I CAPOLAVORI DI PALAZZO LOBKOWICZ parte 2
Dici Palazzo Lobkowicz (Lobkowiczký palác) e subito l’intenditore di arte pensa ai Grandi Maestri dell’arte occidentale. E sì, perché oltre a strumenti musicali e spartiti di geni come Mozart e Beethoven (il compositore tedesco dedicò al patrono Joseph F. M. Lobkowicz alcuni dei suoi lavori più significativi), il Palazzo è un vero scrigno di meraviglie artistiche, con dipinti di Canaletto, Bruegel il Vecchio, Cranach, Velázquez. Insomma, se Firenze ha gli Uffizi, la metropoli sulla Moldava ha Palazzo Lobkowicz, meta dei più colti tra i viaggiatori, amanti dell’arte, critici e giovani artisti.
Miloš Marten diceva che Praga «fu sempre città di avventurieri, per secoli nido di avventurieri senza pietà né legami». In realtà è sempre stata anche una città di mecenati, come attesta il ruolo di Rodolfo II d’Asburgo, sostenitore di innovatori come Giuseppe Arcimboldo, «ingegnosissimo pittor fantastico», o il secolare mecenatismo della famiglia Lobkowicz, che come abbiamo scritto nel precedente post è sempre stata una protettrice delle arti, dalla pittura alla musica. Della musica si è già detto, parliamo ora della pittura.
Una delle opere più note esposte a Palazzo Lobkowicz è la “Fienagione” di Bruegel, del 1565. Com’è noto, Pieter Bruegel il Vecchio fu un acuto e appassionato osservatore della vita agreste; un cultore dello «spirito della natura», capace di coniugare l’amore per gli aspri, quasi scabri paesaggi del Nord con un vitalismo intimo, ma non privo di accenti epici. È la lotta per la vita quella che il pittore di Breda ha rappresentato nelle sue opere; una lotta per la vita che è sì fatta di sopportazione, duro lavoro, intemperie e notti all’addiaccio (questa la routine dei contadini europei per molti secoli), ma anche di gioia, di gusto per la vita all’aria aperta, di azione. La sua pittura è la pittura di un uomo che conosce le fatiche della quotidianità rurale, ma anche le soddisfazioni che il lavoro nei campi sa regalare.
Lungi dall’essere un paesaggista zuccheroso, o un realista ante litteram, Bruegel è un pittore geniale, che sa conferire alla vita campagnola europea una dignità e uno spessore inediti, e raccontare in modo unico il rapporto (non certo idilliaco, ma fecondo e irrinunciabile) tra contadino e natura. Ciò è evidente in opere come il “Ritorno della mandria”, “Giornata buia” e appunto la “Fienagione”. Questo capolavoro apre uno scorcio su un momento cruciale della vita contadina, la fienagione, essenziale per nutrire le bestie; l’opera trabocca di vita: c’è chi va e chi viene, alcuni si caricano sulle spalle pesanti gerle stracolme di frutti, altri si affannano sui mucchi di fieno o magari su una falce da affilare. In ogni caso tutti hanno un lavoro da svolgere e nessuno sta con le mani in mano, e anche se la fatica non manca, regna un’atmosfera serena, in qualche modo anche compiaciuta: lo spettro della fame e della malattia è lontano! Insomma, un trionfo di energia, operosità e rustica assennatezza, sullo sfondo di un paesaggio verdeggiante, non bucolico ma gradevole.
Un’altra opera di Palazzo Lobkowicz che l’appassionato d’arte non può ignorare è il sublime “Il Tamigi con la Cattedrale di St. Paul il giorno del Lord Mayor” del grande Canaletto. Com’è noto, il vedutista veneziano aveva visto la sua carriera consolidarsi grazie al collezionista e mecenate inglese Joseph Smith, grazie al quale aveva potuto vendere i suoi quadri ai migliori casati aristocratici d’Oltremanica. Con lo scoppio della Guerra di successione austriaca, e il calo dei visitatori inglesi a Venezia, Canaletto decise di trasferirsi a Londra, e iniziò a cercarsi nuovi clienti; tra questi, Ferdinand Philip Lobokowicz.
“Il Tamigi con la Cattedrale di St. Paul il giorno di Lord Mayor” è una delle opere più famose, e straordinarie, di Canaletto. Il vero protagonista della tela è il cielo, in tutta la sua gloria. Un cielo con poche nuvole, maestoso, che rimanda a certe giornate, fredde e tuttavia serene, del Nord Europa, quando la luce sembra cristallizzarsi nell’aria pungente ma limpida. Comparse, ma che comparse, sono le imbarcazioni: «Vascelli, navigli, chiatte. Mille, o tante, da nascondere persino le acque» aveva scritto quasi un secolo prima Samuel Pepys, e in effetti è difficile non restare impressionati dal trionfo di navi e barche che sfilano su un Tamigi quieto, placido come un canale di Venezia solo un po’ più grande. Come in molte altre opere di Canaletto, colpisce il realismo di un’opera dove la luce lega il cielo all’acqua, la concretezza delle barche alla vaporosità delle nubi, e dove l’esattezza matematica della prospettiva si fonde con una maestria tecnica che ha del virtuosistico.
Ma oltre ai paesaggi, alle vedute, non mancano a Palazzo Lobkowicz i ritratti. Poco noto qui in Italia, e tuttavia imperdibile, è quello di Maria Maximiliana Manrique de Lara, grande dama spagnola e prolifica moglie del potentissimo cancelliere boemo Vratislav von Pernstein. Una delle figlie della nobildonna fu la bella Polyxena, che nel quadro è ancora una bambina, e nel 1603 andò in sposa a Zdeněk Vojtěch Popel von Lobkowicz (in alternativa, la bimba potrebbe essere una sorellina di Polyxena).
Un altro ritratto imperdibile è quello di Doña Margarita Teresa, Infanta di Spagna. L’opera è stata attribuita a uno dei pittori più importanti della storia occidentale, il famoso Diego Velázquez; un artista che nei secoli è riuscito a influenzare geni (spagnoli e non) assai diversi tra loro come Manet, Picasso, Dalí e Bacon.
Il ritratto di Velázquez raffigura la nobildonna conosciuta in Italia come Margherita Maria Teresa d’Asburgo, futura sposa dell’imperatore Leopoldo I d’Austria. Ancora soltanto una bambina, Margarita Teresa ha lo sguardo ingenuo e speranzoso di chi si è appena affacciato al mondo, ma già inizia a capire (meglio: a intuire) che l’universo degli adulti è assai più complesso di quanto non facciano credere dame e precettori. La concentrazione psicologica di un Innocenzo X attento e vigile si ritrova, in modo più lieve, e tuttavia non meno efficace, in questo splendido ritratto. L’argento, il rosso e il nero dell’abito sfarzoso, l’oro della chioma bionda e l’amaranto opulento del drappo sullo sfondo non riescono a nascondere la tenerezza e la fragilità di una bambina dall’incarnato pallido, e le pose graziose. La stessa bambina, del resto, protagonista dell’opera più famosa del pittore spagnolo: “Las Meninas”.
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