EMMANUEL CARRÈRE, UN UOMO CHE RACCONTA L’UOMO

IL COLOPHON
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7 min readDec 11, 2017

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tra cronaca e biografie, letture per lettori voyeuristi di Angela De Rubeis

Raccontare la vita degli altri sembra — con i suoi occhi — qualcosa di meravigliosamente bello. Perché andarsi a inventare delle storie quando la storia è disseminata di vite assurdamente interessanti e da realtà che aspettano solo di essere guardate e raccontate?
Sceneggiatore, giornalista, scrittore e regista, Emmanuel Carrère è una delle voci più briose del panorama letterario e artistico della Francia contemporanea. I suoi reportage vengono pubblicati dalle testate più autorevoli del pianeta, i suoi libri tradotti in altrettanti pezzi di mondo.
Scrittura asciutta e ritmo perfetto, nei suoi libri — siano essi romanzi, biografie o un mix tra romanzo e inchiesta giornalistica — si respira aria di realismo e di personalismo. Le storie sono come lui le vede e lo dichiara candidamente. Nello scrivere L’Avversario, una delle sue opere più note, ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto, dichiara di aver fatto diverse prove prima di approdare allo stile espositivo scelto: in un primo momento scrive in prima persona, ma non funziona. Nella seconda stesura prova a diventare voce dell’amico del protagonista, ma neanche questo funziona. Alla fine racconta il fatto così come lo ha visto lui stesso: “L’unico modo che sono riuscito a trovare è stato il mio reale punto di vista”.
Le sue biografie hanno in oggetto personaggi al limite, da non capire se sono pazzi o no, se sono terroristi di destra o no, se hanno fatto cose orribili o no.
Nei romanzi, eventi della sua vita si intrecciano con quelli delle vite degli altri. Famiglia e fidanzate (Vite che non sono la mia, La vita come in un romanzo russo) sono pozzo dal quale attingere, alla stregua di cronaca e storia. La Russia è un altro pozzo. Limonov è la biografia di un politico punk, dissidente russo e scrittore che ha lasciato a lungo il suo Paese — ha vissuto in Europa e negli Stati Uniti — per tornarci in veste di oppositore di Putin e di appassionato esponente del partito nazionalista. L’influenza russa di Carrère arriva da lontano. La madre, infatti, è una storica molto quotata specializzata in Russia e Stalinismo, mentre il nonno materno — traduttore per i tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale, disperso nel 1944 — era un nobile russo di origine georgiana. La vita come in un romanzo russo inizia proprio con Carrère che fa un viaggio, verso la patria del nonno scomparso alla ricerca delle radici nascoste della sua famiglia materna.
Ma torniamo in Francia e alla storia che lo ha reso più famoso: L’Avversario (diventato anche un film, L’Amore sospetto). Stiamo parlando di un libro molto emozionante, per un lettore con tendenze voyueriste che non teme la mancanza di lieto fine. Partendo da un fatto di cronaca, Carrère intreccia una fitta corrispondenza epistolare con un serial killer finito all’ergastolo. Ma andiamo alla storia. È il 1993, Jean-Claude Romand, 38 anni, è un padre di famiglia che per vent’anni — l’equivalente della sua vita da uomo adulto — ha finto di essere un medico. Un finto impiego a Ginevra, all’Oms, lo spinge ad uscire di casa tutti i giorni, per andare a svolgere una finta mansione di una certa importanza. Il risultato di questa esistenza sono due milioni di franchi di debiti accumulati tra prestiti fatti dai genitori e somme di denaro prestate da parte di amici e conoscenti, amante compresa. Un castello di carte fatto di menzogne e debiti che Romand non riesce più a gestire e che decide di far crollare con l’omicidio di tutta la sua famiglia: padre, madre, moglie e due figli; e un suicidio non andato a buon fine.
È un libro duro, dove situazioni morbose si svelano in uno stile di scrittura giornalistico che non gira intorno alle parole ma che arriva subito al sodo. Il tema dell’uomo che finge di essere qualcun’altro non è nuovo, ma nuovo è il processo di scrittura della storia. Carrère ci mette dieci anni esatti a tirar fuori quest’opera. Dieci anni sono passati da quando ha letto per la prima volta la notizia sul giornale, dieci anni che si sono consumati tra il processo, le lettere tra lo scrittore e l’omicida e la decisione di scrivere qualcosa. Quando Carrère ha chiesto a Romand il permesso per scrivere L’Avversario lui ha risposto: “Scrivilo, perché voglio anche io capire quello che mi è successo. Magari tu scrivendolo riesci a capire le mie ragioni, perché io non le ho capite”. Questa frase svela un carattere che viene fuori in tutto il libro. Nessuno capisce perché Romand dovesse arrivare a quel tragico epilogo. Perché non proseguire una vita da fallito bugiardo piuttosto di trucidare l’intera famiglia? L’antipatia per quest’uomo palpita, pagina dopo pagina, sino alla fine quando ci si rende conto che a pagare per le menzogne di una vita sono stati tutti tranne lui. Persone innocenti e fregate sono morte, lui no. Questo rende il personaggio antipatico, ma soprattutto lo mette in