Guardami — di Marzia M.

domitilla.pirro
I racconti del SÉno
5 min readJul 22, 2016
Illustrazione di Ros

Qualche mese fa decido di prendere un giorno di ferie infrasettimanale, cosa rara ed emozionante: pregustando il pomeriggio libero, mi sottopongo ad una risonanza magnetica. Sono tranquilla: è solo un esame di routine, un semplice scrupolo. Allegra e sorridente, mi sdraio dentro quell’enorme cilindro. Buffo: c’è chi ha il terrore di questa cosa. Io ho raramente paura, e ai mostri non ho mai creduto. Guardo di fronte a me come se guardassi da un oblò; mi perdo così beatamente nei miei pensieri che mi addormento. Che risate. E che risate si fa la dottoressa!

Ci sono persone che mi piacciono istintivamente: mi basta guardarle negli occhi. Lei è una di quelle. Ha uno sguardo accogliente, i capelli rossi, ricciolini, un po’ spettinati; le starebbe bene il nome Camilla, penso.

Eccomi, mi dica tutto, le dico. A quando il prossimo controllo? Sei mesi? Un anno? No? Non capisco. Gli occhi della dottoressa non ridono più. Neanche lei capisce. Non si aspettava una situazione così poco chiara, è necessario approfondire, dice lei; c’è qualcosa che non va, dicono i suoi occhi. Ma sì, vedremo, penso: io vedo sempre il lato positivo delle cose. Intanto mi godo il mio pomeriggio libero, e via di shopping infrasettimanale!

Quando incontro nuovamente gli occhi rassicuranti della dottoressa Camilla è passato qualche giorno. Non sorridono affatto, stavolta: sembrano smarriti, increduli. Non capisco. Allora qualcosa c’è.

Qualcosa ha un’etichetta pomposa: Carcinoma Bilaterale Infiltrante, si chiama. Che arroganza, che spocchia. Anche il doppio cognome. Da dove arriva, poi? Ho fatto un’ecografia sei mesi fa e mica s’era presentato. Non c’era. Non c’era o non s’è fatto vedere, mostro malefico. Vigliacco. Voglio togliermelo subito di dosso. Dopo una rapidissima ricerca approdo a un giovane dottore: mi dicono che è diventato professore, che bravo, così giovane! Certo, dal curriculum che ho trovato in rete si capisce che è uno bravo. Chissà come avrà gli occhi.

Quando lo incontro è la prima cosa che cerco di capire, come sempre. Credo fermamente nella potenza degli occhi. Che sguardo ha, il dottore? Sorridente anche lui, come la prima volta che ho visto Camilla. E resta sorridente, nonostante la presenza di Qualcosa Doppio Cognome. Non ne sembra affatto spaventato.

Allora me lo toglie subito, dico, vero? No? Devo tenerlo con me almeno per i prossimi sei mesi? Prima devo fare la chemioterapia? E che cavolo, parassita spocchioso di un Doppio Cognome! Ti devo anche portare in giro per sei mesi? Per chi mi hai preso, per il tuo autista?

D’accordo, Qualcosa. Però guido io. E, visto che guido io, visto che tu non sai confrontarti col mondo di fuori, visto che non hai la forza di reggerti in piedi da solo e cerchi di rubare la mia, ecco — visto tutto questo, io che posso vedere — ti costringo a guardare tutto ciò che guardo io. Ti obbligo a fissare negli occhi tutte le persone che incontrerò.

Ti presento gli occhi delle donne che insieme a me aspettano di fare la terapia. Occhi stanchi, tristi, provati. Hai visto, maledetto Qualcosa? Hai visto cosa succede per colpa tua? Ora tocca a me, ma io non ho paura. Mi faccio anche un selfie col casco da aviatore, tiè: dicono che così non mi cadranno i capelli.

I giorni passano. Qualcosa si indebolisce e con lui un po’ anch’io. Forse adesso anche i miei occhi sono stanchi e provati: è colpa della strada, è lunga, è scomoda per chi viaggia a quest’intensità.

Oggi mi sento bene: allora, Qualcosa maledetto, ti presento gli occhi di mia madre. Lei che ha visto morire l’amata sorella per colpa di un tuo schifosissimo cugino, si sforza di avere uno sguardo neutro, che dice: “Ciao, va tutto bene, anche se in realtà ho una spina che mi trafigge il cuore”. Lei pensa che io non me ne accorga, ma gli occhi sono la mia specialità. E questi sono troppo pieni di emozioni complicate. Rischio di farmi più male di te, Qualcosa maledetto.

Allora ti porto a conoscere anche gli occhi di mio marito. Sono incoraggianti, forti, sicuri. Cosa? Sono anche stanchi, dici? Forse è vero, sono un poco stanchi. Ma a te non è consentito avere un’opinione, odiosissimo Qualcosa. Come ti permetti? Sei un ospite sgradito, un viaggiatore a scrocco: perciò fai silenzio. Non si parla al conducente: nel tuo caso, si ascolta solamente.

Ho conosciuto persone nuove. Donne coraggiose, belle, colte e profonde. Nel tragitto è capitato anche a loro d’incappare nei tuoi schifosissimi cugini: sono troppi, maledetti — roba da non credere. Allora ti presento gli occhi di tutte queste donne, Qualcosa. Sono fieri, immensi, acuti: sono occhi vissuti, gli occhi di chi ha conosciuto esseri della tua razza e ci ha combattuto ma non si è lasciato annientare. I loro occhi danno forza ai miei e so che anch’io ti sconfiggerò.
Ma gli occhi più belli, gli occhi dei miei tre figli — ecco, quelli sono gli occhi più importanti. Occhi beatamente incoscienti, che non hanno capito o non vogliono capire quanto sia grave la tua presenza. I loro sono occhi allegri, arrabbiati, assonnati, golosi di vita e di esperienze: sono occhi che ho avuto la capacità di proteggere dalla tristezza che tu, insopportabile Qualcosa, ti porti dietro. Sono occhi che mi aiutano a mantenere il contatto con la normalità, con le questioni di tutti i giorni che per fortuna con te non hanno niente a che fare: è grazie a loro che ti sconfiggerò.

Illustrazione di Ros

In questa lunga strada, lo sento, ti stai indebolendo, mentre io divento ogni giorno più forte. Niente mi farà più paura, dopo di te. Mi guardo allo specchio: i miei occhi sono un po’ provati, è vero. Ma guardami bene, mostro: vedi che tenacia? Che determinazione? Dico a te, Qualcosa! Non fare il vago: il viaggio è diventato davvero troppo scomodo, per te. Che ci fai ancora qui? Fila via: fila via e non tornare mai più.

[L’intro a I racconti del SÉno si trova qui.]

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