La casanza (intro)

Roberto Tucci
I Nuovi Giunti
Published in
3 min readMar 30, 2020

I miei quindici anni in carcere li ho fatti.

Da volontario, nelle carceri milanesi, in tanti diversi reparti e sempre alla ricerca di spunti di sopravvivenza, di piccoli segnali di vita, nella speranza di far filtrare un po’ di luce nei giorni uguali e disperati di chi vi era recluso, spesso senza sapere esattamente fino a quando.

Si cercava di ricostruire un senso, che passa sempre attraverso il lavoro, la comunicazione, il contatto con gli altri. E di far risuonare qualcosa anche nella mente di quelli fuori, tutti presi da mille altri pensieri e quelli lì, cazzi loro, hanno sbagliato e ora pagano. Noi, senza mai entrare nel merito della condanna, ci ostinavamo invece a pensare che quella condizione, di reclusi, fosse insieme terribile e illuminante. E andasse indagata, conosciuta, raccontata.

Non erano tutti uguali, i detenuti, nella loro condizione di reclusi: c’era chi aveva una cella più grande, e singola, chi aveva compagni di cella che erano diventati amici e chi si era ritrovato intrappolato con persone da cui avrebbe voluto fuggire, chi riceveva pacchi dai familiari e chi era completamente solo, chi era mentalmente stabile e chi no, chi viveva con ottimismo e chi con disperazione, chi poteva lavorare all’interno del carcere e chi no, chi aveva una relazione interrotta dalla carcerazione e chi riceveva delle lettere e faceva delle telefonate in attesa della libertà, chi veniva trattato meglio, magari solo perché famoso, e chi peggio, magari senza motivo.
Non è uguale per tutti il carcere.
C’erano i detenuti “esperti”, che in carcere ci avevano passato una vita e conoscevano perfettamente tutti i meccanismi, e quelli appena arrivati, alla prima carcerazione: i Nuovi Giunti. Quelli che magari mai si sarebbero immaginati di finire in carcere ed erano spaesati, completamente persi, indecisi tra il chiedere aiuto e il rimanere in attesa. Quelli a cui altri volontari o detenuti veterani davano indicazioni, consigli, dritte su come affrontare la “casanza”.

Non possono non tornarmi in mente tutti questi meccanismi, tutte queste storie, nelle settimane di casanza che stiamo vivendo. Senza entrare nemmeno stavolta nel merito della “condanna”, che in questo caso è giusta e necessaria.
Ma, parlando in videoconferenza con i miei studenti del college Brand New della Scuola Holden, da subito mi è sembrato che questi arresti domiciliari ci avessero reso ancora più vicini e solidali di quanto non fossimo, ci avessero costretto a mostrare le nostre case, la nostra intimità, la nostra fragilità. Ci hanno obbligato a parlare di più di noi. E forse ne usciremo più forti, ci ricorderemo di queste settimane nelle quali avere una casa più grande fa tutta la differenza del mondo, e un giardino poi neanche a parlarne, e anche un cane da portare fuori aiuta, in cui avere un partner con cui si convive può essere una delizia e ogni tanto una croce, e non averlo, o averlo da un’altra parte, una condizione disperante, in cui avere un parente anziano isolato è un dolore a cui si cerca di pensare il meno possibile.

Eppure, anche in questa casanza, come anni fa nel carcere vero, mi è venuto di pensare che l’unica cosa sensata che si possa fare per chi rimane a casa, mentre medici, infermieri, ricercatori sono in prima linea per salvare vite, è occuparsi di tenerla viva davvero questa vita. In modo che non si affievoliscano, nella reclusione forzata, la voglia di ridere, la capacità di sorprendersi e di guardare oltre le difficoltà, lo spirito di indipendenza e di libertà, la voglia di condividere quello che ci resta da condividere.

Abbiamo deciso quindi di scrivere insieme, noi di Brand New, e chi ne avrà voglia, un piccolo diario collettivo di questa reclusione. Una cosa temporanea, che si esaurirà quando tutto sarà finito e potremo uscire di nuovo, ma che forse poi torneremo a leggere un giorno, per ricordarci di come abbiamo provato a essere vivi, lo stesso, mentre eravamo qui. Un modo per far entrare un po’ di luce. E di aiutarci a vicenda, noi, nuovi giunti in questa dimensione inattesa, alla quale non eravamo preparati e senza la disponibilità di compagni più esperti che possano guidarci.

Una bellissima, e spero beneaugurante, canzone di ritorni, di abbracci, di balli e di giochi.

We’ve waited for this day
We shared some tears of love now
Like a desert in the rain
When the sun of the day went down

--

--

Roberto Tucci
I Nuovi Giunti

Creo format e contenuti didattici, insegno Branding e Story Design, coltivo talenti per Scuola Holden