Cover — Marta D’Asaro

GENTE DI DUBLINO

IL COLOPHON
IL COLOPHON
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3 min readApr 7, 2017

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editoriale di Michele Marziani

Quando guardo i gruppi di giovani italiani all’imbarco dei voli di ritorno da Dublino con l’aria assonnata di chi ha dormito poco e bevuto un po’ più del solito, il cappello da Leprecano, la maglietta della Guinness, la felpa Trinity College, qualche spilletta a forma di quadrifoglio, noto sempre l’immenso sorriso di uno che torna da una specie di paradiso. Poi ogni tanto, nella vita di tutti i giorni, incontro pure qualcuno che dice che Dublino è una gran bella città, la più accogliente e interessante d’Europa. Difficilmente commento, ma alzo sempre il sopracciglio destro, come a dire di abbassare le ali. Probabilmente per chi ama la musica dal vivo, la birra, i pub e altre cose simili lo è la meta più bella, se no è una città come tante altre, senza troppi monumenti, e ancora molto simile nelle periferie — che per uno strano scherzo urbanistico si snodano in quello che oggi è praticamente il centro — a quella tristissima e umanamente degradata città che abbiamo conosciuto leggendo i racconti di Joyce in Gente di Dublino.
Ma l’amore viscerale degli italiani dei giorni nostri per l’Irlanda è quello ben raccontato da due autori pubblicati da Antonio Tombolini Editore: Amanda Melling nel suo Il peso sul cuore e Max O’Rover ne Il giorno che incontrammo Roddy Doyle (che, tra l’altro, sarà presentato il 22 maggio prossimo all’Istituto Italiano di Cultura di Dublino con la partecipazione straordinaria della scrittrice Catherine Dunne).
D’altra parte Dublino, con quattro monumenti e quattrocento pub (non suoni riduttivo, è solo per dire che Londra e Parigi sono ben altra cosa) è forse la prima capitale letteraria d’Europa, con la capacità di ricordare, proporre, onorare, suggerire e supportare i tantissimi scrittori che lì sono nati, nei secoli passati e non solo. Quasi tutti poi sono andati altrove, almeno fino alla seconda metà del Novecento, ma Dublino ne mantiene l’impronta attraverso case museo, mostre, letture, pub intitolati a scrittori (mi sono sempre chiesto che cosa si beva al Bram Stocker’s Cafe di Fairview) e la storica farmacia Sweni’s dell’Ulisse, quella della saponetta al limone di Leopold Bloom, trasformata in luogo di lettura delle opere di Joyce in tutte le lingue.
Non solo Dublino ma tutta l’Irlanda, Ulster compreso, sono territorio letterario d’eccellenza.
Questo numero de Il Colophon è nato proprio così, per andare nel profondo della stranezza alchemica di un’isola che è stata per secoli poco più di una colonia inglese, un paese di pastori e di poveracci, ma è stata in grado di produrre due tra gli autori più grandi del Novecento letterario: James Joyce e Samuel Beckett. Poi un’infinità di scrittori di chiara fama: Jonathan Swift (quello de I viaggi di Gulliver), Oscar Wilde, il poeta W. B. Yeats, George Bernard Shaw, Bram Stoker (sì, anche il papà di Dracula era irlandese), Seumas O’Kelly, Liam O’Flaherty, Flann O’Brien, James Stephens, William Trevor, Frank MacCourt ( viveva negli Usa ma ha rappresentato l’Irlanda non meno di altri), Michael Scott (quello di Nicholas Flamel), Patrick McCabe, Colm Toibin, Roddy Doyle, John Boyne (Il bambino con il pigiama a righe), Robert McLiam Wilson (autore dell’imperdibile Eureka Street), Colum McCann (un altro mezzo americano)… E poi le scrittrici: Edna O’Brien, Ethel Lilian Boole (La figlia del cardinale, ambientato nell’Italia del Risorgimento), Anne Enright, Emma Donoghue, Josephine Hart, Catherine Dunne, Cecelia Ahern, Maeve Binchy, Elizabeth Bowen… Un mondo di grande letteratura, nato e cresciuto in un’isola di cattolicesimo e di ubriachezza, di conflitti, di miseria, di divisioni, di lotte. Basta ricordare la frattura politica e religiosa da poco sanata legata all’Irlanda del Nord che fa ancora parte del Regno Unito.
Ecco l’idea di questo numero è nata proprio dal sentir dire che con la Brexit, rischiano di ritornare i confini tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord e c’è chi teme il riaprirsi di un conflitto che sembrava sepolto per sempre. Anche una rivista letteraria ha dei doveri, credo, in questo senso. Quello di dire che la narrativa non solo non ha confini. Non li desidera.
Il grande assente di questo numero è Samuel Beckett. Lo aspetteremo.

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IL COLOPHON
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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE