Tragicommedia intorno alla morte di nonna

Giada Luna Giallombardo
I Nuovi Giunti
Published in
5 min readApr 2, 2020
Gustav Klimt — Death and Life

La morte è una cosa strana.

Passiamo la vita ad averne tremendamente paura, la esorcizziamo ricorrendo ai modi più buffi (come le preghiere) quando, in realtà, è l’unica cosa certa nella nostra esistenza. Pensateci un attimo: a partire dal primo vagito che emettiamo quando veniamo al mondo, la morte diventa la nostra partner, la nostra convivente, la nostra amica più fedele. L’unica che nei momenti di merda è sempre presente, l’unica che ci sussurra: «Sei un essere speciale, ed io avrò cura di te». Eppure, la rifiutiamo manco fosse il peggiore dei mali.

In venticinque anni di vita, non avevo mai assistito a un funerale. Certo, ne avevo sentito parlare e ne avevo visti a bizzeffe al cinema e in televisione, tant'è che mi era bastato collegarmi a Facebook per prendere parte ai funerali di Stato per la strage del Ponte Morandi. Tuttavia, non avevo mai preso in considerazione il fatto che, prima o poi, sarebbe toccato a qualcuno della mia famiglia. Ebbene, quel momento è arrivato, ed è arrivato nel periodo peggiore che l’Italia sta vivendo dal secondo dopoguerra ad oggi: la nonna ha abbracciato la morte in piena pandemia da nuovo coronavirus.

Insomma, già è un bel casino accogliere un lutto per chi, come me, è realista fino al midollo. Figuriamoci poi di questi tempi, in cui la psicosi dilaga sovrana persino nei supermercati, presi d’assalto da centinaia di persone intente a contendersi carta igienica e passata di pomodoro. Ed è proprio nel mezzo di un’interminabile fila per accedere al discount sotto casa che inizia la mia storia: la tragicommedia intorno alla morte di nonna.

Le code non sono mai state il mio forte: che siano fatte di macchine in strada o per accedere al bagno di un locale, mi innervosiscono alla pari del suono prodotto dalle unghie che stridono sul muro, proprio come la voce di Matteo Salvini. Vibra il telefono, rispondo: è mamma. Dice che mi sta venendo a prendere, ha chiamato l’ambulanza perché nonna non rispondeva più a nessuno stimolo esterno, in più faticava a respirare. I paramedici le hanno detto che può essere un ictus, inoltre sospettavano il virus e le hanno fatto il test. Dice quindi di prepararmi la valigia, perché se il tampone dovesse risultare positivo al CoVid-19 «Ci mettono in quarantena e non puoi più tornare a casa tua».

Mollo tutto e corro a casa: ho un brutto presentimento.

Entro, mi lavo le mani, le disinfetto e mi precipito in camera. Afferro le prime cose che trovo e le lancio alla rinfusa dentro la valigia, indosso nuovamente la mascherina, chiudo e scendo. Veloce come il declino del Movimento 5 Stelle al Governo. In macchina salgo sul sedile posteriore per rispettare la distanza di sicurezza, scambiamo poche parole. Alla fine, ci dirigiamo verso casa di nonna: in ospedale non ci fanno entrare per via della stretta sulle visite contenuta nel nuovo decreto “Cura Italia”.

Entriamo, ci togliamo le scarpe, ci laviamo le mani, le disinfettiamo, ci togliamo la mascherina e ci abbracciamo. Sì cazzo, ci abbracciamo. Fanculo i decreti, questa è un’emergenza nell'emergenza! E se nonna dovesse risultare positiva al test, amen. Faremo la quarantena tutte insieme. Ma mamma mi blocca subito: quarantena o no, non ci sarà più tempo da passare insieme alla nonna. Il primario l’aveva preventivamente messa in guardia, al telefono: «Signora, sua madre versa in condizioni critiche. È in isolamento in terapia intensiva, l’abbiamo attaccata al respiratore per accompagnarla alla morte senza che soffra. È in coma, non pensiamo riesca a superare la notte, si aspetti una chiamata».

Io non so se ridere o piangere, questa situazione ha dell’assurdo: ma quando mai si è sentito di un medico che comunica l’imminente morte di un paziente al telefono?

Preparo la cena, non mangiamo, andiamo a dormire. Mentre mamma riposa, mi contorco nel letto. L’ultima volta che guardo l’ora sono le cinque e dieci del mattino, ancora nessuna chiamata.

Poi, le cose sono andate più o meno così: una volta sveglia, mamma va all'ospedale per ricevere notizie di nonna e le dicono che è morta, alle cinque e dieci del mattino. Mamma non l’hanno più chiamata perché hanno perso il suo numero. Dicono che il reparto è un gran casino: ci sono barelle su barelle, malati su ammalati, un sovraffollamento tale che neanche nelle carceri si è mai vista una situazione del genere. E soprattutto, c’è carenza di personale.

I risultati del test sono arrivati ore dopo il decesso. Sono negativi.

La causa di morte è polmonite da Alzheimer, ovvero del cibo le si è infiltrato nei polmoni per via della non autosufficienza a deglutire, causando una grave infezione che ha intaccato l’apparato respiratorio. Quindi la nonna era in isolamento senza un buon motivo per esserlo. È morta da sola a causa del sospetto del virus da parte dei medici. Se non ci fosse stata quest’emergenza, avremmo potuto almeno tenerle la mano. Ottimo tempismo, nonna!

Ora vi starete chiedendo che cosa c’è di grottesco in questo racconto.

Beh, vi sfido a non ridere al pensiero di un prete che dà la benedizione con la mascherina. E ai becchini che chiudono e trasportano la bara con la mascherina. E a tutti i parenti al funerale che piangono, si struggono e poi si abbracciano, con la mascherina. E dopo si disinfettano le mani con l’Amuchina Gel.

Per non parlare poi dei giorni di lutto colorati dalle mille canzoni sparate al massimo dalle casse dei vicini, che ballano sui balconi ogni sera, dai flash degli smartphone che illuminano il quartiere a tempo di musica, del forte desiderio di ritornare in strada per abbracciarsi più forte di prima.

Sarà anche vero che ai tempi del nuovo coronavirus con la morte non si scherza, ma quando si tratta degli affetti, non c’è distanza di sicurezza che regga. Mi piace pensare che anche la nonna abbia avuto il suo funerale di Stato, grazie all’energia e alla positività di sessanta milioni di italiani, uniti come poche altre volte nella storia d’Italia.

Ve lo avevo detto io che la morte è una cosa strana: passiamo la vita ad averne tremendamente paura, ma quando è giunto il momento, ci abbraccia e ci sussurra: «Sei un essere speciale, ed io avrò cura di te».

Ti porto con me, per sempre. Ciao nonna!

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Giada Luna Giallombardo
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Estrosa dall'animo nomade, studio @unito e @scuolaholden. Quando non mi occupo di politica e comunicazione, amo esplorare mondi sempre nuovi.