Un Romantico Stronzo a Milano Centrale

Matteo Di Venere
I Nuovi Giunti
Published in
3 min readMar 30, 2020

Sono sempre stato un romantico.

Credo nei colpi di fulmine e nelle travolgenti passioni che surclassano le priorità antecedenti. Sono sempre stato anche uno stronzo. Credo nel sesso occasionale e nell'edonismo come unico fine dell’esistenza. Faccio parte di quella generazione che ha visto i teen drama di Italia 1. Dawson’s Creek mi ha fatto diventare romantico, O.C. un po’ meno e Gossip Girl, invece, mi ha insegnato a essere un vero stronzo. Netflix è arrivato in Italia nell'ottobre del 2015. Avevo vent'anni ed ero già un romantico stronzo.

Tinder è una “Land of Opportunity” sia per i romantici, sia per gli stronzi.Tra un “ciao” e un “come stai?”, la terza domanda è sempre “Di dove sei?”. Anche se mi hanno suggerito che è troppo presto per farlo, rispondo con più di tre parole perché sono pugliese, studio a Torino e molto spesso, almeno due weekend al mese, torno a Pavia. Dopo aver spiegato la mia incapacità di restare in uno stesso luogo per più di quindici giorni, faccio sempre la stessa battuta: “Sai, vivo a Milano Centrale”. Da qualche settimana, sfortunatamente, sono meno simpatico nelle conversazioni: vivo a Pavia, a cento metri dal San Matteo e probabilmente a duecento/trecento dal paziente 1. Tra le bellezze naturalistiche pugliesi e quelle urbane di Torino, la città Lombarda è sempre stata la meno attraente. Eppure, la amo quasi quanto la mia residenza Tinder: Milano Centrale.

È stato amore fin da subito.

Quando sono approdato, ero in viaggio per la prima volta completamente solo: avevo sedici anni , nelle cuffiette Kanye West sbraitava la sua Beautiful Dark Twisted Fantasy e la mia bocca era impiastricciata da una sigaretta fumata dopo otto ore di treno. Mi sentii subito a casa.

Milano Centrale mi manca.

Mi manca osservare quell’Italia che sguscia tra le Tod’s e le Pittarello; tra il profumo di Narciso Rodriguez e quello di Aquolina; tra la San Pellegrino e la Levissima acquistate ai distributori automatici YourBestBreak. Mi manca sogghignare in un misto di disapprovazione e malinconia alla vista di una signora del Sud con tre valigie al gusto di carboidrati. Mi pesa ancora di più non ricevere gli sguardi ammiccanti degli sconosciuti. Mi mancano le riviste da Hudson News. Voglio tornare in quella stazione il più presto possibile.

Non mi dispiacerebbe dimenticare l’ultima volta che sono stato lì. Era il 24 Febbraio e l’Italia non sgusciava, anzi, si teneva ad un metro di distanza: giovani madri con le carrozzine cercavano di farsi spazio nei corridoi dei vagoni stracolmi, mentre sbraitanti uomini dotati di mascherina insultavano il capotreno per aver soppresso l’ennesimo Frecciarossa.

Da quel lunedì di febbraio, la stazione da osservare con le cuffie e la sigaretta è diventata il condomino di fronte. Ogni pomeriggio, Luca, il figlio della Sofia, continua a percorrere incessantemente la discesa del garage con la bici: affronta la pendenza, si blocca al cancello e scende la collinetta. Su e giù come un Frecciarossa. Lo guardo, lui mi saluta e va giù per la discesa. Dopo un po’ risale. Più passano i giorni, più si annoia e più mi commuovo. Non credo sia facile avere sette o settant'anni in questo momento.

Non credo che tutti su Tinder siano davvero maggiorenni, ma Luca non lo è inequivocabilmente; quindi: nessuno sguardo ammiccante. Sua madre odia i terroni; quindi: niente valigie al carboidrato. Luca mi fa piangere. Sua madre non mi fa ridere.

Voglio tornare ad essere un romantico stronzo di Milano Centrale con l’inadeguatezza di Peacy, i post sbornia di Marissa e gli outfit di Chuck Bass.

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