Stefania Asaro
Ifoglialvento
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2 min readNov 13, 2020

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Ph. Sergio Asaro

L’altra notte l’ho sognato.

Uno di quei sogni in cui tutto sembra vero.

Genova, piazza de Ferrari, via San Lorenzo, il porto che dall’alto ci si può solo immaginare, che sbuca all’improvviso, alla fine della via. Sbuca, sì. Come se venisse davvero incontro a chi marcia inconsapevole in quella direzione.

Non ho riconosciuto il giorno, ma penso fosse autunno, ovvero la stagione di cui godo tre giorni genovesi all’anno, se tutto va bene, nessuno se va male. C’era vento, sicuramente indossavo una sciarpa e sicuramente era quasi l’ora del tramonto, ma il clima era mite, perché intorno a me vedevo persone anche in maniche corte.

Attimi, dettagli poco importanti se paragonati alla bellezza di quelli successivi. Ogni cosa, ogni viso sembrava presente.

La folla e gli scontri con la polizia. Una manifestazione.

Mia madre che mi prende per un braccio e mi sposta di lato. O forse sono io a mettermi accanto alla vetrina di un negozio, spaventata dallo spostamento d’aria provocato dal movimento dei manifestanti. Perdo mia mamma.

Quanti anni ho? La mia età di adesso, sedici anni? Meno?

Ritrovo mia mamma.

Mi infilo con lei in un vicolo, uno dei tanti affluenti di via San Lorenzo.

Poi, lui.

Giovane, bello, con la giacca e i capelli scuri, come in una fotografia che abbiamo incorniciato e appeso a casa. Bello e in bianco e nero, perché la sua immagine, di quell’uomo che osservo impietrita, sembra cristallizzata e ferma a settant’anni fa, al momento dello scatto.

Nella foto sorride, ne sono certa. E’ inquadrato di profilo e a dire il vero sembra proprio ridere, perché ha gli occhi quasi chiusi, la bocca semi aperta e la testa leggermente inclinata.

Ora sembra concentrato, attento. Cammina, viene avanti. Non ci vede.

Gli andiamo incontro, senza confrontarci, entrambe attirate da chissà quale forza motrice appena riusciamo a spostarci dal caos della manifestazione, che invece lui sembra non percepire.

Più mi avvicino, meno percepisco la confusione. Più mi avvicino e più ho il dubbio che non sia reale. La me dormiente, in una cittadina del Veneto, nel novembre del 2020, sembra voglia avvertirmi di non illudermi.

Ad un passo da lui, mi giro verso mia madre: “Secondo me non possiamo toccarlo, sai?” “Sì…non sembra vederci”

La sua fermezza mi spiazza.

“Non lo so, però negli ultimi mesi è la seconda volta che cerco di abbracciarlo in sogno”

“Ah sì? Allora forse ci vede!”

E’ un attimo. Mio nonno sorride. Ci ha visto.

Una bambina lo prende sotto braccio e vanno via.

“Almeno è felice” — “Sì”

Autunno, ritorni.

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