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10 min readDec 11, 2017

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A Michel Butor, abitante del mondo di Isabella Bordoni

Un uomo che con la propria scrittura ha scandalizzato un secolo — prima all’interno della cornice critica che ha definito Nouveau Roman quel nuovo genere, in seguito abbandonato, nel pieno del trionfo letterario — ha bisogno di complici.

La presenza e l’importanza dei complici tornano spesso nelle dichiarazioni di Michel Butor. Complici che egli ha cercato non solo nel suo tempo presente, quanto nel tempo — che è insieme attuale e inattuale, databile eppure più-che-contemporaneo — delle Lettere. Ce lo dice in più occasioni attraverso i suoi testi, le interviste, le conversazioni, e tra i suoi complici troviamo una ricchissima costellazione di nomi: Balzac, Jules Verne, Victor Hugo, Gustave Flaubert, Proust, Arthur Rimbaud, Henri Micheaux, Joyce, ma anche Rembrandt, Delacroix, Mondrian, Vieira da Silva e altri ancora.
Ce lo ripete Mireille Calle-Gruber nel suo ricordo Le souvenir d’un géant aux yeux ailés apparso su Le Monde all’indomani della morte di Butor, avvenuta il 24 agosto 2017.
Uno scritto misurato e commosso, questo di Mireille Calle-Gruber, che tesse la critica letteraria alla stima per lo scrittore e per l’uomo, all’affezione per i suoi temi, alla lunga comune frequentazione degli stili e dei generi; dove torna la figura dell’altro, in Butor, come interlocutore e figura del dialogo. E dove, la dimensione della complicità slitta, completandosi, verso quella dell’amicizia.

« All’inizio, intorno agli anni 1979–1980, ciò che mi intimidiva di Michel Butor non era la sua statura di scrittore né la sua opera oceanica, non la sua erudizione né la sua notorietà, no; io ero intimidita dalla sua timidezza». È di quegli anni l’avvio di una relazione professionale che diventa, nel tempo, profonda e prolifica amicizia letteraria, tra Michel Butor e colei che diventerà la sua studiosa più assidua. Fino alla fine.
Del resto è proprio Mireille Calle-Gruber, critica letteraria, docente universitaria e autrice a sua volta, ad avere scritto parole costanti, sororali e luminose, su e con Michel Butor. Dodici volumi, oltre quindicimila pagine costituiscono Michel Butor, Œuvres complètes (Paris, La Différence, 2006–2010), opera nell’opera, una forma privilegiata di critica letteraria “dal vivo”, realizzata sull’opera di un autore, coadiuvata dall’autore stesso.

Interessante questo fluire di parole altre, sorelle o fraterne, scaturite a partire da e soprattutto con Michel Butor, a rafforzare i legami tra ascolto e parola, oralità e scrittura, letteratura e amicizia. Nel ricordare Michel Butor, è impossibile infatti non pensare a lui come creatura amicale.

Luogo del riconoscimento, del consentimento, della coesistenza, « l’esistenza dell’amico dimostra il rango ontologico e politico dell’amicizia » come già scrive Giorgio Agamben, « l’amico non è un altro noi, ma una alterità immanente alla stessità, un divenir altro nello stesso », sulla scia mai spenta di Hannah Arendt che ci inoltra nella dimensione dell’amicizia come quella del “fare” (agire) discorso, insieme; discorso in comune.

Michel Butor ha portato nel mondo parole e forme numerosissime e persistenti, a tratti invincibili per precisione, per nitidezza e semplicità. Anche su di sé.
Biografia e autobiografia sono generi letterari che la critica strutturalista ha scoraggiato, ma Michel Butor è pioniere anche in questo. Egli intende il genere biografico e autobiografico nelle forme del dialogo: non una forma di celebrazione o autocelebrazione, quanto piuttosto la possibilità di creare e abitare (e mettere nella disponibilità dell’altrui abitare) spazi dialettici tra domande e risposte.
Per essere indagato, il pensiero ha bisogno di domande. La risposta alla domanda non chiude, essa mette invece in campo, attraverso la storia dell’individuo, la storia collettiva e sociale. L’io non è né riduzione né esaltazione del noi, ma sua contigua presenza.

Nel prezioso Curriculum vitae, entretiens avec André Clave (Paris, Plon, 1996), Michel Butor traccia di sé, attraverso le domande dell’altro, il disegno di un uomo vocato a un generoso isolamento; tanto incline alla condivisione quanto refrattario alle congregazioni, alla propaganda e alle mode, se già nella metà degli anni Cinquanta del Novecento, negli anni della sua adesione ai movimenti politici e intellettuali della sinistra francese, predilige la postura del «compagnon de route» a quella di «militant». Sono chiari per Butor i limiti del rapporto tra politica e letteratura e il campo dell’agire: l’azione politica per eccellenza, l’impegno, è per Michel Butor l’atto stesso del prendere la parola, dello scrivere.
In nome di questa responsabilità personale, Michel Butor in tutta la sua vita prende distanza dai partiti, dai gruppi, dalle correnti letterarie e artistiche, dai dogmi, perché il suo atteggiamento verso la vita e l’opera è non ego-centrico già in partenza.
« Nell’infanzia — racconta Butor — formavo con i miei due fratelli e le mie tre sorelle, nati quasi tutti a distanza di un anno e mezzo l’uno dall’altro, un blocco piuttosto compatto; le nostre attività, i nostri giochi, le nostre emozioni, erano collettivi. Primario era non l’ego cartesiano ma il “noi” indifferenziato».

Parte forse da qui — da un’infanzia collettiva e anche solitaria, dove la solitudine è una condizione contemplativa e sognante, «rêverie» e possibilità immaginifica del proprio stare al mondo — la dedizione di Butor a una scrittura che è ininterrotta presa di coscienza, dialogante con l’altro nelle forme delle idee, dei luoghi, delle persone; fino a fare di questo costante spostamento del punto d’osservazione, la cifra più potente di tutta la sua estetica.

Sperimentatore funambolico e tenace anticipatore di generi letterari, con i primi romanzi Passage de Milan (Paris, Les Éditions de Minuit,1954), L’emploi du temps (Paris, Les Éditions de Minuit, 1956), La modification (Paris, Les Éditions de Minuit,1957), Degrées (Paris, Gallimard,1960), Michel Butor rompe le convezioni narrative precedenti per condurre il lettore dentro spazi tanto circoscritti (un edificio, una città, un treno, una classe), quanto esplosi temporalmente, così come ce li pone giustapposti e coesistenti capaci di inaugurare — attraverso la dedizione al dettaglio e alla cosa apparentemente minore — forme di riconoscimento, comprensione, consentimento e di amicizia nuove, tra tempo e spazio.

Con Mobile: étude pour une représentation des États-Unis (Paris, Gallimard, 1962) costruisce una magnifica architettura del testo e un ricercato design della pagina, precorrendo l’ipertesto ma senza alcun ausilio informatico.

Numerosissime e ininterrotte le sue collaborazioni con pittori, fotografi, musicisti, poeti. Genio generoso e inclassificabile, Michel Butor ha fatto della deriva e del decentramento, i lineamenti della sua incrollabile e duratura fiducia nella letteratura e nell’arte; il paesaggio veritiero di incontro e di amicizia.

Occorre infine, nell’impossibilità oggettiva di concludere il discorso butoriano, almeno citare il prezioso Conversation sur le temps, Michel Butor/Carlo Ossola (Paris, La Différence, 2012), sempre nel segno di quella cultura dell’incontro che fa di due, la giustapposizione dell’uno e dell’altro e dove l’amico (chi parla, chi scrive, chi legge) è un altro “io”.

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Romanziere, saggista, critico, insegnante, poeta, fotografo, artista; numerose eppure insufficienti benché tutte appropriate, le definizioni di una figura eccezionalmente prolifica come Michel Buor, intellettuale eclettico ma unitario pur nell’interdisciplinarietà dei linguaggi.
Nato a Mons-en-Barœul, il 14 settembre 1926 in una famiglia della media borghesia francese e figlio di un Novecento che affonda le proprie radici nei due conflitti mondiali, Michel coniuga la tensione amorosa verso il sapere, l’erudizione e la conoscenza, all’esperienza — culturale e umana — dell’essere partecipe di mondi ampi, ridisegnati oltre i confini territoriali e i limiti temporali. “Viaggio” e “paesaggio” sono le coordinate che, lontanissime da ogni semplificazione, lo hanno mosso costantemente nelle regioni interiori ed esteriori del proprio fare e del proprio essere.

Abbiamo conosciuto Michel Butor nel 2007, grazie a Fondazione Tito Balestra di Longiano (Fc) che ci coinvolse nella realizzazione di Sagge sono le Muse_ In viaggio con Michel Butor a cura di Flaminio e Massimo Balestra, Isabella Bordoni, con Carlo Ossola, Antonio Ria, Paolo Fabbri. Il progetto vide la presenza in Italia di Michel Butor con la moglie Marie-Jo, lungo un itinerario artistico-letterario con residenza a Longiano e tappe a Ravenna, Bologna, Milano, Pordenone, Trento, in festival di letteratura e arte. Da quell’esperienza deriva la mostra Périple transalpin, con fotografie di Daniele Ferroni e testi autografi di Michel Butor, che accompagnò quel viaggio e lo testimoniò fotograficamente. Michele Marziani contribuì al Viaggio con un diario-online.
Inizia lì una frequentazione ininterrotta con l’autore e l’opera, che oltre a vederci coinvolti una seconda volta nel 2009, sempre con Fondazione Balestra, in un ritorno di Michel Butor in Romagna, ci vede da allora impegnati nella divulgazione — soprattutto tra le generazioni più giovani, con studenti delle scuole superiori e universitari — dell’esperienza creativa dell’autore francese. Due gli appuntamenti pubblici che hanno punteggiato questo impegno: Michel Butor. À propos de. Entre littérature et art, le paysage véritable nel 2012 (progettazione e cura di Isabella Bordoni, in collaborazione con il Comune di Rimini, Assessorato alla Cultura, Istituzione MusicaTeatroEventi, Musei Comunali, Biblioteca Gambalunga, Università di Bologna-Polo Scientifico Didattico di Rimini, Ambassade de France-Institut Français, Maison du Livre d’Artistes et de la Création Éditoriale de Lucinges e Fondo privato Myléne Besson-Pierre Leloup. Coinvolti oltre 350 studenti delle scuole superiori della Regione Emilia-Romagna) e Michel Butor. L’opera giardino, nel 2016.
In entrambi gli appuntamenti, l’uno a Rimini e l’altro a Milano, è nell’incontro di Butor con la città, con gli affreschi, i monumenti, con i giardini, con le persone, con il cibo, con la temperatura, il clima, la luce di giornate straordinarie, che la parola sua e l’altrui si sono fatte esperienza di oralità, forma e spazio letterario.

Michel Butor. L’univers géopoétique è il progetto editoriale che raccoglie in un libro e un essai vidéo, la materia viva di queste esperienze:
«I testi presenti in questo libro ricompongono, tra scrittura e oralità, un recital a più voci che oscilla tra experimentum linguae e experimentum vocis, nel dar luogo della parola e della voce, alla scrittura, alla lettura. Protagoniste di questo meccanismo creativo dei parlanti, sono, con le parole di Michel Butor, le parole di Mireille Calle-Gruber e Paolo Fabbri » abbiamo scritto nel testo introduttivo.

Ancora: «Nel ri/assumere a distanza di anni o di mesi i documenti disponibili del 2012 e del 2016, abbiamo scelto di restituire le tracce con un andamento libero. Nel riascoltare, trascrivere, leggere e tradurre i materiali, teniamo in mente che “[…] étudier la poésie d’une langue c’est étudier la difficulté de traduire cette langue dans une autre. C’est pourquoi, il faut toujours traduire et retraduire […]”. L’eloquio di Michel Butor è accessibile. Chiaro, vocato alla trasmissione. Egli è democratico anche in questo. Tuttavia c’è, c’è comunque, la vertigine (come tentazione, perfino) della traduzione.
Questa vertigine, è il compito. Allora, nel traghettamento da lingua a lingua, ci siamo impegnati per il grado zero dell’arroganza, ma affidandoci a quella responsabilità di invenzione e a quel respiro prosodico insito non solo nelle lingue ma anche nelle persone, verso cui lo stesso Butor ci chiede di andare».
Ancora: «La geografia, il pensiero geografico, è in Butor l’estensione della scrivibilità dei luoghi. È nel pensiero geografico che il luogo ha la propria scrivibilità, poiché — a sua volta — il pensiero è scritto topograficamente. La parola conosce l’esperienza di scrivere il cammino. Non solo quella di scrivere — con il cammino — il territorio: di incidere cioè gli spazi, le aree; ma anche quel venire a noi della parola, dallo spostamento; di attingere cioè la scrittura, dall’arealità che il cammino sposta.
Ma c’è, forse, qualche cosa di più.
Così come esiste nei diversi livelli di percezione, un genius loci, noi crediamo che anche esista un “genius vocis” come luogo abitabile in cui le vite si incontrano.
Intanto a Milano, accadevano fenomeni di rigenerazione sociale, urbana e rurale, e in quel periodo si recupera un giardino privato dall’abbandono in cui era rimasto per settant’anni. E ancora pensiamo a Butor alla soglia dei suoi novant’anni, come a quella figura esemplare già detta. Un pioniere, più contemporaneo dei contemporanei, libero dalle dottrine imposte dalle discipline. Poeta e Artista.
Così nel maggio 2016, Michel Butor è tornato in Italia, a Milano, dove con la sezione primaverile Michel Butor. L’opera giardino, abbiamo festeggiato in quel Giardino i cinquanta anni della prima pubblicazione italiana (ma sessantadue dalla prima uscita francese con Les Éditions de Minuit) di Passage de Milan.
Il giardino quasi segreto nel cuore di Milano, accanto a Villa Reale, è stato la cornice al pensiero arborescente di Michel Butor. L’incontro con gli studenti dell’Università degli Studi di Milano ha chiuso questa sezione, suggellata da Périple transalpin, la mostra foto-letteraria che con il suo itinerario espositivo è, in puro spirito butoriano, un meccanismo di risveglio e di collegamento tra persone, geografie, storie.
La seconda parte, nell’inverno 2016/17, coincide con l’uscita di questo progetto editoriale e l’inaugurazione della mostra fotografica Escales visuelles all’Institut Français di Milano. Escales visuelles è la mostra foto-letteraria che comprende rare immagini fotografiche di città e luoghi, realizzate da Michel Butor negli anni Cinquanta e Sessanta, insieme a fotografie di viaggio realizzate a partire dagli anni Settanta della moglie Marie-Jo, significativamente accompagnata da interventi calligrafici di Michel Butor.
La vocazione formativa/pedagogica/artistica conservata e difesa negli anni da questo progetto, è evidente e si conferma anche qui, nel libro e nel dvd che costituiscono Michel Butor. L’univers géopoétique. A dimostrare che cultura e arte possono generare esperienze, e che queste esperienze possono contrastare il disprezzo con cui le politiche attuali guardano alla scuola, alla formazione, ai giovani».

Michel Butor muore il 24 agosto 2016, nella clinica di Contamine-sur-Arve, a pochi chilometri da Lucinges, la piccola cittadina tra le Alpi dell’Alta Savoia che egli ha scelto come casa e che ha chiamato “à l’ècart”.

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE