Jeannie Phan

Le vite degli altri

Circolo dei lettori
il Circolo degli scrittori

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Sono le 18 di giovedì 20 novembre. Eccoci di nuovo in Sala lettura, speranzosi di scovare quel romanzo che catturerà la nostra attenzione e accenderà il dibattito… forse proprio oggi.
Al Circolo dei lettori è sempre un susseguirsi di appuntamenti, stasera arrivano i dee-jay di Radio Capital per una serata tra parole e note.
È certamente più istintivo collegare la musica alla poesia, se non altro per la ritmica e la brevità del testo, ma sicuramente la musicalità è qualcosa che interessa ogni opera letteraria, compreso il romanzo, ed è qualcosa a cui un bravo scrittore deve tendere.

Al centro della discussione di oggi uno dei romanzi del concorso, questa volta un noir, che i partecipanti al gruppo di lettura hanno letto durante la settimana.
Inizia con un espediente. Un uomo, che di mestiere fa il biografo, racconta le vite delle persone che, quotidianamente, entrano nel suo bar per chiedergli di scrivere la loro biografia. Un giorno, ad entrare, è una donna misteriosa e bellissima e così prende avvio la narrazione.
Il romanzo genera pareri molto discordanti.

Giovanna interviene: “Il romanzo non ha nulla di innovativo, il linguaggio è volgare, grossolano, sembra scritto da uno scrittore poco colto, manca di RITMO!” Ribatte Giorgio: “È solo parzialmente un giallo, perché l’autore divaga nel momento clou, il ritmo viene meno e questo genera nel lettore distrazione”.
Stiamo mescolando troppi piani, ci fanno notare gli editor: parlare di linguaggio è una cosa, di ritmo un’altra, riferirsi alla struttura del romanzo un’altra ancora. Procediamo con ordine.

L’espediente: è un rimedio per risolvere provvisoriamente una difficoltà.
Giuseppe interviene: “Non c’è nulla di originale nell’espediente narrativo utilizzato, è già visto e sentito”. Salvatore ribatte: “Non so quanto sia o non sia originale, ma alla fine poco importa dell’originalità. Se c’è una cosa che l’autore qui riesce a fare è far emergere pezzo per pezzo non solo le vite dei protagonisti, ma anche le vite degli altri. Mi sembra che l’autore voglia mostrare la complessità delle esistenze tout court, che non sono necessariamente lineari, non sottostanno alla legge di causa-effetto, ma sono molto più complesse e intrecciate”. Come sostiene Aleksandar Hemon in Il progetto Lazarus: “Tutte le vite che potremmo vivere, tutte le persone che non conosceremo mai, o che non saremo, sono ovunque. È questo il mondo”.

Questo è un aspetto interessante, l’idea cioè che i personaggi non siano funzionali a far accadere qualcosa, non agiscano esclusivamente per far procedere la narrazione, ma abbiano un passato — quella parte più bassa dell’iceberg, come diceva Hemingway, che però è necessaria per giustificare quello che emerge dell’iceberg e che è, in sostanza, l’istantanea catturata e raccontata dal romanzo.

Ma ritorniamo al nostro testo. Giulia interviene: “Il linguaggio presenta così tante sgrammaticature, tempi verbali sbagliati, refusi, una punteggiatura inesistente… che mi hanno irritato e disincentivato a proseguire nella lettura”.
Non dobbiamo irritarci, ci dicono gli editor: in una casa editrice non arrivano solo capolavori. Questo romanzo è un esempio di scrittura media. Un testo che può essere migliorato, con un lavoro di editing, visto che ha degli elementi positivi, come ad esempio un Io narrante interessante.

Concludiamo questo pomeriggio ricordando quello che disse una volta un autore come Jonathan Franzen: “Usate sempre la terza persona a meno che una voce in prima persona non vi si imponga con forza irresistibile”.

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