L’alba preferita di una donna di cui non conosco il nome

Stefania Asaro
Ifoglialvento
Published in
3 min readSep 12, 2019

Era bambina, viveva in una città di mare.

L’alba preferita di una donna di cui non conosco il nome, mi è stata raccontata il martedì Grasso di quest’anno, davanti ad un piatto di pasta di stelle filanti tirate a mano la sera prima, in un bar vicino alla casa del Prof.

Sembra che in ogni posto ci sia un periodo giusto per la pesca delle acciughe: a Genova, più o meno tra marzo e luglio.

L’alba preferita di una donna di cui non conosco il nome, pare iniziasse con la strana abitudine dei suoi genitori, di svegliare lei e le due sorelle, per andare tutti insieme al porto.

L’alba preferita di una donna di cui non conosco il nome, lei dice che apparentemente non avesse nulla di romantico: non era in un giorno preciso, ma sembra fosse sempre accompagnata da un freddo di quelli che se parli esce vapore dalla bocca e bisogna avere per forza un cappello in testa e la sciarpa.

Sembra che, dopo aver parcheggiato l’auto in una via strategica, si appostassero vicino al molo e attendessero di poter comprare una cassetta di acciughe e che quel tempo sembrasse eterno.

La donna di cui non conosco il nome, con le sorelle osservava curiosa i camalli lavorare e il porto tingersi dei colori del giorno, mentre i genitori si dedicavano al motivo di quella che per lei era una strana ma divertente gita.

L’alba preferita di una donna di cui non conosco il nome, era tutta in quei momenti: mentre saltellava per ingannare il tempo e sua mamma da lontano le diceva di stare attenta a dove metteva i piedi, quando sbuffava nel vedere sbadigliare le sorelle in piedi in uno dei pochi punti del molo in cui c’era già il sole, o nell’istante in cui il papà sbucava sorridendo con il “bottino”.

Pulivano le acciughe lì, per non portarsi le interiora e il loro odore fino a casa.

Tutti e cinque, ognuno facendo il suo, secondo le possibilità dell’età: c’era sempre la sorella più grande che storceva il naso- ma anche quello forse era solo il prezzo di essere l’adolescente della famiglia- mentre la bambina si divertiva godendosi quel modo particolarmente giustificato di sporcarsi le mani.

Fantasticavano riguardo a come le avrebbero volute mangiare: la bambina che ora è la donna di cui non conosco il nome, certamente le desiderava fritte, a suo papà piacevano alla marinara come alla sorella di mezzo, ma la decisione sarebbe spettata alla madre, la cuoca, colei che tutti giocavano a convincere elencando i motivi per cui la propria preferenza fosse quella da scegliere.

La donna di cui non conosco il nome, finché ha potuto, anche da adulta — con due figli, un marito, un bar, diversi dipendenti stagionali da “formare”, una cassa che spesso fa i capricci, più di un cliente che quando arriva non saluta, la decisione di tirare sempre a mano la sera prima la pasta da servire — in un’alba tra marzo e luglio, ha accompagnato i suoi genitori al porto.

Al porto, a comprare una cassetta di acciughe.

E dice che non c’è nulla di romantico.

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