IL CUORE DELLE COSE di Natsume Sōseki

IL COLOPHON
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[Neri Pozza]

Questo folgorante romanzo del 1914 è stato tradotto in Italia la prima volta nel 1981 per Editoriale Nuova. Denso e viscerale, il testo narra una storia introspettiva, i cui protagonisti appartengono a un tempo e a una cultura a noi talmente lontana, da risultare quasi incomprensibile, quasi ultraterrena.
Il romanzo è narrato in prima persona da un giovane studente che durante le vacanze estive incontra un uomo più grande di lui e lo elegge a suo maestro di vita. Va detto che nel Giappone dei primi del ‘900 non era inusuale che i giovani studenti si scegliessero un Sensei, ovvero una guida, una persona dalla quale attingere sapienza. Questo maestro diventerà una figura di riferimento per il giovane protagonista, nonostante l’uomo sia piuttosto taciturno e restio a raccontare la propria vita; non ama il contatto con gli altri, vive quasi in solitudine, ha una moglie devota ma nessun amico vero. È molto legato a una persona defunta che va a trovare ogni mese al cimitero, ma del quale il giovane non riesce a sapere niente. Ogni tentativo di conoscere qualcosa del passato del maestro andrà vanificato dall’imperturbabile riserbo in cui si cela l’uomo.
La misantropia del maestro non impedisce al giovane di legarsi profondamente a lui. Anche se i silenzi dell’uomo a volte irritano il ragazzo, egli riconosce:
A me erano più utili i suoi discorsi che non le lezioni all’Università; ero più grato al suo pensiero che non alle idee dei miei insegnanti. Intendo dire che consideravo più importante il maestro, benché per difendere la propria intimità non parlasse molto”.
La prima parte del romanzo è ambientata a Tokyo in un periodo di grande trasformazione sociale: la morte dell’imperatore Meiji nel 1912, a cui il popolo giapponese era profondamente legato, decretò la fine di un’era ancorata ai vecchi costumi nipponici e l’apertura verso l’Occidente. Non un fatto da poco: questo cambiamento portò nel Giappone uno stravolgimento delle abitudini sociali, innescando una fase di transizione davvero complicata, in cui la componente tradizionalistica, molto forte nel Paese, doveva cominciare a convivere con un nuovo senso di intendere la vita; una convivenza che deve aver creato forti tensioni e squilibri. Il maestro è una delle “vittime” di questa fase di transizione: è un uomo che ha perso la propria identità, che non accetta la nuova realtà “così piena di libertà, di indipendenza e di egoistica affermazione individuale”. Ma è importante far notare che il maestro non mostra disprezzo per gli altri, piuttosto per se stesso, disprezzo che il giovane discepolo non riesce a comprendere poiché l’uomo è la persona più colta che conosca.
Il tentativo di capire il lato oscuro del maestro viene bruscamente interrotto: il ragazzo deve partire per la campagna dove vive la sua famiglia, poiché il padre da tempo malato, si è aggravato. In questa seconda parte del romanzo la figura del maestro viene sostituita con quella del padre che però è un uomo di umili origini, gretto e ignorante, completamente diverso dal maestro. E non è da poco il contrasto tra la campagna, con la sua mentalità anacronistica, e Tokyo, città vivace e in continuo sviluppo. Questo scontro di realtà getta il giovane in uno stato di apatia e inconcludenza: nella casa dei suoi genitori pensa continuamente al maestro che non vede da settimane. Il giovane prova a tenere acceso il rapporto con lui scrivendogli delle lettere alle quali però l’uomo risponderà sempre con brevi telegrammi. Proprio quando ormai il padre del ragazzo è in fin di vita, arriva una lunga lettera del maestro che esordisce dicendo che probabilmente quando il giovane leggerà quella missiva lui sarà ormai morto. L’uomo infatti ha deciso di togliersi la vita. Il protagonista a quel punto abbandona il capezzale del padre morente e si mette in viaggio per Tokyo, nella speranza di trovare il maestro ancora vivo; durante il viaggio legge la lunga lettera-confessione che l’uomo gli ha inviato.
In questa terza e ultima parte c’è un ribaltamento significativo del testo: adesso la voce narrante è del maestro e la lettera diventa quasi un romanzo nel romanzo. Uno stravolgimento che riguarda anche la figura del maestro stesso, poiché attraverso il suo racconto, che ha il sapore di un testamento, il lettore verrà proiettato nello stato d’animo dell’uomo e se ne conoscerà finalmente la vera natura, facendocelo sentire più vicino. Il maestro svelerà di aver subito da giovane un tradimento da parte dei suoi familiari e ciò spiega la mancata fiducia verso gli altri. Ma in seguito sarà lui a tradire un caro amico: il senso di colpa gli farà perdere quindi anche la stima verso se stesso.
Tuttavia devo dire che nella lettura di questo romanzo dalla fulgida delicatezza, rimane la sensazione di non riuscire a conquistare del tutto i personaggi della storia; forse una volontà dello stesso Sōseki visto che decide di non dare a nessuno dei personaggi un nome, quasi a voler dimostrare che lui stesso, nella sua vita, è stato un uomo discreto, pronto a difendere in tutto e per tutto la sua intimità.
Gian Carlo Calza, che delle opere di Sōseki è un profondo conoscitore, afferma che questa particolare ricerca di un’esistenza lontana dai legami “può schiudere una dimensione superiore, dove le passioni umane sono filtrate da una sorta di distanza che ne attenua le asperità e le rende più universali”. Quindi una possibile via di salvezza.

Laura Del Lama

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RIVISTA DI LETTERATURA DI ANTONIO TOMBOLINI EDITORE