dubbio: quanto è stata reale la volontà di togliersi la vita? Romand l’ingannatore ce l’ha messa davvero tutta per uccidersi? Oppure ha tirato a tutti il suo ultimo tiro mancino? Fuori dalle pagine scritte è successa la stessa cosa. Nel 2015 quando si è ipotizzata un’uscita per buona condotta, dopo 22 anni di segregazione e un ergastolo ancora da scontare, i francesi — non solo si sono interrogati sulla reale volontà del suicidio — hanno cominciato a discutere sul cattivo gusto del suo essere in vita. Dall’altra parte si trovano un Romand che dichiara ai quattro venti il suo amore per la vita e la sua voglia di viverla sino in fondo per espiare le sue colpe. Una situazione molto complessa che emoziona e divide e che nel libro avevamo già letto in una stesura magistrale. Ci sono punti nei quali non si capisce se la storia sia vera o no, ci sono intrecci strani tra i due con epistole (saranno vere?!) nelle quali Romand parla di un libro di Carrere che ha amato tanto — La settimana Bianca, ultima opera romanzata dello scrittore francese — che ha come protagonista un pauroso bambino che mente per 140 pagine e che custodisce un drammatico segreto familiare. Che non si sia riconosciuto, Romand, con quel piccolo Nicolas che pur avendo l’aria di bimbo normale vive notti da incubo e un rapporto morboso con un libro di mostri che secondo lui potrebbero diventare reali? L’apprezzamento di Romand per la disgrazia di un bimbo fragile e vittima dei suoi mostri è un ulteriore finzione del protagonista dell’Avversario?
Un’interrogativo che non avrà risposta ma che alimenterà ancora il dubbio sul reale pentimento di Romand.
Ma Jean-Claude Romand non è che uno dei protagonisti reali dei libri dell’autore francese. Limonov è suo illustre collega. Stiamo parlando del titolo di Carrère più venduto nel mondo, storia di Eduard Limonov dissidente russo dall’aspetto punk e simpatie nazionaliste. Leggere Limonov è immergersi in un mondo altro.
Nel 2012, a libro appena uscito in Italia, il giornalista Bernardo Valli scriveva: “Lo si può chiamare come si vuole: racconto, romanzo, biografia, e, perché no?, reportage. In fondo è la lunga descrizione di un personaggio reale: una canaglia, un poeta, un ladro, un donchisciotte, un vagabondo e tante altre cose ancora; un vigliacco ma anche un eroe romantico; un amico dei deboli ma anche un rivoluzionario nazional-bolscevico che puzza di nazi- fascismo nella bolgia postcomunista; un complice a Sarajevo degli assassini serbi ma anche un detenuto leale, coraggioso; e, ancora, un avventuriero del sesso dedito a tutte le esperienze: capriccio, amore, interesse, performance erotico — atletica”.
Questo è Limonov , un eroe con “una vita di merda” — lo ha dichiarato lui stesso — e idee chiare che trasforma nelle sue ragioni agli occhi del lettore. Molto interessante ripercorrere la storia di un Paese pieno di contraddizioni, il passaggio dall’Unione Sovietica alla Russia che si palesa nel turbinio del trash: sentimenti, amore, sesso e guerra in salsa pulp. Gli anni ’90 e il collasso del grande gigante comunista si svelano in un libro antropologico e avvincente.
Un capolavoro. Così arriviamo al 2015 e all’ultimo libro pubblicato in Italia, Il Regno, che parla del rapporto tra Carrère e la religione, del suo avvicinamento al cristianesimo divenuto poi ateismo. Tagliato come fosse un reportage, l’autore si mette in viaggio sulla strada di Luca e Paolo, raccontando i principali fatti di “quella piccola setta ebraica che sarebbe diventata il cristianesimo”. Un libro di storia della religione scritto come se fossero quei protagonisti a raccontarlo, ma carico zeppo della personalissima avventura religiosa dell’autore. Pieno di aneddoti molto personali, lettere scambiate tra lui e la ex moglie, incontri con preti e religiosi (come padre Xavier), la psicanalisi con Madame C; è la cosa più vicina a un’autobiografia che il francese abbia mai scritto, e dire che di cose autobiografiche ha disseminato quasi tutte le sue opere.
“In verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi.
Penso che dietro ogni conversione a Cristo ci sia una frase e che ognuno abbia la propria, fatta per lui, che lo sta aspettando. La mia è stata questa. Dice, per prima cosa: lasciati portare, non sei più tu che decidi dove andare, e quello che può sembrare un atto di rinuncia può anche essere, una volta mollati gli ormeggi, un immenso sollievo. È ciò che si chiama abbandono, e la mia unica aspirazione era abbandonarmi. Ma dice anche: ciò a cui ti abbandoni — Colui al quale ti abbandoni — ti porterà dove tu non vuoi. Ed è questa parte della frase che sentivo rivolta a me in modo particolare. Non l’ho capita bene — chi potrebbe? –, ma ho avuto l’oscura certezza che fosse per me. Il mio desiderio più grande era proprio questo: essere portato dove non volevo”.
Carrère non ha mai ingannato nessuno. Siano stati i suoi brutti amici letterari a svelarsi, sia stato esso stesso a mettersi a nudo, ne viene fuori che nessuno inganna mai nessuno. Il regno, il buio, il precipizio, l’orrore e l’omicidio: niente porta vergogna.

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE