Infusione numero due — di Paola Fromer

domitilla.pirro
I racconti del SÉno
4 min readJul 22, 2016

--

Illustrazione di Ros

Entrando nella sala d’aspetto riconosco subito l’odore. Sicuramente c’era anche le altre volte ma solo ora so che significa. Le solite signore in attesa, la solita aria tranquilla da sala d’aspetto qualunque. La caposala passando mi riconosce: “Signora! Come sta? La vedo bene!” Le infermiere si avvicinano, mi fanno sorrisi e complimenti, “Aspetti qui che adesso la chiamiamo, tra poco tocca a lei”. Mi sento privilegiata, prescelta. Alle altre toccherà aspettare ancora chissà quanto per poi magari fare solo una visita, un controllo e via a casa. Io invece no: entrerò nella stanza principale, il salottino lo chiamano, quattro chaise longue per stare comode, scoprirò appena il décolleté, l’infermiera farà “pic!” sul mio bottone e…

“Buongiorno, come sta?” È Gandalf che passa con la sua schiera di cavalieri bianchi e si ferma, ferma tutto il suo drappello per salutare me, mi sorride, allunga una mano e mi accarezza appena: “Ma guarda, a questa signora la chemio fa bene, la fa più bella!” La sua mano leggera sui miei capelli, la curiosità è femmina, dicono: ma anche no. Sono orgogliosa della parrucca che ho scelto, 800 euro ben spesi se hanno fatto venire il dubbio anche a lui, un semidio, un eroe senza tempo, il mio chirurgo.

Entro nel salottino e riconosco subito le altre: sono le stesse della volta scorsa, ci salutiamo eccitate, contente di rivederci. “Vieni, ti abbiamo tenuto il posto”: Rita è molto simpatica, lei è già alla terza oggi, una veterana, ha il viso gonfio e una brutta parrucca, la stessa della volta scorsa, rimediata in attesa di quella giusta che forse non arriverà mai. Sonia, piccolina, con il foulard, saluta con un sorriso stentato. Annabella parla anche per lei: “Eh sì, amo lottato, amo’, nun sai quante che te lo voleveno frega’!”: bella, alta, oggi sfoggia una parrucca lunga, nera nera, che sembrano capelli suoi. Ci baciamo e complimentiamo a vicenda mentre l’infermiera indossa la tuta, i guanti e la maschera di protezione prima di maneggiare la mia flebo. La rossa. Un brivido.

“Comunque er paruccaro è ‘no stronzo.” Annabella non mi dà il tempo di avere paura. “Perché? Io l’ho trovato così carino. Ha incluso nel pezzo anche il taglio di capelli…” “Te credo, co’ quer prezzo! Nun so’ manco tutti capelli veri…” Mi lancia un’occhiata che mi smonta. “E poi, mica te fa la fattura.” “Come no, a me l’ha fatta. Anzi, mi ero dimenticata di chiedergliela, sono tornata indietro, l’ho chiesta e ora devo solo passare a prenderla.” “Appunto, nun te l’ha fatta. Gliel’hai dovuta chiede’.” Già. Annabella ha il dono di farmi aprire gli occhi sulla realtà che, ovviamente, è tutta uno schifo.

“Comunque io, nun lo sai,” riprende, ridendo forse del suo proprio cinismo: “L’artra sera c’era ‘na cena de ex ufficiali al Circolo, mi padre ce teneva e ce semo annati tutti, strigliati e agghindati, pure i regazzini. E io, che non ero abbituata ancora alla parucca, a ‘sto caldo che te fa, arrivo che nun je la faccio più, me la levo come fosse ‘n cappello, così, e la metto sul tavolo vicino ar braccio de papà mio. Ahò, pe’ poco nun cadeva dalla sedia!” Ridiamo, ci raccontiamo a vicenda i nostri piccoli grandi avvenimenti. Come è andata la prima settimana, la seconda, la terza.

C’è un andamento ricorrente, non lo sapevi? Il giorno peggiore è il terzo dopo l’infusione. E la settimana peggiore è la prima. Poi va migliorando, ma. Uno strano rumore ci interrompe, forse non un rumore, forse un’assenza di rumore. Sonia è come rimpicciolita, è immobile, fa fatica a respirare, si è fatta verde. L’infermiera arriva di corsa, aggiunge un flacone alla chemio, ne arriva anche un’altra, armeggiano intorno a Sonia. Poverina, già così dopo solo dieci minuti di infusione… Riprendiamo a cicaleggiare, a noi non è successo.

La mamma di Rita è un’ubriacona, mio papà ha l’alzheimer, le gag dei nostri vecchietti si mescolano alle nostre. “Ohi, io ho portato le crostatine!” Rita comincia a apparecchiare. Nel complesso sembra un party. “Ragazze, insomma!” ci riprende l’infermiera, “guardate che chiamo la caposala!” Abbassiamo la voce come bambine nel dormitorio delle suore e continuiamo quasi di nascosto. Io ho dei taralli, Anna del succo di frutta. Bere fa bene. Ma io già sento che non posso, né bere né mangiare. Un vago senso di nausea, la paura che tende l’agguato. Meglio fare due passi. Vado a fare la pipì portandomi tutto il trabiccolo della flebo appresso.

Attraverso la sala d’attesa sentendomi importante, tutti mi guardano. Io guardo dritto davanti a me, lontano, con un leggero sorriso di condiscendenza per i poveretti intorno, come un guerriero che sta per attraversare l’arco di trionfo con la lancia della vittoria in mano; e entro in bagno.

Purtroppo l’affaccendarmi su e giù con la tavoletta del cesso non giova al mio stomaco.

Al ritorno, nella zona degli studi medici, passo davanti a una porta socchiusa. Sbircio senza neanche volerlo: dentro c’è Gandalf, è luminoso, sembra splendere di luce propria, è con un’altra donna, lei è nuda e lui le sta tastando il seno. Dalla cintola in su tutto ’l vedrai, mi viene mente non so perché mentre mi aggrappo all’asta della flebo. La nausea si sta facendo intensa, mi tremano leggermente le gambe.

Rientro nel salottino con la testa che gira, mi stendo di nuovo sperando di trovare tregua, le altre dicono qualcosa, forse rispondo, i rumori — le voci si confondono, vedo Gandalf che galoppa su prati tutti d’oro, gridolini provengono dalla stanza accanto, è Gandalf che solleva la signora da terra e ora galoppa con lei, la stringe, la tasta, vesti volano all’intorno.

[L’intro a I racconti del SÉno si trova qui.]

--

--