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Harry Potter, o del diventar lettori. Lettera spassionata a J.K. Rowling di Giulia Annecca

Cara J.K. Rowling,

eppure mi hai cambiato la vita. Hai una certa responsabilità nei confronti della mia esistenza, specialmente in particolari weekend quando invece di godermi le frizzanti polveri sottili milanesi mi accascio sul divano dell’Ikea marrone brownie di scomodità pari se non superiore ai prodotti pubblicizzati su Rete4 da Giorgio Mastrota, prendo un libro e inizio a leggere.
Devo confessarti che con Harry Potter e la maledizione dell’erede hai fatto davvero cilecca. Ma come ti è venuto in mente di sbolognare una storia degna come minimo di una trilogia in qualche atto teatrale scadente? La figlia di Voldemort e Bellatrix Lestrange, frutto di un amore ipotizzato da noi fan per anni, ridotta ad avere voce con sparute battute impersonando il villain per eccellenza. Sei sempre tu la stessa scrittrice che mi ha mostrato attraverso le sue storie che noi tutti qui siamo dei personaggi chiaroscuri, che nessuno di noi è interamente buono o interamente cattivo, che il male è banale ma le ragioni vanno sempre ricercate altrimenti si finisce per giustificarlo con la confortante soluzione del non comprensibile, come se l’ipotesi di macchiarci di cose orribili fosse così lontana da noi? La ship per Voldemort e Bellatrix era da tempo salpata, comunque.
Sai perché non mi va giù? Perché tu mi hai insegnato a scrivere. Se sono in grado di mettere una lettera dopo l’altro è merito della mia maestra di italiano delle elementari, se sono capace di porre in fila parole che formino delle frasi di senso compiuto è invece grazie a te. Ma procediamo per gradi. Correva l’anno 2002, avevo 6 anni, un mio amico mi prestò la videocassetta di Harry Potter e la pietra filosofale: Albus Silente risucchiava la luce dei lampioni di Privet Drive con il Deluminatore, un gatto osservava con occhi gialli da un muretto la scena e un mezzo gigante a bordo di un’improbabile cugina di qualche Harley Davidson planava dal plumbeo cielo inglese depositando un bambino con una cicatrice a saetta accanto al portone di una delle case della via e io mi innamoravo. Una storia che parte in sordina con grandi elementi di possibile sviluppo ambientata non in un bosco fatato, non in un mondo dentro ad un armadio che puzza di naftalina, non a Westeros, ma in un sobborgo inglese, nella realtà. Perciò sì, perché no, magari anche a Grassano (provincia di Matera) può accadere tutto questo, non devo necessariamente vivere in un mondo fantastico. Poi subito dopo il lampo d’illuminazione: tutto avviene in questo mondo, che è un mondo fantastico.
Insomma, mi hai fatto amare la vita e la realtà, facendomi immaginare in un treno, per strada, a scuola prospettive magiche dietro l’angolo che aspettavano proprio me, una comune bambina. Poco importa se nessuna di esse si è mai realizzata e se sto ancora aspettando la lettera di ammissione alla scuola di Hogwarts: ciò che conta è il desiderio e lo sguardo sulle cose che con i tuoi libri mi hai messo dentro.
Ovviamente Harry Potter è diventato un assiduo frequentatore di casa mia, aggiungi un posto a tavolo ché c’è un amico in più, soprattutto la domenica quando mia madre rimaneva a casa e la costringevo a sorbirsi due ore di è la bacchetta che sceglie il mago Sig. Potter, wingardium leviosa, Quidditch (mai stata sportiva ma a Quidditch ci avrei giocato eccome), Tusaichi, la foresta proibita, la capanna di Hagrid, 50 punti in meno a Grifondoro, la coppa delle case. Volevo che entrasse nel mio mondo e capisse perché negli ultimi tempi ero così contenta. Comprare i libri e divorarli in pochi giorni è stato il passo successivo. Libri che rileggerò, se ci arriverò, anche ad 80 anni, perché avrò bisogno di Harry Potter negli anni che si affastelleranno come cifre tramviare. Perché? Perché anche se sono una babbana, in cuor mio combatto il lato oscuro, resto una Grifondoro nonostante Pottermore (il portale web creato da te) mi abbia assegnata con qualche reticenza da parte mia ai Corvonero, perché non posso dimenticare i pomeriggi passati a duellare con un mio amico Serpeverde con un pezzetto di legno che voleva essere un bacchetta magica (cedro, crini di unicorno, 11 pollici e mezzo, particolarmente atta alla trasfigurazione), e buttarci a terra fingendo di essere stati colpiti da uno stupeficium, disarmandoci con un expelliarmus, per poi trascinarmi in cucina a preparare pane e Nutella quando lui ha osato pronunciare imperium e io non ho potuto far altro che mettere in tavola la merenda. Non esagero quando dico che il rapporto con il latino è cominciato molto prima di iscrivermi al liceo classico: mi era inevitabile prendere familiarità con incantesimi quali nox, lumus, rictusempra. Quantomeno hai insinuato il dubbio in me che non necessariamente un termine debba avere una vocale in coda. Mi hai permesso di diventare quel che sono: una lettrice. Quando mi immergevo tra le pagine dei tuoi libri ritornavo alla poltrona di casa mia da cui leggevo diversa, arricchita, potenziata dall’immaginario che avevo lì davanti agli occhi; il reale stesso mi appariva incrementato da ciò che sarebbe potuto succedere. Ecco, mi hai spalancato la vista sul regno delle possibilità. Mica male. Come me, innumerevoli bambini in ogni angolo, se ci sono angoli, della Terra. Questo è ciò che a mio parere fa un grande scrittore: installare un terzo occhio nel bel mezzo della fronte del lettore. Non ti ho ringraziato ancora per aver creato il mio primo amore di carta, Harry, che mi ha svelato l’arcano fascino degli occhiali tondi e degli sguardi che si celano dietro ad essi prima che la miopia diventasse mainstream. Ah, e poi per Hermione, così cazzuta, indipendente, fragile, determinata, amante delle cose belle e vere che vorresti essere davvero come lei. Una storia basata sulle rocambolesche avventure di un ragazzino con gli occhiali tenuti insieme dallo scotch che scopre a 11 anni di avere una prospettiva diversa da quella che gli hanno cucito addosso gli zii relegandolo in un sottoscala si presta a spunti grandiosi, ma sono del parere che l’intreccio, a volte, sia più importante della trama, che il come dia valore al cosa e la tua scrittura e il tuo stile ne sono la prova. Infatti hai creato un mondo che non inizia e cessa di vivere quando si apre e chiude il libro, ma che pulsa parallelamente al nostro, che continua ad esistere anche quando non ne parli, perché l’hai tratteggiato così realmente da farne un rifugio per chi, soprattutto quando è piccolo, ha bisogno di far viaggiare la mente.
Se chiudo gli occhi riesco a vedere il pub londinese da cui si accede a Diagon Alley, la via dei negozi dei maghi; il platano picchiatore che ha distrutto la macchina del Signor Weasley in Harry Potter e la camera dei segreti; Fierobecco prima che si desse alla clandestinità con Sirius Black, aka Felpato, il padrino di Harry; la sala grande addobbata per Natale; i quadri alle pareti che si muovono; la Torre Nord dove si tengono le lezioni della professoressa Cooman; il bagno dei prefetti in cui Harry ha scoperto in cosa consistesse la seconda prova del torneo Tremaghi e il lago nero dove l’ha disputata; il cimitero in cui è risorto Voldemort e ha ucciso Cedric Diggory, quando la saga ha preso un’altra piega e la morte è diventata un’ipotesi concreta; i Thestral (anche se in teoria non potrei); lo studio di Silente e il pensatoio; l’ufficio della Umbridge al Ministero della Magia con l’occhio di Malocchio Moody incastrato nella porta; Dobby; Godric’s Hollow e via dicendo. A 7 anni riuscivo a capire l’importanza della parola, che dava corpo agli oggetti che mi arginavano e mi schiudeva ad altri che ancora non conoscevo, e la grandiosità delle storie, del leggerle e del saperle raccontare perché decifravano ciò che mi circondava.
Harry Potter ha partorito una nuova generazione di lettori, la mia, che ha continuato a leggere dopo aver terminato i tuoi libri perché grazie a quei racconti ha intuito che la letteratura è la possibilità di esplorare ciò che fisicamente non rientra nel proprio campo visivo e il fatto che non si possa esperire qualcosa con le proprie facoltà non preclude la sua esistenza. Per osmosi abbiamo quindi appreso il piacere della scoperta, ché se una cosa non rientra nel recinto del già conosciuto non è da temere, ma da amare o perlomeno comprendere. Come dice un cantautore che amo molto, Brunori sas, in Arrivederci tristezza, milioni di libri non servono a niente se servono solo a nutrire una mente che mente, motivo per cui, e probabilmente molti qui rabbrividiranno per quella che sembra mancanza di Kultur, nonostante mi sia appassionata in egual misura ad altri autori e alle loro storie, potrò anche aver pianto, sospirato, odiato, amato con Kerouac, Tolstoj, Calvino, Pavese, ma quando voglio scrollarmi di dosso la frenesia dell’inautentico vivere quotidiano e ricominciare a sognare torno sempre a “casa”, dove si sta bene, e riprendo in mano Harry Potter. Che fantastica storia è la vita, J.K. .

Una lettrice fortunata

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE