DA ARIMINUM A OGGI

IL COLOPHON
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10 min readAug 3, 2018

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La storia di Rimini raccontata attraverso i libri. Di Manuela Angelini

I turisti che giungono a Rimini attratti dal mito dei gelati e le bandiere cantato da Fabrizio De Andrè, o da quello del divertimentificio (neologismo coniato da Camilla Cederna negli anni Ottanta) quasi sempre non sanno che la città ha un centro storico.
Vi si arriva oltrepassando la ferrovia e andando verso monte. Dimenticando le migliaia di alberghi pensioni e residence che affollano la zona mare, Rimini svela la sua storia antica che affonda le radici nei tempi dei Romani.
Come si legge sul sito del Comune, «nel 268 a.C. il Senato di Roma decretò la fondazione della colonia di Ariminum, nome tratto da quello del fiume Marecchia (Ariminus), così che il toponimo significa “la città sul Marecchia”. La colonia era una sorta di repubblica autonoma, alleata di Roma, ma priva della cittadinanza romana: caratteristiche proprie di una colonia “di diritto latino”. Solo attorno al 90 a.C., la città entrò a far parte a pieno titolo dello stato romano come municipium».
Di queste antichissime origini qualcosa è rimasto nei monumenti che punteggiano il centro, e molto è stato scritto in numerosi saggi di studiosi locali.
Va citato, tra questi, il recente Storia di Rimini (Il Ponte Vecchio, 2015) in cui Angelo Turchini — in collaborazione con Cristina Ravara Montebelli — racconta le vicende cittadine Dalla preistoria all’anno Duemila, come recita il sottotitolo. Merita una segnalazione anche il volume collettaneo omonimo Storia di Rimini (Bruno Ghigi editore, 2004) con una presentazione di Anna Falcioni, in cui si indaga Dall’epoca romana a capitale del turismo europeo. All’editore Luisè va invece riconosciuto — tra gli altri — il merito di avere ristampato nel 1993, la pubblicazione Guida del forestiere nella città di Rimini scritto nel 1864 dall’allora bibliotecario Luigi Tonini. Un volumetto assai significativo nella bibliografia cittadina, che rappresenta la prima guida “moderna” di Rimini.

La Biblioteca Gambalunga e l’Enciclopedia Britannica
Luigi Tonini, si diceva, era bibliotecario a Rimini nell’Ottocento. Sita nel Palazzo Gambalunga nell’omonima via, la Biblioteca Gambalunga ha anch’essa una storia da raccontare. Si tratta infatti di una delle prime biblioteche pubbliche italiane, aperta a tutti i cittadini fin dal 1617, come da disposizioni testamentarie del suo creatore, Alessandro Gambalunga. Morto due anni dopo, il Gambalunga lasciava un grande patrimonio di volumi, codici e incunaboli.
Sulla Biblioteca civica e sulle sue collezioni ha dedicato studi e mostre Oriana Maroni, che molto ha scritto anche su personaggi della storia cittadina dei quali la Gambalunga conserva memorie, archivi e biblioteche familiari.
Saltando dal 1600 al 1800, si scopre che tra la fine di questo secolo e l’inizio del Novecento, Rimini viene citata nella prestigiosa Enciclopedia Britannica. Merito del giornalista e illustratore francese Charles Yriarte che arriva in Italia nel 1860 al seguito di Garibaldi. Girando per la penisola, scopre Rimini, “nota al mondo per la tragedia di Paolo e Francesca” e per il Tempio Malatestiano “così strano”. Yriarte scrive un libro sull’Italia corredato da disegni, che diventerà una sorta di baedeker per i viaggiatori inglesi e americani dell’epoca, e grazie anche a questo testo Rimini trova spazio nella Encyclopædia Britannica. Affascinato dalla storia delle signorie italiane, Yriarte nel 1882 pubblicò anche un corposo volume (ristampato nel 2003 da Raffaelli editore, con la traduzione di Moreno Neri) dedicato a Rimini. Un condottiero del XV secolo. Studi sulle lettere e le arti alla Corte dei Malatesta.
Dalla Francia al Canada l’interesse per Sigismondo travalica i confini e arriva lontano. È del 2016 il volume di Anthony F. D’Elia, docente alla Queen’s University di Kingston (Ontario) che nei giorni scorsi ha presentato a Rimini il suo libro Pagan Virtue in a Christian World: Sigismondo Malatesta and the Italian Renaissance (Harvard University Press).

Sigismondo e Isotta, un amore (in)finito
Oreste Delucca, forse il maggior esperto del Medioevo riminese, ha recentemente dato alle stampe due libri, entrambi pubblicati da Bookstones, Sigismondo Pandolfo Malatesta controverso eroe (2016) e Isotta degli Atti. L’amore e il potere (2017). Nel primo si ripercorrono le vicende del personaggio riminese più famoso dei tempi antichi. Nato a Brescia nel 1417, fu signore della città e fin da giovinetto combattè per difendere Rimini dagli attacchi delle truppe pontificie e dei tanti altri nemici (Federico da Montefeltro, in primis) che volevano conquistarla e farla propria. Indomito e duro guerriero, amò la cultura e la bellezza e seppe valorizzare l’arte nelle opere che fece erigere durante il suo dominio.
Tra queste, la più significativa è sicuramente il Tempio Malatestiano (che i riminesi chiamano Duomo). Grazie all’intervento di Leon Battista Alberti, Sigismondo trasformò la preesistente semplice chiesa di San Francesco nella cattedrale capolavoro del Rinascimento. All’interno del Tempio, operarono Matteo de’ Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca. Quest’ultimo dipinse il celebre ritratto del condottiero inginocchiato davanti a San Sigismondo.
In vari punti del Tempio si possono ammirare le due lettere intrecciate S e I che i più romantici attribuiscono all’amore di Sigismondo per la terza moglie Isotta. Più prosaicamente, pare invece che S e I siano semplicemente le due lettere iniziali del nome del signore di Rimini, e a questo e null’altro si riferiscano. Per i turisti che, come si diceva sopra, osano abbandonare la battigia — magari in un giorno di pioggia — per avventurarsi all’interno delle mura, il “duomo” riminese merita una visita anche solo per vedere il grande crocifisso di Giotto appeso sopra l’altare principale.
Sul Tempio, ex multis, si può leggere il volume di Pier Giorgio Pasini Il Tempio malatestiano. Splendore cortese e classicismo umanistico, con introduzione di Antonio Paolucci e regesto documentario di Oreste Delucca (Skira, 2000).
Sulle vicende dei Malatesta, romagnoli e marchigiani, moltissimo ha pubblicato, negli anni passati, l’editore Bruno Ghigi che ha dato vita alla collana di poderosi volumi dalla copertina rosata, curata da Anna Falcioni. Al momento ne risultano editi oltre venti.

Francesca da Rimini, anzi da Ravenna
Con un salto all’indietro di un paio di secoli, si atterra al 1200, più precisamente al 1275 quando — sembra — si celebrarono le nozze (di interesse, come avveniva all’epoca) tra la ravennate Francesca da Polenta e il riminese Gianciotto Malatesta… e sempre di Malatesta si parla, in quel di Rimini. La leggenda vuole che la fanciulla si innamori di Paolo, il fratello belloccio dello sposo e quest’ultimo, scopertili insieme, li uccida in preda alla gelosia. Della vita reale della giovane Francesca si sa ben poco e molto di quello che è stato tramandato nei secoli si deve a Dante Alighieri che nella sua Commedia, al Canto V dell’Inferno, racconta a suo modo la passione sfortunata dei due innamorati. Una ricostruzione accurata della storia è stata scritta da Ferruccio Farina e si può leggere nell’e-book Francesca da Rimini. Sulle tracce di un mito (Romagna Arte e Storia, 2006). All’impegno di Farina si devono anche i tanti convegni con eminenti studiosi internazionali, svoltisi negli anni passati in città e dedicati all’amore tra Paolo e Francesca.

Dall’antico al presente, dall’arte alla politica
Tra leggende e curiosità si muove il libro di Vera Bessone e Federico Maria Muccioli intitolato I misteri di Rimini tra storia e memoria (Il Ponte Vecchio, 2014). Con tono leggero, il volume racconta episodi poco conosciuti e noti personaggi del passato e del presente — da Giuseppe Garibaldi a Federico II di Svevia, da Carlo Goldoni a Martin Scorsese ed Eleonora Duse — che in tempi e modi diversi ebbero a che fare con la città.
E visto che alla contemporaneità più o meno ci siamo arrivati, occorre citare, almeno di sfuggita, l’industria delle vacanze che ha reso Rimini famosa fin dall’Ottocento. Il primo stabilimento balneare fu aperto nel 1843, mentre nel 1873 si inaugurava il Kursaal, la palazzina in stile orientaleggiante con annesse piattaforma e “Capanna svizzera” che ospitavano le feste dell’aristocrazia dell’epoca. Eh sì, perché se oggi Rimini è nota come capitale del turismo di massa, nella seconda metà dell’Ottocento, i “bagnanti” erano personaggi del bel mondo, ricchi signori italiani e non, che arrivavano in città per soggiorni di cura e divertimento. Una tipologia di vacanza che caratterizzò anche i primi decenni del Novecento. Poi le due guerre mondiali e i giganteschi cambiamenti che stravolsero la vita e la società dell’epoca. Per quanto riguarda il turismo, Antonio Montanari nel suo saggio Dall’Italia all’Europa, 1859–2004 apparso nel volume Storia di Rimini citato sopra (Bruno Ghigi, 2004) ricorda che il Kursaal nel 1948 «fu distrutto dalla volontà di scrivere una nuova pagina politica durante la ricostruzione, quando rappresentava “la scomoda memoria storica di una attrezzatura d’élite”. Lo demolirono gruppi di disoccupati guidati da sindacalisti, così come fecero in centro con la parte sopravvissuta del teatro Vittorio Emanuele II».
Di politica e turismo tratta anche Sergio Gambini nel suo Più grande e più bella. Rimini 1948–1958: i comunisti che scoprirono la capitale europea del turismo (Pietroneno Capitani editore, 2005) con prefazione di Sergio Zavoli. Sempre dello stesso editore, ma firmati da Paolo Zaghini, due libri sulle vicende della politica locale, La federazione comunista riminese (1949–1991) e I politici locali. Consiglieri, assessori e sindaci del riminese (1946–2001). Il primo edito nel 1999, il secondo (scritto con Gianluca Calbucci) nel 2002.

Turismo, economia, urbanistica
Della Rimini balneare e dell’industria del turismo si sono occupati vari studiosi con numerosi saggi. Tra i tanti citiamo, di Ferruccio Farina, Una costa lunga due secoli. Storia, costume, immagini della Riviera di Rimini dalle origini ai giorni nostri (Panozzo, 2003) in cui si trova anche materiale iconografico dell’epoca. Nello stesso anno, per i tipi di Franco Angeli editore, è uscito anche Rimini e il turismo. Saggi sul distretto turistico più famoso d’Europa di Alberto Rossini. Sempre per Franco Angeli, ma nel 2002, si segnala il saggio di Giancarlo Dall’Ara La storia dell’industria turistica riminese vista attraverso 50 anni di strategie.
Di vacanze, divertimento, qualità della vita hanno scritto Stefano Pivato e Anna Tonelli in Italia vagabonda. Il tempo libero degli italiani (Carocci, 2004).
Più in generale, sulle vicende economiche della città, Vera Negri Zamagni ha curato il saggio collettaneo Sviluppo economico e trasformazione sociale a Rimini nel secondo Novecento (Pietroneno Capitani, 2002) e specificamente sul tema urbanistico sono da segnalare i volumi dell’architetto Fabio Tomasetti di cui si ricorda il recente Superare Rimini. Pionieri dell’area vasta. Il Pic, Piano intercomunale riminese 1963/1975 (Il Ponte Vecchio, 2017). E non sembri fuori luogo citare l’urbanistica in questo contesto. Nel racconto di Rimini, la costruzione della città ha un ruolo non secondario. Basti pensare al termine “riminizzare”, che apparve nei dizionari alla fine degli anni Ottanta, a significare la deturpazione del paesaggio causata da una eccessiva cementificazione. Se ne parla, tra gli altri, nel volume Il turismo in Italia e in Emilia Romagna. Dall’ordine sparso alla geometria variabile (Aa.Vv., Franco Angeli editore, 2010).

Tra le note, sotto le macerie e in cucina
Tornando velocemente in territori più consueti, il racconto di Rimini è strettamente legato all’arte e alla cultura. E se di arte qualcosa si è detto, va menzionato anche l’ambito musicale e i suoi rappresentanti. Amintore Galli (nato nel 1845 a Perticara, paesino nell’entroterra e morto a Rimini nel 1919), ad esempio, a cui è intitolato il teatro cittadino. Musicista di medio livello, raggiunse la fama musicando, nel 1886, l’Inno dei lavoratori, su testo di Filippo Turati.
Di altri musicisti locali più o meno noti, del passato e del presente, si scoprono le vicende leggendo gli scritti di Guido Zangheri (per molti anni direttore del locale Istituto superiore di studi musicali “Giovanni Lettimi”) sul bimestrale Ariminum. Edita dal Rotary Club Rimini, la rivista, che ha festeggiato nel 2018 i suoi 25 anni di vita, ha pubblicato e continua felicemente a pubblicare articoli su Storia, arte e cultura della provincia di Rimini, come recita il sottotitolo. Tra le firme Giovanni Rimondini, Angela Fontemaggi, Orietta Piolanti, Alessandro Giovanardi, Giulia Vannoni, Gianfranco Miro Gori…
Direttore della rivista è Manlio Masini, autore di innumerevoli saggi sulla Rimini degli ultimi due secoli, quasi tutti pubblicati da Panozzo, l’editore che più sta dedicando attenzione alla storia e microstoria locali. I titoli della casa editrice fondata da Massimo Panozzo nel 1981 si contano a centinaia e approfondiscono, nelle varie collane, i tanti aspetti della vita della città, attraverso biografie, indagini sui luoghi, memorie e curiosità. Davvero tra i tantissimi, citiamo i best seller La Rimini che non c’è più, tre volumi di Arnaldo Pedrazzi su edifici e monumenti distrutti dalla guerra, dall’incuria, dal tempo. Fresco di stampa (è uscito nel 2017) sulla storia recente, il volume collettaneo curato da Fabio Bruschi A Rimini il ’68 degli studenti. Storia di un inizio.
Una tematica che trova spazio nei tipi di Panozzo è la gastronomia, attraverso libri di ricette e di storia della cucina e dell’alimentazione. Tra gli autori che hanno scritto in merito, non si può non citare Piero Meldini, saggista e romanziere la cui fama ha da tempo travalicato i confini cittadini.

Due curiosità e una precisazione
A conclusione di questa anomala e personalissima carrellata di libri, autori e storie a tema riminese, due segnalazioni, diversissime.
La prima riguarda il saggio Rimini Enklave. 1945–1947 (Clueb, 2005), a cura di Patrizia Dogliani. Il volume racconta dei campi, gestiti dagli alleati, in cui furono internati i prigionieri tedeschi nel periodo che va dal maggio 1945 alla primavera 1947. Uno dei più grandi di questi campi si trovava a Miramare di Rimini e in esso transitarono decine di migliaia di prigionieri, mentre nell’intero complesso dell’Enklave romagnola passarono circa 300 mila soldati germanici. Uno degli aspetti più interessanti di questa vicenda (svelata per la prima volta nel 1999 da Alessandro Agnoletti) è rappresentato da quello che fu forse il primo tentativo di denazificazione e democratizzazione dei prigionieri tedeschi su suggerimento britannico, messo in atto attraverso il giornale del campo, Die Brücke (Il Ponte), scritto e pubblicato dagli stessi prigionieri.
La seconda segnalazione ci riporta ancora una volta al Tempio Malatestiano, infinita fonte di sorprese. In uno dei sarcofagi posti sul fianco sinistro dell’edificio riposano le spoglie del filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone (1355–1452) le cui ossa Sigismondo volle portare a Rimini e collocare nel “suo” tempio. Una scelta che ancora una volta indica l’interesse per la cultura del signore di Rimini e insieme la fascinazione subita per la dottrina neoplatonica propugnata dal filosofo. Di Pletone si è recentemente occupato Moreno Neri, curandone per Bompiani nuove traduzioni commentate.
Infine la precisazione. Chi conosce la storia di Rimini e ha letto questo articolo, ha ben compreso che le mancanze sono più delle citazioni. E che alcune tematiche sono state completamente e talvolta volutamente omesse. Mi scuso con i tanti studiosi che non ho avuto modo di citare (ci saranno, spero, altre occasioni) e per le inesattezze che, di certo, ho involontariamente commesso.

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE