrano ancora, una maglia (più appropriata a febbraio che a fine aprile), un paio di guanti in lattice neri e una mascherina. Sessantanove giorni. Che poi il sessantanove è un gran bel numero quindi bisognava approfittarne.

In campagna è tutto più semplice: basta attraversare un campo incolto per evitare i controlli, ed è facile mantenere le distanze fisiche, meno quelle sociali perché non appena metti il becco fuori di casa potenzialmente lo sanno tutti. Ma non importa: anche il pettegolezzo ha il suo fascino. Ed oggi c’è un compleanno da festeggiare, un sorriso da condividere, e soprattutto c’è la possibilità di farlo, in sicurezza.

Il punto è questo: non si tratta più di non fare le cose.

Ricordi la caverna, Jon Snow? (Con lui ci sarei rimasta anch’io nella caverna)

Ci abbiamo provato, e abbiamo arginato il problema, ma non eliminato. La vita deve andare avanti, dimentica ormai della possibilità che tutto torni come prima. Quale folle vorrebbe tornare a come prima? Chi vorrebbe riprendere a respirare un’aria irrespirabile o ricominciare a correre dal mattino alla sera? Non si può più, ormai abbiamo imparato un nuovo modo, ci siamo fermati a riconoscere l’aria di primavera, abbiamo fatto amicizia con il proprietario dell’alimentari sotto casa, siamo entrati nelle stanze dei nostri colleghi e ne abbiamo scoperto l’umanità. E tutto questo ci è piaciuto.

Noi ci siamo incontrati in un prato, ci siamo come abbracciati rimanendo a due metri di distanza, e poi abbiamo riso, scherzato, goduto di un’amicizia pronta per un nuovo stile di vita.

Lo sapevamo che le cose erano cambiate, e la consapevolezza si è abbattuta su di noi quando il freddo è calato e volevamo ancora stare insieme. Tra le mura domestiche siamo stati a distanza, ancora, abbiamo brindato al vento con una birra in mano e abbiamo immaginato dove saremmo se il mondo non fosse impazzito, e in fin dei conti abbiamo capito che non era male anche così.

E poi la bisca.

A mali estremi…

Quello è stato il momento in cui abbiamo compreso quanto la nuova normalità ci stia togliendo. Sedersi intorno a un tavolo con l’igienizzante per le mani al posto della torta, e giocare a Mentidores come sempre, consapevoli che per quanto attenti un margine di rischio esisteva. Lì ci siamo resi conto che era sbagliato, e abbiamo sperato che il tasso alcolico degli amari che stavamo bevendo avesse la possibilità di eliminare quegli spettri invisibili che fanno più paura del mostro sotto al letto di un bambino di cinque anni.

Da bambina sognavo il coraggio di fare la fuorilegge come Robin Hood per una buona causa, fuggendo nella foresta di Sherwood in cerca di rifugio. Vent’anni dopo, una mia amica mi ha fatto sentire una fuorilegge, dicendo che si aspettava che io fossi più intelligente. Le sembrava inaccettabile aver organizzato addirittura un gioco da tavola con i miei amici. Eppure a me sembrava un gesto così semplice e l’unico reato che avevo immaginato era mentire sul numero dei dadi.

Però me lo chiedo: è stato davvero un reato? Non possiamo proprio evitare questa caccia alle streghe in cerca di un colpevole?

Traditore?

Il dopo Covid inizia ora, e io ho la sensazione che il difficile non sia stato rimanere a casa per gli ultimi sessantanove giorni, ma ricominciare a vivere per i prossimi mesi, con un pericolo invisibile che ci accompagnerà finché un vaccino non farà capolino.

Sono un’ipocondriaca, una fifona, un’eterna colpevole in cerca di una colpa.

In questo periodo vedere delle persone mi fa salire un’adrenalina che neanche se facessi bungee jumping, e mi sento in colpa per questo. Ho superato la paura e ho visto delle persone, e mi sono sentita in colpa ancora una volta.

Ma insieme alla paura ho anche fede.

Ho fede nell’adattabilità dell’uomo, ho fede che il cambiamento non sia per forza un male, ho fede che tutto andrà bene, e se non andrà bene non sarà la fine, come diceva il buon William Shakespeare. Ma soprattutto ho fede nel fattore umano, nel buono che c’è in ognuno di noi, e, anche se spesso questa fede vacilla, dobbiamo ricordarci che siamo esseri umani, e senza umanità non siamo più niente.

Se poi diventerò divina, ve lo farò sapere.

E poi, chi può darle torto se è diventata pazza?

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Sara Di Cerbo
I Nuovi Giunti

Studentessa della @ScuolaHolden e del Master in progettazione, comunicazione del turismo culturale @UNITO. Appassionata di parole, pensieri e storie.