EDITORIA “GLOCAL”, DA RIMINI AL PRINT ON SALE

IL COLOPHON
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8 min readAug 3, 2018

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Intervista a Mario Guaraldi. Di Sanzia Milesi

Casa editrice è nell’immaginario di molti sinonimo di grande azienda da hinterland milanese; editor, impiegati, grafici e operai in catena di montaggio a sfornar best seller da milioni di copie (e altre al macero). Così sempre non è, e ne sappiamo qualcosa noi, immateriali laurentini d’adozione, sparsi in ogni dove per Antonio Tombolini Editore.
Piace allora ritrovare — in questa industrializzazione del pensiero che ovviamente ci vede consumatori di libri, più che lettori — la storia di una editoria “faticosa”. Quella che nasce da un gruppo di amici, intellettuali al bar che osano condividere il loro pensiero ribelle e per questo cercare un pubblico. Quella che sa anticipare traiettorie e questioni, ma anche seguire le evoluzioni dei tempi. Quella legata ad una città, provinciale e magnifica come Rimini, che si ama e si “odia”, da cui si è amati e “odiati” al contempo. Quella slegata da tutto, da un luogo e anche dalla stessa carta. Perché — pace all’anima di McLuhan — qui non è “il medium è il messaggio” e i testi si librano dalle pagine al web, per poi ritornare e mille volte riperdersi. E lì, dove “verba volant, scripta manent” e l’oralità ci ha consegnato la parola scritta, quelle scritte noi le porteremo ovunque. Su qualunque formato, purché continuino a parlare.
«Sono l’opposto dell’anima riminese, quello condannato alla damnatio memoriae dalla sua città» esordisce allora Mario Guaraldi, editore classe 1941 con il piglio non convenzionale di chi “intellettuale organico” non lo è stato mai. Poi si racconta…

Come ha avuto inizio l’attività editoriale che ancora porta il suo nome?

«La casa editrice nasce, precocemente, grazie a un gruppo di amici riminesi della mia generazione, che è quella del Dopoguerra, appassionati di letteratura come me: Giuseppe Bonura, giornalista culturale per Avvenire; lo scrittore Piero Meldini; il pittore Vittorio D’Augusta e altri. Eravamo allora un gruppo di ventenni che si ritrovavano in centro a Rimini vicino al Tempio di Sant’Antonio al “Bar Turismo”, com’è nella classica iconografia dei gruppi letterari che si riunivano e nascevano nei bar. Nel 1962 abbiamo dato vita ad una rivista letteraria, che abbiamo chiamato Satori, in sintonia con quella filosofia zen che allora ci affascinava anche in virtù delle esperienze misticheggianti degli scrittori della Beat Generation con cui eravamo in contatto. A quei tempi Meldini riuscì a ottenere un piccolo finanziamento per far uscire un libriccino sulla Resistenza, in cui avevamo pensato di chiedere a ragazzi come noi — cresciuti oramai nel Dopoguerra, ossia in quel silenzio ricostruttivo dove tutti pedalavano per rimettere in piedi il proprio lavoro, la propria casa, i propri affetti… — di inventarsi dei racconti sulla Resistenza [n.d.r. il volumetto è uscito nel 1964 con il titolo Non più leggenda. Racconti della Resistenza di ieri e di oggi]. Così è stato, e quando mi sono ritrovato in tipografia a comporre a mano quel libriccino — come si usava una volta, ossia componendo parola per parola coi caratteri a piombo, come ai tempi di Gutenberg — bene, fu allora che mi accorsi che il mio racconto era il più brutto di tutti e fu così che compresi che la mia vocazione era quella di far l’editore piuttosto che lo scrittore. A soli vent’anni, dal mio orgoglio ferito, la mia strada divenne quella di valutare i libri scritti da altri, più che scriverne dei miei (cosa che comunque nella mia vita ho poi fatto)».

Una lunga avventura, con alcuni eventi salienti tra gli altri…

«Quello decisivo fu il mio incontro con Federico Fellini a Roma all’Eur. Lo racconto spesso e questo evento ha anche per me assunto i tratti del romanzesco, ma così realmente andarono le cose. Ci siamo incrociati in una piazza quel giorno deserta. Ci siam guardati e lui mi ha detto: “Sei di Rimini?”. Proprio così ha detto. Perché i riminesi si annusano a distanza. A quei tempi la casa editrice aveva sede a Firenze e si era nel pieno delle contestazioni del movimento studentesco. Pubblicai allora un libro — Il libretto rosso degli studenti scritto da due svedesi — che fece scandalo e venne sequestrato e per cui mi beccai anche una condanna di tre mesi e mezzo per istigazione alla prostituzione. Successivamente, lo ripubblicammo, lasciando bianche le pagine incriminate, ma arricchendo il testo della prefazione proprio di Federico Fellini. E questo fu l’antefatto che diede origine ad un rapporto molto stretto tra noi, tanto che nel 1983 organizzai al Grand Hotel di Rimini il “Fellini’s day” per l’anteprima in città del film E la nave va. E fui io a raccomandare l’istituzione di una Fondazione a lui intitolata per raccogliere tutta l’eredità felliniana, dalle pellicole ai set, ai backstage e le tesi di laurea scritte in ogni parte del mondo. Lo feci ancora lui presente, lui vivo. Ma si innescò la solita pretesa della politica di gestire tutto senza alcun rispetto dei contenuti culturali. Non c’è stata alcuna intelligenza nel capire che la cultura è invece utile proprio nella sua completa autonomia di critica e libertà. E Fellini, da gigante di portata internazionale, è stato trasformato a una macchietta di Amarcord».

Dalla sua nascita nel 1971 a oggi come si è evoluto il lavoro della casa editrice?

«La doppia matrice Rimini/Firenze è stata una costante fin dall’inizio. Rimini come sede legale e Firenze come sede operativa. Ma il rapporto con Rimini è sempre stato molto forte. La redazione riminese era infatti composta da cari amici, come Meldini, che fu affianco a me per lungo tempo. Una delle nostre principali collane fu appunto quella dedicata alla psicoanalisi, così come “Le frontiere dell’educazione” con cui uscirono una novantina di titoli in campo educativo che furono anticipatori di cambiamenti epocali. Come I pampini bugiardi: indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole elementari a cura di Marisa Bonazzi nel 1972, con introduzione di Umberto Eco, in cui si auspicava l’abolizione dei libri di testo a scuola. Tra i primi titoli pubblicammo inoltre Il calcio come ideologia di Gerhard Vinnai in cui era contenuta la premonizione dell’organizzazione dei futuri partiti politici mutuata dalle società calcistiche. I nostri tre temi principali erano appunto psicoanalisi, educazione e politica, quest’ultima con la collana “Ipotesi”. A quei tempi pensavamo si potesse rivoluzionare tutto. Uscimmo con La terra a chi lavora! di Winstanley Gerrard, Libertà di stampa e censura di Karl Marx… Ritenevamo molto seriamente che le tematiche sovrastrutturali — quali cultura, stampa, costume, grafica, media, pubblicità… — fossero in quest’epoca moderna più importanti delle tematiche strutturali come mezzi produttivi e capitali. Una rivalutazione del controllo dei media rispetto al controllo sulle fabbriche. E Berlusconi deve esser stato un nostro attento lettore…»

Torniamo a Rimini e al catalogo della Guaraldi rispetto alla “sua” città. Per un editore che a un certo punto diventa “immateriale”…

