AL CASTELLO DI LUBIANA SI ESPLORA LA STORIA DELLA CITTÀ E DELLA SLOVENIA

foto: www.slovenia.info Jacob Riglin, Beautiful Destinations

Parigi ha la Tour Eiffel, Roma ha il Colosseo, e Lubiana ha il Castello. Uno dei più evocativi della Mitteleuropa. Ma oltre a offrire una vista mozzafiato sulla città, e a essere l’indiscusso simbolo della capitale, il Castello di Lubiana è un luogo di cultura, arte e conoscenza. Qui si tengono mostre ed eventi di ogni tipo, ad esempio la straordinaria mostra fotografica sulle culture in via di estinzione del National Geographic conclusasi nel settembre 2017. Qui ha sede l’Esposizione permanente di storia slovena: una vera e propria immersione, analogica e multimediale, nel passato di questo paese piccolo ma denso di avvenimenti, fatti e storie. Un paese, è bene ricordarlo, popolato sin dall’alba dei tempi: in una grotta nei pressi di Cerkno, per esempio, è stato trovato un flauto neandertaliano vecchio di 60mila anni; il più antico strumento musicale del mondo, probabilmente, ricavato dal femore di un giovane orso delle caverne.

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E non molto lontano dal Castello, nella famosa Palude di Lubiana, è stato trovato un reperto altrettanto interessante: una delle più antiche ruote con asse del mondo, realizzata in legno oltre 5mila anni fa; secondo gli esperti era un pezzo di un carro che i cacciatori-raccoglitori palafitticoli del luogo usavano per trasportare legna raccolta nei fitti boschi dell’epoca. La Palude di Lubiana, del resto, è un miniera d’oro per archeologici e studiosi di preistoria: sono stati trovati oltre 40 insediamenti, che hanno aperto un’eccezionale finestra sul passato non solo di Lubiana, ma dell’intera regione. Le popolazioni della Palude per lungo tempo furono cacciatori-raccoglitori attirati nel luogo dall’abbondanza d’acqua e dalla ricca biodiversità: si cibavano di frutta e noci selvatiche, uva, pesce e molluschi, castori, lontre, ma anche (più di rado) cervi, cinghiali, bisonte, bufalo.

La Slovenia è sempre stata un crocevia di popoli, e uno snodo dei traffici europei. Anticamente passava da qui anche la celebre Via dell’Ambra, grazie al quale i porti del Mar Mediterraneo venivano riforniti di preziosa ambra baltica. I celti taurisci si insidiarono nella regione verso il 300 a.C., anche per approfittare di questi traffici; il loro centro più importante era la futura Celje, ma si insediarono anche nella zona di Lubiana, che già aveva attirato a sé prima i veneti e poi gli illirici. Pian piano questa porzione di Slovenia perse la sua primordiale natura selvatica, di cui le leggende hanno però tenuta viva la memoria: per esempio si narra che Giasone, di ritorno dalla Colchide dove aveva rubato il vello d’oro, arrivasse alla Palude di Lubiana, e qui uccidesse il drago che la infestava (ecco perché nella bandiera di Lubiana è effigiato, sopra il Castello, un drago).

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L’Esposizione si sofferma sui conquistatori romani, che fecero di Emona (l’antica Lubiana) una città di rilievo militare, politico e commerciale: vantava molti negozi, palazzi e l’acqua corrente, grazie all’acquedotto, e il suo impianto stradale era modellato su quello caratteristico degli insediamenti romani, con il cardo e il decumano che fungevano da principali assi viari; a proteggere la città, mura alte anche otto metri, fossati e ovviamente i soldati di Roma. A Emona prosperava un ricco ceto di mercanti e funzionari; ne è testimonianza “il cittadino di Emona”, una statua di bronzo dorato conservata al Museo Nazionale della Slovenia: si tratta della sola statua di privato cittadino su colonna rinvenuta nell’Europa romana; la statua è alta quasi un metro e mezzo, e ritrae un giovane di buona famiglia dell’epoca di Traiano, quando l’Impero romano raggiunse il culmine della sua estensione.

f: Matevž Paternoster, dokumentacija Muzeja in galerij mesta Ljubljane CC BY-SA 3.0

Il Castello di Lubiana, del resto, fu costruito proprio sui resti di una fortificazione romana, ed è citato per la prima volta in documenti del XII secolo (anche se allora, naturalmente, era assai diverso da come lo conosciamo oggi). Nel Medio Evo Lubiana cambiò padrone più volte: con il crollo dell’Impero romano dovette vedersela prima con le orde dei goti, quindi con gli slavi e gli ungheresi, e infine con varie famiglie germaniche. Nel 1278 Laibach, com’era nota allora in Europa, cadde nelle mani degli Asburgo: una bella fortuna per i mercanti locali, che grazie alla protezione dell’Impero poterono godere di una lunga fase di prosperità. Le fortune della città furono suggellate nella seconda metà del XIV secolo, quando Lubiana divenne la capitale del ducato di Carniola. Ma non erano tutte rose e fiori: essendo un dominio degli Asburgo, spesso in guerra con l’Impero ottomano, Lubiana dovette fare i conti anche con le devastanti incursioni dei turchi. E il Castello, naturalmente, fu il fulcro della difesa cittadina.

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Nella prima età moderna Lubiana, e la Slovenia, vissero una fase di profonda trasformazione. La città fu colpita da un terribile terremoto nel 1511, e fu ricostruita nello stile rinascimentale dell’epoca. Qui ebbe il suo epicentro anche un altro terremoto, ma assai più benigno, e di natura spirituale: il movimento della Riforma, che trovò in un geniale predicatore lubianese, Primož Trubar, il suo paladino. In Slovenia Trubar è giustamente considerato il padre della letteratura nazionale, dato che nella seconda metà del XVI secolo fece stampare a Lubiana i primi due libri in sloveno della storia: il Catechismo e l’Abecedario.

Originario di Lubiana era pure Johann Weikhard von Valvasor: naturalista, esploratore e soldato, dopo aver girato per l’Europa e il Nord Africa, sul finire del XVII secolo scrisse la monumentale opera “La gloria del ducato di Carniola”, sorta di enciclopedia della storia, della cultura, delle tradizioni e della geografia del ducato. E sempre a Lubiana visse un altro eroe della cultura slovena: Žiga Zois. Figlio di un ricco mercante lombardo e di una nobildonna carniolana, in gioventù Zois studiò in Italia ed entrò in contatto con le innovative idee dell’Illuminismo francese. Tornato a Lubiana, fondò un circolo che riunì alcuni tra i migliori studiosi e intelletti.

Johann Weikhard von Valvasor

Per inciso, è bene ricordare che in età moderna gli austriaci adibirono il Castello prima ad arsenale, poi a caserma e ad ospedale militare, e infine a carcere. Tra i detenuti che ebbero il privilegio, per così dire, di dormire al Castello ci furono il primo ministro ungherese Lajos Batthyány, l’eroe del Risorgimento Silvio Pellico e il grande scrittore sloveno Ivan Cankar. Autore di saggi, poesie, opere teatrali e romanzi straordinari, Cankar fu anche un esponente socialdemocratico, e auspicò l’uscita della Slovenia dall’Impero (“Lasciamo quest’Austria ufficiale nella sua merda!”).

L’Esposizione si sofferma poi sul lungo XIX secolo e sulla Prima Guerra Mondiale. È in questo periodo storico che gli sloveni divennero una vera e propria nazione. Il secolo ebbe un tumultuoso inizio con l’irrompere delle idee della Rivoluzione francese e soprattutto delle truppe di Napoleone Bonaparte, che nelle province illiriche (Carniola inclusa) imposero il Code Napoléon, e un nuovo modo di vedere il mondo. Con il ritorno degli austriaci, fu istituito il Regno d’Illiria, che sarebbe durato sino al 1849: fu un periodo di luci e ombre, che vide il boom del vicino porto di Trieste ma il rallentamento delle miniere di mercurio di Idrija, nonché una grandissima fioritura della cultura slovena. Proprio a inizio secolo nacque il poeta France Prešeren, il “Dante della Slovenia” che con le sue opere fece raggiungere allo sloveno nuove vette di bellezza.

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La seconda metà del XIX secolo fu un periodo di modernizzazione, ma anche di conflitti e drammi. Nel 1857 fu inaugurata la tratta ferroviaria tra Lubiana e Trieste, negli anni Ottanta fu prosciugata la Palude di Lubiana. Il terribile terremoto che colpì Lubiana nel 1895 portò alla ricostruzione della città, con la costruzione di edifici che ancora oggi sono parte integrante del DNA lubianese. Nel 1905 fu inaugurato il monumento a France Prešeren che a distanza di un secolo contraddistingue ancora l’omonima piazza, nel 1908 fu eretto un monumento a Primož Trubar. Ormai Lubiana iniziava a diventare la città che tutti noi conosciamo: non a caso il suo nome non era più Laibach, alla tedesca, ma Ljubljana, alla slovena.

La Grande Guerra, scoppiata nel 1914 dopo l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, si combatté anche in Slovenia. Basti pensare alla battaglia di Caporetto (Kobarid): la Dodicesima battaglia dell’Isonzo ebbe inizio il 24 ottobre 1917 e finì il 12 novembre, e per l’esercito italiano fu una tale disfatta da divenire sinonimo di sconfitta di inaudite dimensioni nella lingua italiana. Con la fine della guerra, dalle ceneri dell’Impero austro-ungarico nacque anche il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (poi Regno di Jugoslavia), e la Slovenia ne faceva parte. Furono anni molto difficili, ma l’economia slovena ne uscì rafforzata, almeno in parte: settori strategici come la siderurgia, il comparto bancario e il tessile si modernizzarono, e la percentuale di persone attive nell’industria e nei servizi crebbe.

foto: www.slovenia.info Miran Kambic

Per Lubiana gli anni a cavallo della guerra furono un periodo di rinascita culturale e morale. Nelle strade della città ci si poteva imbattere in artisti come Rihard Jakopič, genio pittorico duttilissimo capace di passare dall’impressionismo di inizio secolo a un espressionismo ricco di vitalità e passione. O come Jože Plečnik, che sta a Lubiana — ha detto qualcuno — come il barone Hassumann a Parigi: suoi ad esempio l’imponente Biblioteca nazionale e universitaria, e il Mercato centrale di Lubiana; sua la fondazione della Scuola di architettura di Lubiana, ancora oggi una delle più prestigiose della Mitteleuropa. Per inciso, Plečnik amava molto il Castello, e lo definì l’Acropoli slovena.

L’Esposizione dedica molto spazio anche alla Seconda Guerra Mondiale, con l’occupazione nazifascista del paese, e alla Slovenia socialista. Com’è noto il movimento partigiano fu molto attivo in Slovenia; famoso per esempio l’ospedale partigiano Franja, nascosto nei boschi della zona di Idrija: qui si curavano non soltanto malati e feriti delle forze partigiane e alleate, ma anche soldati nemici. Dopo la guerra nacque la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, guidata dal maresciallo Jozip Tito: la Slovenia, naturalmente, ne faceva parte, con il nome di Repubblica Socialista di Slovenia.

Nell’estate del 1991 il paese ottenne l’indipendenza. Il 26 giugno il quotidiano sloveno, Delo, titolava in prima pagina: “Dopo 1000 anni di dominio tedesco e 73 anni in Jugoslavia, la Slovenia è indipendente”. La repubblica socialista si poteva così trasformare in una democrazia liberale, ed entrare (nel 2004) nell’Unione Europea. Per Lubiana il ritorno alla democrazia fu una vera primavera. La città divenne una gettonata meta del turismo europeo, e il Castello iniziò ad accogliere viaggiatori tedeschi, italiani, francesi, austriaci desiderosi di scoprire uno dei luoghi più suggestivi e importanti di una Slovenia finalmente libera.

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