Olimpia Zagnoli

Benvenuta fatica

Circolo dei lettori
il Circolo degli scrittori
3 min readMar 10, 2015

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I lettori di manoscritti uscì nell’agosto del 1906 su «L’illustrazione italiana», giornale di cronaca e divulgazione culturale fondato a Milano dall’editore Treves. Recava la firma di Edmondo De Amicis: l’autore aveva già scritto Cuore ed era uno degli scrittori italiani più letti. Proprio in virtù (o forse si tratta di una pratica viziosa?) di questa sua celebrità, riceveva parecchi manoscritti di aspiranti scrittori che si dicevano bisognosi dei suoi pareri e onorati di un eventuale suo consiglio.

Questo breve testo, ora pubblicato dalla casa editrice Robin, è una divertente satira sulla consuetudine — verissima centonove anni fa e verissima ancora adesso — degli aspiranti scrittori di interpellare autori stimati e già riconosciuti tali, per avere da loro un giudizio sui propri scritti.
Ne I lettori di manoscritti il sentimentalismo romantico “deamicisiano” lascia il posto al disappunto per come evidentemente i mittenti nutrano poco riguardo per l’altrui tempo libero.

Capita che questa stessa orticaria sia patita dai partecipanti del nostro Gruppo di lettura. Occasionalmente infatti è stato chiaro che si stesse dando da fare di più il lettore, di quanto non si fosse ingegnato lo scrittore. E a voler riconoscere, tra le decine e decine di testi letti fin qui, un elemento difettoso comune, questo potrebbe essere l’incompiutezza del lavoro che necessariamente uno scrittore dovrebbe mettere in conto se intende impelagarsi in un progetto di scrittura. C’è tanta voglia di scrivere, ma poca voglia di faticare per scrivere.
A volte c’è l’intuizione di una storia forte, a volte la padronanza linguistica o dei personaggi ben delineati, oppure delle folgorazioni stilistiche come una voce azzeccata. Ma a volte quello che si è percepito è la mancanza di un vero lavoro di revisione del testo. Come se quelle inviate fossero delle prime versioni di un testo non sottoposto al duro lavoro di riscrittura. Come si dice, «scrivere è riscrivere».

Così anche nei lavori vagliati questa settimana: c’è del buono, ma l’impressione è che non si sia lavorato a sufficienza perché questo prevalesse.
Abbiamo letto Piccolo e forte, una storia d’amore intergenerazionale e interregionale, ma con entrambi i protagonisti che appaiono come la sommatoria di tic caratteriali.

Porta tanta luce nel tuo cuore è il racconto, con immagini impreviste talvolta anche potenti, della malattia terribile di un uomo. Purtroppo si tratta di un lavoro dal risultato insoddisfacente, soprattutto per certe ingenuità stilistiche, ad esempio frasi troppo sincopate, spezzate prima del giusto.

Bueno Saires racconta il peregrinare sentimentale di Giada dopo la rottura con Guglielmo. Purtroppo mancante di una intreccio riconoscibile e compatto, in cui prevalgono essenzialmente istantanee emotive e poetizzanti. Un diario di viaggio, in presa diretta quindi, con innesti di sms e mail di chi è rimasto in Italia, che non trova il suo equilibrio tra linea lirica e di trama.

L’albero nomade, invece, ambientato a Torino — città ritratta con amore, tanto da renderla uno dei personaggi più convincenti del testo — racconta di due fratelli con padri diversi che si ritrovano. Storia d’amore condotta con una scrittura misurata su cui grava però una certa superficialità che appiattisce certi aspetti dolorosi del sentimento. Il romanzo è per ora tra quelli in panchina.

C’è del buono in ognuno di questi testi, ma gli autori dovrebbero avere coscienza del fatto che l’unico modo per oltrepassare i limiti che ora ha la loro prosa, la condizione necessaria anche se non sufficiente, è che si rimbocchino le maniche.

Noi leggiamo, è una promessa. Lo facciamo con dedizione e con voglia. Ci divertiamo anche. Chi scrive, quindi, faccia altrettanto.

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