«Le stesse tematiche le declinavamo in una “logica cittadina”. Ad esempio, con una collana, che è ancora disponibile, intitolata “Novecento Riminese”, una cinquantina di titoli in totale, in cui le radici di questa città vengono affrontate per ogni aspetto. Il tentativo è stato quello di consentire la maggior diffusione possibile di queste opere e per questo abbiamo contattato le aziende del territorio affinché regalassero una copia di un libro ad ogni loro operaio. Volevamo trovare ditte evolute, in grado di fare cultura, comprando libri invece che panettoni per la strenna di Natale ai propri lavoratori. Diffondendo così in modo capillare tematiche importanti, legate al posto in cui loro stessi vivono. Proponendo una vera “cultura industriale”, per così dire. Ma non tutti gli imprenditori sono illuminati come Olivetti. E qui veniamo anche al tema della rivoluzione digitale e della nostra nuova impostazione. La vecchia editoria cartacea vive di fama derivata dagli altri media. Ed è quindi costretta alla logica dell’immediata fruibilità e quindi gioco forza della banalità. Si predilige un contenuto già recepito altrove in maniera massificata rispetto invece a quella che una volta era la vecchia editoria di ricerca. Un’editoria che però per essere colta aveva bisogno, ad esempio, che librai intelligenti proponessero quei determinati libri alle persone che sapevano esserne interessate. E oltretutto questi titoli necessitavano di tempo, di stare mesi sui banchi delle librerie. Tutto ciò in netto contrasto con la logica bulimica del Dopoguerra che ha portato, oggi, ad appena tre giorni il tempo medio di un titolo sul bancone. Non ci è restato allora che gridare che “il Re è nudo!” Nell’attuale distribuzione massificata escono all’incirca 60mila nuovi titoli per 600 “vere” librerie di cui solo 300 fanno l’80% del fatturato. È come versare il mare in un pentolino. Insomma, abbiamo una produzione bulimica e un circuito commerciale del “cartaceo” decisamente asfittico (tanto più se pensiamo che il 90% delle librerie fa capo a 5/6 “padroni”, dunque in un regime quasi di monopolio). Questo ci portò ad essere tra i primi a diffondere contenuti svincolati dalla sua forma. Un’idea — quella dei libri digitali, non vincolati alla carta — che è stata per altro anche quella dello stesso Antonio Tombolini, con cui abbiamo organizzato assieme i primi Book Camp. C’è stata una grande ubriacatura su questo tema e ci abbiamo tutti molto sperato che gli ebook potessero essere la soluzione vincente. Ma in realtà la distribuzione digitale vive la stessa massificazione che vive la distribuzione cartacea. Prova ne sia il fatto che la top 100 di Amazon contiene testacci di infimo ordine. Il sogno si è infranto».

Ma non perdiamo le speranze…

«Il futuro è tutto da disegnare. La mia ultima passione è quella del “Print on Demand”. Un Print on Demand che spesso è confuso con il Self Publishing oppure con l’editoria a pagamento, ma non si tratta di questo. Più correttamente sarebbe opportuno parlare di “Print on Sale” perché il libro va in stampa dopo che è già venduto. Parlo quindi di contenuti digitali già organizzati e impaginati, sfogliabili online a costo zero. Se sei interessato, tu li ordini e io li stampo. Amazon fa già così, il 30% dei suoi libri sono realizzati in questo modo. Un esempio, anche per tornare a Rimini. Su Amazon come Guaraldi rendiamo disponibile De Re Militari di Roberto Valturio, il primo libro illustrato e composto con caratteri mobili ante-litteram della storia della stampa e il primo trattato tecnico sugli armamenti edito alle soglie del Rinascimento. Un testo nato dal riminese Valturio, che operava su commissione alla corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, e e per questo si tratta di un volume altamente rappresentativo e simbolico per la città di Rimini. La nostra versione del 2018 è la traslitterazione di quell’incunabolo del 1492. Per il “giovane editore” profeta del Print on Demand che sono diventato in pieno ventunesimo secolo, a 77 anni suonati, mi ritrovo così per la seconda volta a rendere omaggio a questo testo che per la terza volta vede la luce, ora in versione Print on Sale. Il nostro lavoro, ciclopico, è stato quello di decodificare i caratteri e trascrivere parola per parola, sciogliendo i nodi dell’ostico latino tardo medievale in cui il testo è composto, anche grazie ad un programma di scansione OCR appositamente istruito, rendendo la lingua corrente e il PDF indagabile. Un progetto che abbiamo a dire il vero iniziato alcuni anni or sono, in collaborazione anche con la Biblioteca Ambrosiana di Milano, con un libro scelto ai tempi da Bill Gates. Ma torniamo a Valturio. Questo testo, una volta ordinato su Amazon, viene stampato sulla prima macchina libera, al mondo. Ecco cosa significa oggi una diffusione davvero planetaria. Spero sia ormai chiaro a tutti che il libro è il suo contenuto, non la sua forma (carta, e-Book Pdf, e-Pub, audiolibro, DVD…). È questo essere multiforme la vera specificità dell’attuale editoria».

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE