In Brasile il futuro della democrazia è appeso a un filo

Il primo turno delle elezioni brasiliane, svoltesi domenica 2 ottobre, si è concluso con una mezza vittoria di Lula, che ha ricevuto il 48,4% dei voti validi. Ma come sottolinea Francesco Guerra, referente OGGNIL per il Brasile, «questa mezza vittoria ha avuto il sapore di una mezza sconfitta. Difatti il principale avversario di Lula, il presidente uscente Jair Bolsonaro, si è attestato poco sopra il 43%. Contrariamente a quanto era stato evidenziato da pressoché tutti i sondaggi, il risultato sorprendente è stato proprio quello di Bolsonaro, che era dato poco sopra il 30%, mentre si era ipotizzato che Lula potesse addirittura vincere al primo turno».

A parere dello studioso l’esito elettorale restituisce l’immagine di un paese «profondamente spaccato per quanto concerne il candidato alla presidenza, ma pericolosamente oscillante a destra per quel che riguarda la futura formazione del Congresso, dove, oltre ai principali candidati bolsonaristi, siederanno anche due reduci (prontamente riciclatisi in politica) di quella che è stata l’inchiesta giudiziaria alla base della svolta bolsonarista del Brasile nel 2018: la Lava Jato. Sono stati infatti eletti, rispettivamente al Senato e alla Camera dei deputati, l’ex-giudice ed ex-ministro del governo Bolsonaro, Sergio Moro, e l’ex-procuratore della Lava Jato di Curitiba, Deltan Dallagnol». Guerra sottolinea poi «l’alto astensionismo, pari al 21%, che ha segnato questo primo appuntamento elettorale; viene da pensare che abbia influito in via primaria sulla performance dell’ex presidente Lula piuttosto che su quella di Bolsonaro».

Nel complesso, riassume Guerra, «buona parte della regione amazzonica (con le significative defezioni di Roraima, Acre e Rondônia, andate al presidente uscente), il fedelissimo nordest e il sempre decisivo, almeno sino a oggi, Minas Gerais si sono espressi a favore di Lula, mentre sud, sudest e regioni centro-occidentali hanno scelto Bolsonaro. Gli altri candidati, nella fattispecie Simone Tebet dello MDB e Ciro Gomes del PDT, si sono fermati al 4,16% e allo 3,04%. Quasi del tutto spariti i “tucani” del PSDB, i cui voti, seguendo una tendenza già registrata nel 2018, sono stati in massima parte incamerati da Bolsonaro. L’involuzione dell’elettorato del PSDB nella direzione di una sua preoccupante radicalizzazione — e dunque convergenza con l’elettorato bolsonarista — data almeno dall’elezione persa da Aécio Neves nel 2014 contro Dilma Rousseff, con la conseguente e del tutto infondata denuncia di brogli elettorali».

in senso orario: Guerra, Brasilia, Bolsonaro con Trump, Lula

Per lo studioso, da qui al 30 ottobre si vedrà «come si articoleranno le alleanze di Lula e Bolsonaro sia a livello nazionale con i vari partiti, in particolare con Simone Tebet e Ciro Gomes, sia a livello locale, nei singoli stati. Dinamica, questa, che potrebbe portare ulteriori voti proprio a Bolsonaro, considerando l’appoggio ricevuto in questi primi giorni post-voto dal confermato governatore del Minas Gerais, Romeu Zema; da quello di Rio de Janeiro, anch’egli rieletto, Cláudio Castro; dal governatore uscente di San Paolo Rodrigo Garcia, che non andrà al ballottaggio. Il 5% che separa Lula da Bolsonaro non è una percentuale enorme, ma non è nemmeno così risicata come potrebbe sembrare. Voglio però sottolineare che le direzioni dei partiti a livello nazionale difficilmente riusciranno a orientare il voto dei propri elettori, mentre più cogente appare la relazione a livello locale; e questo, appunto, potrebbe favorire Bolsonaro, pure alla luce del peso che i tre stati summenzionati (Minas Gerais, Rio de Janeiro e San Paolo) hanno sullo scacchiere politico brasiliano. Anche per tale ragione appare di primaria importanza non solo che Lula ottenga l’appoggio di tutti quei partiti che al primo turno hanno corso da soli, ma soprattutto che porti a votare una buona fetta di quel 21% di elettori che al primo turno hanno preferito astenersi».

Guerra conclude: «Il futuro della democrazia brasiliana appare oggi appeso a un filo. Benché il bolsonarismo abbia ormai messo radici, altri quattro anni di Bolsonaro alla presidenza consegnerebbero il Brasile all’irrilevanza dal punto di vista internazionale, a un’ecatombe sociale, a un disastro ambientale senza precedenti e al suo definitivo scivolamento nel girone infernale delle cosiddette “democrazie illiberali”, icastico ossimoro coniato dal leader e primo ministro ungherese Viktor Orbán, da sempre vicino a Bolsonaro, e da questi pubblicamente ringraziato, via Twitter, solo pochi giorni fa».

Foto del Congresso: Eurico Zimbres — Own work CC BY-SA 2.5

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