Due ore di libertà, tutti i giorni

Tommaso Lo Galbo
I Nuovi Giunti
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4 min readApr 23, 2020
La mia bici in piazza Vittorio

Mi sveglio.
Apro gli occhi e prendo il telefono a sinistra del letto. Mi ricordo che devo disinstallare il gioco di freccette, provando questa volta a disintossicarmene. Da un paio di giorni ho riscoperto la voglia per la lettura e riacceso la passione per la scrittura. Come sempre accade, però, in questi giorni tossici e stagnanti di instancabile quarantena, ogni distrazione o impulso inutile rovina i piani che ci siamo fatti: la terza videochiamata di amici o parenti del giorno, l’ennesimo inspiegabile messaggio vocale di cinquanta secondi che contiene più respiri che parole oppure una “storia” sponsorizzata che pubblicizza un gioco in cui bisogna dare forti schiaffi al proprio avversario.

Slap Kings, si chiama.

Cedo alla tentazione e dopo averlo scaricato e averci smanettato un po’ finisco di nuovo per annoiarmi, accorgendomi di aver nuovamente scombussolato il mio calendario. Torno ai soliti sensi di colpa di chi avrebbe potuto fare di più.

Inutili i programmi settimanali che mi sono prefissato. Sei coinquilini in casa, un solo bagno, una sola area comune: la cucina. Poco, pochissimo spazio e nemmeno la possibilità di impazzire e poter scappare via perché non si può. A volte vorrei ascoltare la mia musica ma le casse delle camere a fianco sono più potenti e non permettono di isolarmi nel mio mondo. A volte non voglio proprio ascoltarne e sono costretto a farlo. Ho bisogno di idee, di scappatoie. Serve una soluzione.

In giro a Torino, in corso Belgio

Così, per caso, un giovedì mattina di aprile, dopo essere sceso dall’impalcatura in ferro del mio impolverato soppalco, apro l’armadio della mia stanza in cerca di qualcosa di più pesante da mettere addosso e mi ritrovo davanti il grande zaino di Glovo. Quello con cui per un anno ho fatto consegne a domicilio in giro per Torino. Improvvisamente, l’idea perfetta per raggirare la quarantena si manifesta in un ingombrante box giallo rinchiuso, in castigo, da settimane in compagnia di camicie e giacche.

Ricominciare a fare il rider in bici in giro per la città in effetti suona benissimo.

Come folgorato da una brillante soluzione al gusto di salvezza, decido di iniziare subito: apro l’app, prenoto due ore, attendo la sera. Indosso guanti e mascherina, come raccomandato, scendo in cortile, controllo le ruote, monto in bici e parto.

Quindi mi avvio, fisicamente un po’ arrugginito come la mia bicicletta ma pieno di energia giusta (meglio evitare “positiva”). Pedalo fino ad arrivare al secondo portone con il telefono nella mano destra in attesa del primo ordine. Apro il portone e via. Mi sembra di respirare l’aria delle Alpi e il cielo è tornato del colore che la natura gli aveva donato. Per le strade, quasi nessun altro se non fattorini in moto o in bici come me. Un piccolo esercito silenzioso che risuona come il ronzio di uno sciame ordinato. Pochi minuti e arriva il primo ordine: una birra e due pizze, una margherita e una diavola. Consegno e fila tutto liscio. Poco dopo arrivano anche il secondo, il terzo e il quarto e concludo le due ore di collaborazione sudato e felice. Nei giorni successivi attendo che arrivino le sette di sera per scappare fuori.

Come in un gioco, bisogna stare attenti alle insidie.

Ogni volta al momento della consegna, al citofono, le richieste dei clienti sono curiose ma giustificate: «lo lasci pure in ascensore, grazie!», oppure «arrivo, può metterlo nell’androne», o ancora «quarto piano, lei però può lasciarlo sul pianerottolo del terzo. Evitiamo assembramenti». Io sorrido ed eseguo. Qualcun altro non ha problemi e non bada nemmeno ai possibili contatti virali sganciando (caritatevolmente) qualche euro di mancia. Simpatici i siparietti imbarazzanti in cui mi ritrovo davanti al cliente e non so se preferisce che lasci la busta per terra o che la consegni direttamente nelle sue mani. Io le ho provate entrambe. Quando scelgo di abbandonare il sacchetto per terra a pochi metri dal destinatario, vedo depositare allo stesso modo sullo zerbino i contanti del pagamento. Poi, tornando a casa, lancio cenni di intesa ai colleghi che incontro e rientro sperando di non essermi beccato il virus e di essere stato attento e concentrato. Di non aver toccato con i guanti occhi e naso e che sia andato tutto bene.

Nelle case dei “prigionieri” noi portiamo un momento di allegria, insieme a cibi caldi e freddi. Curiamo attacchi di fame e capricci di solitudine, ma salviamo anche noi stessi dalla noia.

Cosa non si farebbe per ottenere due ore di libertà?

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Tommaso Lo Galbo
I Nuovi Giunti

Siciliano, classe 1991, scrivo perché mi rilassa e mi stressa. Un gesto capace di disordinare e riordinare il mondo mettendolo a disposizione di tutti.