Pelle — di Carmen Avallone

domitilla.pirro
I racconti del SÉno
5 min readJul 22, 2016
Illustrazione di Ros

Anna l’ho conosciuta al mare tre anni fa. Quell’anno ero particolarmente in forma: il pilates tre volte a settimana aveva reso la mia pancia la più piatta di sempre. I miei capelli erano lunghi, biondi, lucidissimi, zero doppie punte grazie all’uso sconsiderato di olio di Argan. La mia pelle era seta pura, merito di attenti peeling settimanali ai quali seguiva un’accurata maschera all’aloe. Sono una donna esageratamente curata, penserete voi. No, semplicemente un’estetista: capirete quindi che parto molto avvantaggiata nel prendermi cura di me. Mi basta una rapida occhiata per capire di quale prodotto ha bisogno una determinata epidermide per migliorare il suo aspetto, perché la pelle dice prima ciò che la mente vede solo dopo. Ed ecco che, quando siamo stanche e tristi, il nostro incarnato è grigio, cupo. Basta allora un buon siero alla vitamina A per avere subito un aspetto radioso. Se invece siamo felici e, dopo una giornata di mare, mentre ci mettiamo il doposole alla vitamina E, ci accorgiamo che improvvisamente un tumore bussa alla porta… Beh, quello sì è un problema. Toc-toc. Eccolo. No, non sono pronta.

È buffo come a volte, nella vita, attendiamo con ansia momenti terribili, tirando un sospiro di sollievo quando al telefono un’infermiera dice “Il suo intervento è stato fissato per il 3 novembre”. Mi sono guardata allo specchio, quel giorno. Avrei detto fosse incrinato, lo specchio, ma non lo era: mi parve avesse aloni, e invece no, era limpido. Ho osservato meglio la mia pelle: non avevo pozioni magiche da stendere sul viso, nessun ritrovato portentoso. In compenso, c’erano scale troppo lucide, troppo ampie, e una grande finestra su in cima, nella stanza numero 9 all’undicesimo piano. Mi sono affacciata a vedere quell’alba meravigliosa, così piena di sfumature, così delicata, così rassicurante. Un’alba è un’alba, penserete voi. No, non per me: non quel giorno. Un uomo gentile e silenzioso mi ha portata giù al secondo piano e io mi sentivo incredibilmente sola. Intorno a me sembrava tutto così fermo, immobile, senza tempo; ero solo io a respirare, mentre le pareti mi osservavano mute. Un altro uomo mi ha chiesto di contare. Ho pensato alle mie bambine e avrei voluto dire uno, due, tre … stella: ma non ho fatto in tempo.

E Anna? Anna, che ho conosciuto al mare tre anni fa? Ma sì, questa è la sua voce. Probabile che stia delirando, eppure… Cerco di aprire gli occhi: l’orologio sul muro di fronte a me segna le 14. Le 14? Sento la sua voce, di nuovo. Ma che ci fa qui, se è lei? E cos’è la nebbiolina che ho davanti al viso? “Signora Avallone, tenga la mascherina dell’ossigeno, per favore”. Ossigeno? Mentre cerco di vivere, risvegliandomi dall’intervento più importante della mia vita, distinguo la sagoma di un viso. Lei? Sì, era proprio lei, di fronte a me. Vestita di verde, come me: quella tonalità di verde che da quel momento in poi abbiamo entrambe cominciato a odiare.

Ci sono stati momenti, prima d’allora, in cui ho sognato di avere la pelle disidratata: che ci crediate o no, non era un incubo. Erano momenti bellissimi perché mi ricordavano salsedine, vento in faccia, sole: tanto poi, pensavo, ho mille rimedi per ripristinare il giusto film idrolipidico cutaneo. Peccato non avessi rimedi alla mia delusione, quella mattina del 29 gennaio: la mattina in cui, riflessa davanti a me, ho trovato un’altra. Viso grigio, sopracciglia spelacchiate, sguardo pesante, assente, altrove. Mi cercavo in quello specchio con tutta la volontà che avevo trovato in me fino a quel momento: niente, non c’ero. Mi sforzavo, giuro che mi sforzavo: quello che vedevo non mi piaceva. Per niente. Poi un dolce profumo di cioccolata, una tiepida lucina alle spalle e le due voci più confortanti del mondo mi hanno fatto gettare uno sguardo in cucina: “Mammina, buon compleanno!”. Per fortuna che ci sono Chiara e Greta, le mie bimbe. Ma non sono loro, le mie rapitrici ufficiali…

La bicicletta di Anna è color lilla e ha un bel cestino di vimini davanti: è una di quelle bici che immagini davanti al portoncino verde bottiglia di una casa col tetto rosso e il davanzale pieno di fiori. È con questa bicicletta che Anna mi rapisce. Mi porta per ore a scoprire angoli nascosti di Roma, vicoli, piccole chiese, chioschi con centrifugati pazzeschi, panchine panoramiche sulle quali leggere un bel libro. Mi piace lasciarmi trascinare nel suo vortice di energia, perché lei ne ha davvero da vendere. Invidio un po’ i suoi studenti: avessi avuto io una prof come lei, sarei stata la prima della classe! Sta ancora completando le sue sedute di chemioterapia, ma è sempre lei che mi prende per mano e mi porta a vivere. Che sia sulla pista ciclabile o in barca a vela, lì dove il vento le scompiglia i pensieri, Anna è felice. A volte non so proprio come ricambiarla per tutti i viaggi che mi fa fare nel suo mondo. L’unico modo che ho è dispensare consigli di bellezza: in fondo ogni donna ne ha bisogno. E lei, beh, qualche problemino con la matita per le sopracciglia ce l’ha.

Tanto per cambiare, una mattina ero diretta al Gemelli. Ora che ci penso, ero felice, quel giorno: chi non lo sarebbe, in occasione dell’ultima chemioterapia? Felice, ma anche un po’ malinconica. Può sembrare paradossale, ma mi sentivo al sicuro e protetta al DH del terzo piano: mi disorientava l’idea che, a partire dall’indomani, non ne avrei più fatto parte. Nessuno si sarebbe preso cura di me allo stesso modo. In preda a questo spaesamento percorsi via Flaminia, salii sulla rampa della tangenziale, m’infilai nella Galleria Giovanni XXIII, presi l’uscita Policlinico. Fu allora che lo vidi: un fiore rosso, bello e splendente sul marciapiede. Avrei voluto coglierlo, ma no: per qualche ragione ho preferito lasciarlo lì, in balìa del traffico e degli eventi. Arrivata al parcheggio dell’ospedale, in compenso, mi guardai nello specchietto retrovisore dell’auto e riuscii a sorridere a me stessa.

Illustrazione di Ros

Non so perché quel papavero abbia generato in me tante emozioni esplosive. Ma oggi, come quel giorno, riflessa nello specchio vedo una pelle… bella? Brutta? Idratata? Asfittica? È la mia nuova pelle, diversa da quella di prima e sempre mia. Mi piace tanto, più di allora. E se è vero che il papavero è il primo fiore che nasce in un campo dopo una battaglia, beh, credo proprio che sarà il mio fiore adesso e per sempre. Ne regalerò uno anche ad Anna, le regalerò il più bello: a patto che impari una buona volta a disegnarsi le sopracciglia.

[L’intro a I racconti del SÉno si trova qui.]

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