Il mostro è invitato?

Circolo dei lettori
il Circolo degli scrittori
4 min readMar 27, 2015

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Si può raccontare l’orrore? E se lo si fa, c’è da preservare l’occhio e la coscienza del lettore — quindi, attutendo l’orrore stesso — oppure è ammesso che la letteratura si immerga, impudicamente, tra gli anfratti più spaventosi della natura umana? È questo il dibattito — fin qui, uno dei più partecipati — che ha animato il Gruppo di lettura.

Lo spunto lo ha dato uno dattiloscritto che racconta di un figlio disgraziatamente in balia di turbe psichiche per via del fatto che la madre, sin da quando era bambino, lo ha sempre trattato come fosse una bambina. Qui il personaggio è un mostro che però possiede un’innocenza, una filosofia primitiva, ossessiva, perturbante e morbosa che l’autore restituisce in maniera cruda.

Ora, lo scrittore deve salvaguardare le notti del suo lettore, preoccuparsi che questo non abbia gli incubi una volta riposto il libro sul comodino, o non deve crucciarsene neppure un briciolo, dei mostri che eventualmente disturberanno il sonno altrui?

E procediamo con le domande perché il Gruppo, pur avendo apprezzato e fatto passare in finale il romanzo in questione, non è arrivato a formulare una risposta netta su questo. Il mostro va ripulito, truccato e imbellettato per portarlo a pranzo a casa del lettore; oppure lo scrittore è nel diritto, persino nel dovere, di presentarlo in tutta la sua orrenda bruttezza e spaventosità?

La storia che ha dato il la al dibattito è quella di Giovanni, un bambino che la madre tratta come una bambina, cambiandogli anche nome. Lo veste con le gonne, lo fa giocare con le bambole. Non si affida a una trama lineare, quasi che la struttura schizoide intenda assecondare i grovigli della mente del protagonista. Ammazzamenti, suicidi, allucinazioni, idee ossessive. Tutti i fili si rannodano con esattezza e coerenza. Nulla è come sembra, ma questa è una scoperta che il lettore fa solo una volta terminato il libro. E in questa confusione programmatica, l’autore ha fatto la scelta giusta nell’inserire nella storia un numero limitato di personaggi. Troppi, visto il gomitolo della trama, sarebbero stati di difficilissima gestione.

A voler sintetizzare le osservazioni dei partecipanti al gruppo in due categorie, eccole qui di seguito.
C’è chi dice “Va bene descrivere il male, ma non in modo così disturbante, è orribile!”. Poi c’è una seconda scuola di pensiero secondo cui “Il male c’è, esiste, è tremendo: lo scrittore deve affondare nelle sue acque nere e portarsi dietro il lettore.” L’unica cosa quindi, ma già non è poco, su cui concordano tutti è che il male e l’orrore siano elementi su cui un autore può confrontarsi. Ciò che non mette d’accordo è invece da quale distanza il lettore debba assistere alla lotta paurosa tra lo scrittore e il male. Lontano, così da vederne appena i contorni, farsi un’idea, ma non rischiare di perdere il sonno? O vicino, a una spanna, così da guardare in faccia il mostro?

Passiamo però adesso agli altri testi letti e valutati.
L’impostore di Lione. Vicino alla Mole, in quattro soffitte dirimpetto l’una all’altra, abitano quattro ragazzi: “Vittorio, che studiava alle Belle Arti, sognava di diventare un famoso pittore, Guido frequentava la facoltà di letteratura, ed era aspirante scrittore, Stefano, già menzionato, studiava la viola da gamba e voleva diventare direttore d’orchestra, mentre Francesco studiava architettura, e la sua aspirazione più grande era quella di diventare scultore.” La loro routine si spacca quando ad alloggiare nell’unica soffitta ancora sfitta fa capolino una ragazza bella come un angelo che fa l’attrice. Poco convincente, dall’ambientazione alla definizione dei caratteri psicologici dei personaggi.

Il coraggio del pavone, che dalla scorsa volta era in panchina, è stato valutato non ancora pronto per procedere nella competizione.

Una donna con gli occhi bianchi. Un doloroso, e mai reticente, consuntivo amoroso e sessuale di una donna che ha sempre amato l’idea di un amore che venisse da lontano. Ha tanti amanti, fidanzati, il marito, chi viene dopo il marito, e a darle retta “ogni volta mi sentivo più sporca e ne avevo concluso che avevano ragione i miei genitori e anche la religione, io ero una persona ammalata di sesso, una lussuriosa”. Il tempo e lo spazio sono gestiti con poca accortezza. E parecchi sono i refusi, al punto che non c’è da considerarli più refusi, ma veri e propri errori grammaticali e sintattici.

I denti del drago. C’è un videogioco ambientato tra una cinquantina d’anni in cui, come appunto capitava agli ambienti e ai personaggi dei videogiochi fino a qualche decennio fa, tutto è piatto e monodimensionale. I dialoghi ricorrono a formule giovanilistiche e allontanano il lettore.

La scoperta dell’acqua calda. Conosciamo un vecchio scorbutico amministratore di condominio nel giorno dell’arrivo a casa della sua badante, “alta e serpentina, corti capelli biondo-rossastri e grandi occhi azzurri, rotondi dentro un viso rotondo, dove si ammorbidivano gli zigomi slavi”, Ylenia. Le dà la camera che era della figlia, e la fa sua compagna nella quotidiana lotta agli illeciti nel condominio. Intanto, le considerazioni e i conti di un uomo oramai solo che gioca “a rimpiattino con il pensiero della morte”. Ora in panchina, pronto per una seconda lettura.

Tornando alle domande dell’inizio. Perché ciascuno possa arrivare a una sua risposta, consigliamo il romanzo uscito qualche anno fa da Einaudi, Elizabeth, di Paolo Sortino. L’autore, al suo esordio, racconta la storia Elisabeth Fritzl, segregata dal padre per ventiquattro anni fra le pareti di un bunker costruito sotto casa, e che da questi avuto sette figli. Il mostro c’è ed è terribile. Leggendo il romanzo “nero, ipnotico, capace di trasformare un caso di cronaca in un mito senza tempo” conosceremo la distanza — in questo caso specifico — a cui letteratura si è messa di fronte al mostro. Se distanza c’è stata.

Buona spaventosa lettura, alla prossima settimana.

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