Siamo Figli delle Ortensie

Matteo Di Venere
I Nuovi Giunti
Published in
6 min readApr 15, 2020

L’ultima volta che sono stato in un club non mi sono divertito molto. Erano trascorsi pochi giorni dalla metà di gennaio e al crepuscolo avevo avuto un attacco di panico. Gli occhi erano completamente rossi. Il fiato era corto. In quei momenti lo stomaco, i polmoni e il cuore si trasformano in un unico grande masso e tu, come Atlante, cerchi di sorreggere un mondo instabile e costantemente in pericolo.

Non volevo trascorrere quel sabato in un club piovigginoso. Non volevo restare a casa. Passai un paio d’ore appoggiato con la schiena al bordo del letto. Poi, decisi di passeggiare avanti e dietro per il corridoio evitando di incrociare il mio sguardo allo specchio. Cercai di prendere aria sul balcone. Osservai le insegne al neon e i fili elettrici della rete tranviaria.

Quando sei in quelle condizioni, gli amici sono le persone meno giuste da avere al tuo fianco, soprattutto se è sabato e c’è una serata organizzata da almeno due settimane. Ti diranno che andrà tutto bene e che tra qualche ora sarà finita. Lo fanno per te. Ci mettono il cuore, ma tu, il tuo, non lo senti più.

Quel sabato finii sotto cassa senza volerlo.

Chiaramente non mi divertii. Riuscii a malapena a buttare giù un paio di cocktail, a farmi palpeggiare il sedere e a cadere su un groviglio di gente che aveva inspiegabilmente deciso di pogare sulle note di Dog Days Are Over di Florence + the Machine. Andando giù rovinosamente, avevano creato una fedele riproduzione de La zattera della Medusa di Théodore Gericault. Quella sera fu un incredibile naufragio.

Mi dispiace ricordare quell’evento come l’ultimo trascorso in un club prima della quarantena. Ho frequentato luoghi di qualunque tipo e ho svariati momenti legati a questi posti. Alcuni non li dimenticherò mai. Spesso, poco nitidi. Certamente, indimenticabili. La cosa più bella di quando sei in un club è che riesci a scordare quanto sia brutale il futuro che ti attenderà all’alba. Tu sei lì, in una disordinata coreografia di corpi in movimento. Nelle narici penetrano i profumi e i sudori. La musica provoca un sensuale soffocamento dell’udito. La bocca è avvolta nell'abbraccio caloroso dell’alcool. Le mani sono congelate dal ghiaccio di un bicchiere che tra qualche secondo cadrà. Sei leggero.

All'inizio della quarantena avevo altre esigenze. Quella frivola quanto profonda leggerezza era dormiente. Aveva lasciato spazio alla preoccupazione. Con il trascorrere dei giorni è tornata. Aveva la necessità di collocarsi. Poi, un giorno l’ha trovata. Da quel momento tutto è tornato ad essere più lieve.

Grazie, Jo Squillo.

Sono ossessionato da lei

Ogni pomeriggio, alle 16.50 inizio ad essere trepidante per le sue dirette Instagram. Le chiama Jo in the House. Prendo l’ iPhone, lo attacco alla cassa Bluetooth e attendo l’arrivo della mia ora di musica felice. Tutto è iniziato a fine marzo quando Jo è diventata un fenomeno social con oltre ventimila utenti connessi per i suoi DJ set.

Ha avuto un’idea semplice quanto geniale: si è messa sul terrazzo di casa, ha riempito la consolle di margherite, posizionato una palla stroboscopica anni ’80 nel mezzo e trasformato due manichini nelle sue ballerine. Le ha chiamate Michelle e Valentina: due donne dalle personalità differenti, ogni giorno vestite con degli abiti di un diverso stilista italiano.

“Niente tristezza, solo good vibes!”: questa è una delle sue frasi diventate già cult mentre tiene in mano un microfono, suona Tondo dei Disclosure e balla insieme a Michelle e Valentina. La chat della diretta diventa un inno alla sana frivolezza. Ci sono i vip e bimbi di Jo, tutti uniti nel Movimento di Liberazione. La cosa più bella, probabilmente, si trova proprio nell'interazione fra gli utenti, dove viene simulata una classica serata in discoteca: fantomatiche liste all'ingresso (Lista Carlo), code al bagno e attese al bar. Perché - tralasciando gli attacchi di panico - a tutti piace andare a far serata. Chi non la pensa così non ha trovato ancora il club giusto o come direbbe lei “Non ci sono brutte giornate, solo abiti sbagliati e bella gente”.

Amo le frasi di Jo. Potrebbero sembrare frivole, eppure le amo. “Aprite i vostri cassetti, prendete i vostri sogni, stirateli bene e indossateli”, “Audace, ci piace!” o ancora “La musica è la lavatrice dell’anima”. Jo ci crede e dopo un po’ ci credi anche tu. E allora, evviva il power nature “Siamo figli delle ortensie, fratelli del basilico e sorelle della luna”, le frasi alla Claudio Cecchetto “Ritmo sano e noi balliamo, ritmo sano e noi cantiamo!” o la più bella benedizione mai ricevuta: “Io vi benedico nel nome degli angeli e del mojito”. Qualcuno potrebbe chiamare tutto questo trash, ma si parla di camp nella maniera più assoluta.

Ad una cena, un modello di Gucci ti parlerebbe di ortensie.

Jo ha una sensibilità laterale rispetto ai contenuti. Ti porta a ragionare sulle cose che agli altri sembrano irrilevanti sul momento e che in realtà saranno essenziali nel futuro prossimo.

Le frasi di Josho

Tra chi sui social sembra Nelson de I Simpson, pronto a deridere Boris Johnson per aver contratto il virus, e chi attacca il popolo tedesco per il titolo di un giornale, io continuerò a gridare dal balcone che siamo tutti figli delle ortensie. In un mondo di pace, arcobaleni e ginepri in fiore. Soprattutto in questo momento.

Jo è nata come un’artista punk dal forte accento anti-maschilista. Nel 1980 ha lanciato dei Tampax macchiati di rosso su un pubblico sbigottito in Piazza Duomo, contro la Tampon Tax. Successivamente, è passata alla new wave pubblicando un album dedicato all'ambiente e nel 1991, insieme a Sabrina Salerno, ha portato a Sanremo il brano Siamo donne. Poi è passata alla TV. Come tutti quelli che hanno più dirompenti nature in collisione, è arrivata nel mondo della moda ed è diventata il volto televisivo per eccellenza del settore. Da sempre impegnata contro la violenza sulle donne, ha ideato e organizzato il progetto Wall of Dolls: un’ installazione permanente a Milano per denunciare il femminicidio.

Jo è il prototipo di madre che tutti noi dovremmo avere.

Una donna indipendente, dal pensiero laterale e mai ancorata ad un solo principio. In un’unica parola: fluida. Forse, avremmo fatto a meno dei Fridays for Future, dei Pride o anche solo dei cambi d’abito in ascensore.

In alcune cose, mia madre è molto simile a lei. Mi manca. Forse è per questo che le sue dirette sono diventate un’ossessione. L’unica cosa certa è che tra le 17:00 e le 18:00 di ogni pomeriggio di quarantena sono lì. Con il sorriso stampato in faccia.

Ho avuto i primi attacchi di panico alla fine delle scuole medie. In quel momento, il mondo non era molto clemente con me. Passavo la maggior parte del tempo nella mia cameretta. Ogni giorno quella stanza diventava una diretta di Jo. C’erano le casse, la consolle, la musica, gli abiti sparsi e un gran baccano. Forse, il mio deliro cominciava proprio alle 17.00, perché prima facevo i compiti. Era bello. Suonavo, mixavo e dimenticavo il mondo fuori. Respiravo la felicità. Sono passati quasi quindici anni e ora sono nuovamente imprigionato in una stanza a sognare un mondo diverso.

Quando tutto finirà, voglio tornare nei club. Voglio respirare quella amata frivolezza. Non voglio Loco Dice, Marco Carola o Carl Cox. Voglio Jo.

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